sabato 31 maggio 2014

Il diario del Giro. Ventesima tappa: Maniago-Monte Zoncolan (167 Km). Aspettando Wilcock sullo Zoncolan


Monte Zoncolan – Era nei momenti più difficili che Juan Rodolfo Wilcock riusciva a farmi sorridere o addirittura ridere, quando ad esempio mi trovavo da solo a dover mettere insieme la penultima cronaca dal Giro d’Italia avendo visto solo pochi minuti di tappa, in cima al Monte Zoncolan a 1730 metri, riflettendo sul fatto che ero un lavoratore in contratto di solidarietà che si sarebbe potuto trasformare nel breve volgere di qualche mese in un lavoratore in cassa integrazione, con molto tempo a disposizione quindi per scrivere ma pochi soldi a disposizione per mangiare, in cima al Monte Zoncolan a 1730 metri, sorpreso non più di tanto nel riscontrare comiche analogie tra la mia situazione e quella di Alfred Attendu, il dottor Alfred Attendu che dirigeva il suo panoramico Sanatorio di Rieducazione ossia ospizio per cretini a Haut-les-Aigues, vicino alla frontiera svizzera. Io non ero certo direttore, anzi il mio direttore di giornale quando gli avevo parlato di Juan Rodolfo Wilcock mi aveva detto “Ma in che squadra corre questo ciclista? Non mi starai nuovamente parlando di uno dei tuoi scrittori preferiti? Quante volte te lo devo dire che io non leggo libri?” Ecco il direttore di giornale mi fregava sempre con la sua sconfortante stupidità, peggio di un direttore di giornale che non legge libri doveva esserci solamente un direttore di libreria che non legge libri, chi non legge libri era in ogni caso sempre una persona pericolosa. Il dottor Alfred Attendu aveva compiuto indisturbato i suoi studi tra il 1940 e il 1944, erano stati quelli i suoi anni d’oro in cui aveva osservato ciò che lo circondava soprattutto tanti cretini, ed era giunto poi al punto più alto del suo studio che aveva sintetizzato nella sua opera più ambiziosa e di successo, Il fastidio dell’intelligenza, del 1945. Attendu era con me sul Monte Zoncolan, unica salvezza in una giornata di lavoro duro, per fortuna la penultima prima delle meritate vacanze al mare, e aspettavamo insieme che arrivassero i ciclisti in vetta a questa montagna considerata la più dura d’Europa da salire in bicicletta, con pendenza massima del 22%. Alfred insomma mi parlava del suo libro invece che del Giro, la condizione di cretino era per l’uomo normale la condizione ideale, cosa stavamo ad aspettare questi pedalatori che tanto non sarebbe arrivato vivo mai nessuno. E invece aspetta aspetta e resuscitavano per primi Michael Rogers, Franco Pellizotti e Francesco Bongiorno purtroppo penalizzato da uno spettatore idiota in maglia da campione del mondo lungo il percorso che credendo di aiutarlo spingendolo, lo obbligava invece a mettere il piede a terra perdendo fatalmente il ritmo della salita al massimo dello sforzo. L’autorevole dottore al mio fianco vedeva confortate le sue tesi, così ben espresse nel suo testo ormai diventato un classico, io mi limitavo ad osservare con attenzione il pur falsato finale di corsa e i successivi calcoli matematici che sancivano il podio del novantasettesimo Giro d’Italia: primo classificato e maglia rosa Nairo Quintana, secondo Rigoberto Uran Uran, terzo Fabio Aru. Quindi salutavo Alfred Attendu e tornavo esausto in albergo. Non era stata una passeggiata seguire queste venti tappe, ma come un libro di Juan Rodolfo Wilcock questa specie di faticosa terapia mi aveva restituito almeno una certa forma di allegria. Se avessi voluto continuare a ridere, a migliorare la mia salute, mi sarebbe bastato, prima di crollare dal sonno, leggere ancora una volta e a perdifiato tutti i personaggi della Sinagoga degli iconoclasti.

venerdì 30 maggio 2014

Il diario del Giro. Diciannovesima tappa: Bassano del Grappa-Cima Grappa (26,8 Km). Il caffè della Peppina con Quintana alla mattina


Cima Grappa – Il caffè della Peppina non si beve alla mattina né col latte, né col tè, ma perché, perché, perché? Ero lì con Pietro che cantavo Il caffè della Peppina, con Pietro, Nicola e Giovanni a dire il vero, i nostri due amici immaginari, magari ipotesi di fratelli futuri oppure no, eppure cantavamo al parco e dopo a casa, il caffè della Peppina che metteva nella caffettiera cioccolata e marmellata, “Ma no!” interrompeva Pietro, della Peppina che metteva nella caffettiera mezzo chilo di cipolle e quattro o cinque caramelle, sette ali di frittelle, “Ma no!” interrompeva Pietro, fino a quando la Peppina nella caffettiera ci metteva il tritolo e faceva Boooom!, saltando in aria col caffè, povera Peppina. “Oggi non te le fanno più scrivere canzoni così”, dicevo a Pietro, “o meglio puoi anche scriverle ma non te le pubblicano, si sa mai che il bambino s’impressioni ascoltando e leggendo la Peppina che fa Booom!” “Perché?” mi rispondeva Pietro, “Ma perché, perché, perché?”, tagliavo corto riprendendo il ritornello. Nicola e Giovanni invece non aggiungevano nulla, erano bambini immaginari, al massimo mi chiedevano “Papino, quali libri belli sono usciti questa settimana?” e io soddisfacevo la loro acerba curiosità intellettuale rispondendo “Oltre a Savio e a Gurrado io direi Giancarlo Liviano D’Arcangelo e la sua Gloria agli eroi del mondo di sogni e poi Antoine Compagnon che passa l’estate con Montaigne, è tornato di moda il buon vecchio Montaigne, mi sa che sono questi i due libri che mi porto al mare”. Silenzio sul fronte infantile. A Bassano del Grappa invece, i corridori si guardavano negli occhi “Ma davvero ci tocca fare quella salita lì tutta da soli? Sono solamente 27 chilometri è vero, ma intensi”. E non era possibile dargli torto, l’altimetria non lasciava spazio ad alcuna idea di scampagnata, la pendenza massima era del 14% e si partiva da metri 132 per arrivare a metri 1712, Cima Grappa, roba da alpini o quantomeno da Grappa dell’Alpino, dicevo a Pietro, il brutto di cronoscalare da solo è che non hai punti di riferimento, nonostante tutte le informazioni che ti arrivano, sei solo di una solitudine spettrale, se le cose cominciano ad andare male, non hai gregari che ti vengono ad aiutare, tocca pedalare e sperare che finisca al più presto, se sei colombiano e quindi cafetero canticchiando per tirarti su Il caffè della Peppina, che nella caffettiera mette il rosmarino e qualche formaggino, una zampa di tacchino, una penna di pulcino, cinque sacchi di farina e poi dice: “Che caffè!” Nairo Quintana da buon cafetero si può permettere di cantarle tutta, Il caffè della Peppina, ascende la salita della cronometro in un’ora, cinque minuti, trentasette secondi davanti a uno splendido Fabio Aru (ormai dicono tutti così) che c’impiega solo diciassette secondi di più. Terzo un altro colombiano, il solito Uran Uran, che di ritardo prende un minuto e ventisei. E la classifica generale? Quintana sempre più leader, con tre minuti e sette secondi su Uran Uran e tre e quarantotto su uno splendido Fabio Aru. Altro da sottolineare? Nulla, il cronista del Giro d’Italia questa sera è stanco per i tanti scontrini battuti in libreria alla cassa numero 7, salta in aria col caffè, Boooom!

giovedì 29 maggio 2014

Il diario del Giro. Diciottesima tappa: Belluno-Rifugio Panarotta (171 Km). Leggo, prego, pago le tasse


Rifugio di Panarotta – Oggi non sono riuscito a vedere la tappa. Peccato, perché credo sia stata una buona tappa. Avevo appuntamento con Gerardo, responsabile zonale del Caf, che vuol dire centro assistenza fiscale. Insomma, dovevo ritirare il 730, questo pazzo pazzo paese di tasse. Gerardo è un uomo gentile, si trasferirà di zona (è un responsabile zonale come dicevo) perché l’affitto che deve pagare è troppo elevato rispetto al numero dei clienti che ha, è un periodo che va così, non dirlo a me, il mondo reale è questo, uno più che lavorare cosa deve fare? Ho chiamato il direttore del giornale e gli ho detto “Guarda oggi non riesco a vedere la tappa, ho appuntamento con il responsabile zonale del Caf”, lui mi ha detto “E’ l’ultima volta che ti mando a fare l’inviato al Giro d’Italia”. Tra di noi non c’è mai stato feeling, del resto lui non legge libri, un direttore di giornale che non legge libri pensate un po’, una volta ho conosciuto anche un direttore di libreria che non leggeva libri, e si vantava “Io non leggo libri” mi diceva “so che tu invece oltre a leggere provi anche a scriverli, perché?” io gli avevo risposto “Se non avessi la passione di leggere mi sarei già sparato un colpo in testa, non so se mi spiego, leggere è la mia religione, da ragazzo addirittura ho passato pomeriggi a spiare oltre le inferriate di certi conventi sulle colline di Brescia, cercavo Dio suppongo, comunque spiavo dopo aver appoggiato la bicicletta al primo muro, stavo a guardare il cortile del convento ma tutto era fermo, le sbarre alle finestre, le tapparelle abbassate, qualcosa non mi convinceva. Avevo scelto allora la lettura come forma unica di preghiera”. Il direttore (della libreria) aveva smesso di ascoltarmi quando avevo pronunciato le parole passione e religione, quindi mi aveva detto “Sai cosa penso? Che saresti un buon cassiere”. Allora mi aveva trasformato da libraio in cassiere, la meritocrazia avanzava e la libreria colava a picco, ma le due faccende non erano certamente collegate, si trattava certamente della crisi. Uscito dall’ufficio del Caf non prima di aver augurato in bocca al lupo al gentile Gerardo, ero andato in automobile a far controllare le gomme e mi avevano detto “Guardi, i pneumatici sono fessurati, è necessario cambiarli, costano 340 euro”. Avevo pensato, ma che bella giornata. Eppure ero il giorno dell’uscita del mio nuovo romanzo, come essere infelici, Il fuorigioco sta antipatico ai bambini faceva capolino sugli scaffali delle librerie migliori, ma anche di quelle così così, si trattava poi davvero di un romanzo? E se no, di che cosa? Secondo l’amico Gino si trattava di undici romanzi, dal portiere all’ala sinistra, il tutto al prezzo (modico) di un solo romanzo. Poteva aver ragione, quindi tornavo a casa da Marta e Pietro e dicevo loro “In alto i calici! Oggi esce il mio nuovo romanzo, che poi non è un romanzo, e ho cambiato quattro gomme per 340 euro mila lire!” Seguivano festeggiamenti e danze, in buona sostanza erano quattro bonus mensili di Matteo Renzi che andavano in frantumi. E il Giro? Che tappa graziosa, pur non avendola vista. Vinceva il colombiano Arredondo, maglia azzurra di leader della montagna, che staccava il connazionale Duarte di diciassette secondi e il francese Deignan di trentasette. In classifica generale Nairo Quintana restava in rosa, per niente scalfito da quei corridori che gli avevano dichiarato guerra, non gli avevano stretto la mano prima del via a causa di un suo poco dimostrabile comportamento poco sportivo nella tappa dello Stelvio. Perdevano loro, vinceva Quintana che si limitava a controllare sul Passo del Pellegrino, sul Passo del Redebus, al Rifugio Panarotta dove se ci fossi stato avrei ordinato probabilmente pane e salamella e polenta, o patate, e una birra sicuramente weizen. Ma invece oggi avevo appuntamento con Gerardo, responsabile zonale del Caf.

Oggi "Il fuorigioco sta antipatico ai bambini"

Da oggi in libreria Il fuorigioco sta antipatico ai bambini.


Il calcio, la letteratura, la vita. Tre sono i sentieri
che s’intrecciano e si biforcano in Il fuorigioco sta
antipatico ai bambini, racconto e autobiografia,
lettura di undici romanzi e rilettura di undici edizioni
della Coppa del mondo di calcio: dal 1974,
qualche mese prima della comparsa biografica di
chi racconta, al 2014, anno in cui, sempre chi racconta,
si appresta a spiegare il senso del football,
e della vita, al figlio, «infaticabile compagno di
azioni calcistiche in corridoio».
E così in queste pagine l’interminabile,
apparentemente inutile ragnatela di passaggi
disegnata sul campo di Monaco di Baviera nel
primo minuto della finale dei Mondiali del ’74
dall’Olanda di Johan Cruijff assomiglia al monologo,
astratto e acronico, di una pagina di Thomas
Bernhard. Quattro anni dopo Mario Kempes avrà
i capelli troppo lunghi per compiacere il presidente
Videla in tribuna, ma non abbastanza lunghi
per convincere Julio Cortazar a far ritorno a Buenos
Aires. Zinedine Zidane che segna due gol di
testa nella finale del 1998 e Albert Camus si
incontrano nella tasca del camice bianco di
un venditore di lavatrici in un grande centro commerciale.
Per arrivare alla fine ai prossimi Mondiali in Brasile
con le parole di Turgenev che raccontano di vite
infinite capaci di riunire, a distanza di anni, i padri ai figli.

mercoledì 28 maggio 2014

Il diario del Giro. Diciassettesima tappa: Sarnonico-Vittorio Veneto (208Km). Lavoratori del Giro, tiè!


Vittorio Veneto - E’ successo ancora. Ma sì, mi riferisco a quel direttore di giornale (ma no, non il mio direttore di giornale) che ogni volta che pubblica un volume passa in rassegna le librerie di Milano e acquista tutte le copie presenti in negozio per andare al primo posto nella classifica dei più venduti. L’anno scorso aveva fatto tutto da solo. Quest’anno invece ha mandato due servitori che hanno recuperato tutta la giacenza, l’hanno caricata in automobile dentro scatoloni, hanno detto al libraio di turno “Cosa vuole che le dica, il mio capo è un…”, si sono recati alla libreria successiva dove hanno ripetuto il folle gesto. Dopo due ore si è presentato in libreria il direttore in carne e ossa con donna al seguito che ha chiesto “Ecco, volevo sapere se avevate il libro…” Un sistema di controllo efficiente. Ho telefonato al mio di direttore di giornale e gli ho raccontato scherzando la faccenda ma lui mi ha detto “Non ci trovo niente di sbagliato”. In ogni caso, i migliori giri in Italia sono stati quelli che non hanno avuto bisogno di ceri sotterfugi, Guido Piovene o Guido Ceronetti ad esempio viaggiavano lungo la penisola senza sbancare le librerie nazionali delle loro opere, cambiano i tempi, passano gli anni e i topi per le fogne. Einaudi ha ristampato in questi giorni l’occhio spietato di Ceronetti sull’Italia di oggi (1981-1983), ma francamente alla nuova copertina gialla preferisco la prima edizione che ho trovato qualche mese fa per caso appena fuori dalla stazione ferroviaria di Genova Brignole, la bancarella è quella sotto i portici di fronte al negozio di giocattoli. Ma cosa facevo a Genova? Gustavo i cannoncini di Panarello, anelavo ad una vita almeno parziale in compagnia del mare, e poi non ricordo più. L’altro Giro d’Italia prevedeva invece in data odierna l’ultima occasione per i velocisti sopravvissuti, da Sarnonico a Vittorio Veneto, tappa di recupero energie che vedeva sul traguardo addirittura due vincitori: il primo che per reagire alle critiche ricevute in cinque anni di carriera da professionista faceva un plateale e rabbioso gesto dell’ombrello, il secondo che pensando di essere primo e non sesto staccato di ventotto secondi dal quinto e ultimo del gruppo in fuga alzava le braccia in maniera più classica ancorché scatenata, ma che purtroppo non vinceva un bel niente. Si trattava dell’italiano Stefano Pirazzi e del finlandese Jussi Weikkanen. Poco male, le vittorie sono quelle che hai nel cuore, diceva qualcuno di saggio. Gli storici del Giro e delle coincidenze comunque sfogliavano gli almanacchi e si scopriva che per ritrovare un gesto dell’ombrello alla corsa rosa bisognava andare dietro dieci anni fino al medesimo movimento ad angolo retto compiuto da Tonkov in una tappa con arrivo Sarnonico, partenza di oggi. Insomma, era successo ancora. Mi bastava così. Ignaro di certe forme di pur umana maleducazione Quintana restava in rosa davanti a Uran Uran, Evans, Rolland e Majka. Scrivevo una breve lista di persone alle quali avrei fatto volentieri il gesto dell’ombrello, chiudevo il mio blocchetto di cronista quasi quarantenne e mi preparavo alle prossime tre tappe mortalmente montane prima della classica passerella finale stavolta triestina e non milanese.

martedì 27 maggio 2014

Il diario del Giro. Sedicesima tappa: Ponte di Legno-Val Martello/Martelltal (139 Km). Parrucchiera e filosofia


Val Martello/Martelltal – Capita sempre così, entro dalla mia parrucchiera che sono Andrea Pirlo ed esco fuori che sono Massimo Cacciari. Da calciatore e filosofo in circa venticinque minuti. Invecchio rapidamente ed acquisto saggezza, non tecnico-tattica ma in attività di pensiero per lo più sistematica, vado dall’edicolante e dico “Buongiorno, vorrei il quotidiano per favore”, la gentile signora chiusa fra i giornali appare emozionata, ha di fronte a sé Massimo Cacciari, che solo poco prima era Andrea Pirlo. Sfoglio velocemente, il partito sostenuto dal quotidiano ha raggiunto il 40,8% di preferenze alle elezioni europee, si respira euforia tra i caratteri, una nota critica letteraria si sforza di recensire l’ultimo romanzo del famoso e ricco giovane scrittore che non avendo problemi di vile pecunia si occupa della sua tata, una tematica avvincente e regolata scientificamente, girano senza dire nulla le parole della nota critica letteraria, l’importante è raggiungere il numero di righe richieste senza dire fondamentale nulla, che il romanzo è brutto e scolasticamente noioso ad esempio, l’importante è non sbilanciarsi mai per mantenere buoni rapporti con tutti, potrebbero sempre tornare utili prima o poi. Per dimenticare in fretta passo a prendere in automobile la mia famiglia e andiamo da Lanzani, bottega e bistrot dove il bresciano può gustare aperitivi e specialità gastronomiche di alto livello, è il caso di festeggiare cari miei Marta e Pietro, ero Andrea Pirlo e adesso sono Massimo Cacciari, ho governato Venezia e pubblico con Adelphi, tempo di sederci e al tavolo di fianco al nostro arriva il capitano del Brescia Calcio “Piacere, Marco Zambelli”, “Piacere, Massimo Cacciari, ma se solo ci fossimo incontrati questa mattina, credo avresti preferito”. Per romantica deduzione brindiamo alla nostra salute con un pirlo (vino bianco frizzante, campari, seltz), Pietro con un succo alla pera, mi rendo conto che il tempo è volato, oggi è la giornata della grande tappa e sono seduto da Lanzani a filosofare di calcio e cultura, se lo scopre il direttore del giornale questa volta mi ammazza, saluto rapidamente e corro in automobile verso casa, ansia da tappone come scrive E.C. sul quotidiano, francamente no, ma Passo Gavia, Stelvio, val Martello sì, ci sarà da divertirsi (non essendo ciclista), sperando che non piova, e invece piove, le condizioni atmosferiche sono proibitive, Nairo Quintana attacca sulla discesa dello Stelvio e non lo prende più nessuno, i telecronisti parlano dei calciatori che si buttano per terra dopo aver subito un buffetto, mentre i ciclisti salgono e scendono eroici avvolti da pioggia e nevischio. La verità è che il calcio è un gioco, il ciclismo uno sport, dicono i telecronisti con un certo rancore. Andiamo avanti, Quintana attacca e non lo prende più nessuno, davanti a sé ha ancora la terribile ascesa ventosa fino a Martelltal che arriva, è doveroso ricordarlo, dopo che i corridori hanno già affrontato Gavia e Stelvio, 2618 e 2758 metri di altitudine. Quintana va, l’avevo detto ieri che era il mio favorito, appena in tempo, il mio buon nome d’inviato è conservato. Qualcuno mi rinfaccia di aver pronosticato Cadel Evans solo una settimana fa, anche in virtù di una presunta simpatia generazionale. Nego fermamente. L’unico che tiene il passo del colombiano che vincerà il novantasettesimo Giro d’Italia è il canadese Hesjedal che taglia il traguardo solamente otto secondi dopo la nuova maglia rosa, quindi giunge il sempre battagliero Rolland a un minuto e tredici, via via gli altri. La classifica generale vede Quintana nuovo leader, a un minuto e quarantuno Uran Uran che viene da Urrao, a tre e ventuno Cadel Evans. Domani ultima occasione per i velocisti, se sopravvissuti. Un saluto dal vostro inviato ciclo-filosofico, Massimo Cacciari.

domenica 25 maggio 2014

Il diario del Giro. Quindicesima tappa: Valdengo-Plan di Montecampione. Dormi nell’ombra, incerto cuore


Plan di Montecampione – Buona domenica, Guardia Medica. Mi sono tolto gli occhiali da sole ma sotto non avevo niente, sopra invece gli alberi di Bande Nere m’indicavano la strada verso la continuità assistenziale, Bande Nere per chi non fosse di Milano è la fermata della metropolitana linea rossa dove si trova il distretto 5 dell’Asl Regione Lombardia, di riferimento per chi abita nella zona 6-7, spero di essere stato sufficientemente chiaro. Sotto gli occhiali non avevo niente, ma sopra il verde degli alberi mi dirigeva lungo i viali giusti, questa sede dell’Asl non ha nulla da invidiare all’ambientazione ipotetica di un romanzo che abbia come protagonista un malato, pensavo, si respira una certa e considerevole tranquillità cromatica a dispetto delle previsioni, al distretto numero 5. Il medico mi aspettava sulla soglia, erano le nove di mattina circa, mi ha detto “Cerca il medico?” io che non avevo capito lui fosse il medico gli ho detto “Cerco il medico”, lui mi ha detto “Sono io il medico”, io gli ho risposto “Allora buona domenica, Guardia Medica”. Mi sono tolto gli occhiali (sotto non c’era niente), mi ha controllato gli occhi, la gola e il respiro, respirare con la bocca aperta, poi sdraiato sul lettino. “Lei è malato e deve riposare”, mi ha detto. Io ho pensato alla quindicesima tappa del Giro d’Italia, come avrei fatto a non guardarla. Del resto non ci vedevo, ma era un particolare. Ho salutato il gentile dottore, invidiando la pace della sua ambientazione lavorativa che pure percepivo essere per lui nel lungo periodo noiosa, e potevo comprendere anche questo. Mi sono diretto verso casa lentamente a piedi, ero malato ma mi sarebbe passata, non si trattava di nulla di grave. Qualcuno andava a votare, qualcuno no, si recava in pasticceria, portava i figli nel passeggino, in bicicletta, per mano camminando. Dopo pranzo mi sono tornati gli occhi per spiare almeno la salita di Montecampione, da 200 a 1665 metri in una ventina di chilometri: i capitani delle squadre abbandonati chi più chi meno dai loro gregari si trovavano quasi da soli a sfidarsi e controllarsi, come in un Giro d’Italia organizzato apposta per loro che entusiasma la folla ai bordi delle strade, me stesso con gli occhiali da sole davanti alla televisione che a volte li toglievo, per capirci qualcosa. Lo scatto vincente era quello del piccolo e sardo Fabio Aru che si lasciava alle spalle maglia rosa, francesi e colombiani, omaggiando con la sua ascensione a strappi e la sua esultanza rabbiosa sul traguardo questa ulteriore tappa dedicata a Marco Pantani. Dietro di lui Duarte, Quintana e Rolland. Nella classifica generale Uran Uran pur in sofferenza manteneva un minuto di vantaggio su Evans, uno e cinquanta su Majka, due e venticinque su Aru e Quintana. Uno di questi cinque corridori vincerà il novantasettesimo Giro d’Italia, io dico Quintana, pur consapevole di aver detto Evans solo qualche giorno fa, ma tanto chi va a controllare. Mi sono tolto gli occhiali da sole per andare a dormire, arrivavano inquietanti segnali sul futuro dei lavoratori Feltrinelli: rinnovo e aumento delle ore di solidarietà, ipotesi cassa integrazione guardando più in là. Pensavo a chi ci aveva ridotto così, al Giro che domani non ci sarebbe stato. Meglio andare a dormire, riposare gli occhi che prima o poi questa assurda malattia del non vedere sarebbe passata, dormire il giusto per risvegliarsi senza questo mal di testa. Non avrebbe funzionato. Aver ragione, vincere, possedere l’amore, marcisce sul morto tronco dell’illusione. Sognare è niente e non sapere è vano. Dormi nell’ombra, incerto cuore.  

sabato 24 maggio 2014

Il diario del Giro. Quattordicesima tappa: Agliè-Oropa. Salvatore Satta con gli occhiali da sole


Oropa - Mi sono svegliato ad Agliè con gli occhiali da sole, e ho camminato lungo i corridoi dell’albergo per far finta di non essere malato. Ma come, giusto ieri avevo scritto del Giro come malattia o come disoccupazione, dichiarando di preferire la disoccupazione alla malattia, e questa mattina mi sono svegliato malato, non ancora disoccupato. Non riuscire ad aprire gli occhi è una cattiva condizione se hai come compito quello di guardare la tappa, così nell’albergo di Agliè camminavo lungo i corridoi per far finta di non essere malato, ma non vedevo niente, sotto gli occhiali lacrimavo e non era per via del ricordo di Marco Pantani, del suo attacco dopo il salto della catena nel 1999. Ogni volta che sono malato penso alla Veranda di Salvatore Satta, romanzo considerato negli anni trenta improponibile al troppo delicato, al troppo sensibile, al troppo spaurito pubblico italiano e riapparso accidentalmente nel 1981 quando gli italiani sono cambiati, hanno imparato a guardare con attenzione anche le inchieste di Giuseppe Marrazzo, ad esempio. La “veranda”a cui accenna il titolo è quella di un sanatorio per tubercolosi nell’Italia settentrionale, dov’è ospite il protagonista, e mi metto a cercarla anche in questo albergo di Agliè, ma niente da fare. Bevo un cappuccino, mangio una brioche alla marmellata, sarà dura arrivare in fondo alla tappa di oggi se non smetto di lacrimare, con gli occhiali da sole va meglio ma devo tenerli anche al chiuso, fuori il sole splende e scalda, esco a prendere il giornale e ritrovo scritto, nelle pagine sportive, ciò che avevo spedito in redazione in giorno prima. Il direttore non si fa più sentire, non mi dispiace, questo Giro d’Italia potrebbe essere l’ultimo incarico che mi affida, cambierò giornale. Nel pomeriggio mi addormento dopo la discesa sulla Panoramica Zegna, il bello del Giro d’Italia è lasciarsi addormentare e svegliarsi appena in tempo per l’arrivo, oppure addirittura dopo, sentendo arrivare da lontano i commenti dei telecronisti, le interviste ai corridori. Pare sia stato un bel finale di tappa, con tre corridori che scattano a vicenda sembrando a turno il potenziale vincitore: prima il colombiano Pantano, che sarebbe stato senza dubbio il miglior omaggio linguistico al Pirata di Cesenatico nella seconda delle frazioni che gli rendono omaggio a dieci anni dalla morte, poi Cataldo, alla fine Enrico Battaglin che pur non essendo parente di Giovanni Battaglin nonostante sia nato nella medesimo comune, con un numero d’alta scuola recupera quando sembrava spacciato e taglia il traguardo di Oropa con le braccia al cielo. Mi sveglio e dicono tutto questo, rimetto immediatamente gli occhiali da sole, ascolto senza guardare una parte del processo che sottolinea la probabile debolezza della maglia rosa Uran Uran, la quasi completa guarigione (beato lui) di Quintana che resta attaccato a Pozzovivo capace di spaventarlo ma non di staccarlo, l’enigmatica tranquillità da ragioniere del polacco Rafal Majka, l’esserci sempre e comunque di Cadel Evans. Deve essere bello essere baciati contemporaneamente da due Miss. Sarà un’ultima settimana rosa da seguire, se possibile senza addormentarsi. Mi alzo in piedi e torno in veranda. Si estende lungo tutta la facciata del sanatorio. Qui non ci chiamiamo neppure per nome, ma con quello delle rispettive città, come commilitoni della morte. Ma su con la vita, domani Valdengo-Plan di Montecampione, arrivo in salita a 1665 metri, pendenza media dell’8% e massima del 12. Farò in modo di togliere gli occhiali da sole.

venerdì 23 maggio 2014

Il diario del Giro. Tredicesima tappa: Fossano-Rivarolo Canavese (157 Km). Meringhe, materassi e Marcel Proust


Rivarolo Canavese - Oggi sono riuscito a vedere la tappa. Lo so, questo sorprenderà i miei detrattori, ma oggi sono riuscito a vedere la tappa. Una parte della tappa. Non una tappa indimenticabile. Diciamo una frazione predisposta a smaltire la fatica fisica, nervosa e vinicola della cronometro di ieri e funzionale a preparare i corridori all’arrivo in salita di domani a Oropa, secondo omaggio di questo Giro d’Italia numero novantasette alla sacra figura di Marco Pantani. Comunque parliamoci chiaro, per vedere tutte le tappe bisogna essere malati o disoccupati. Fra le due opzioni la seconda è preferibile alla prima, se dopo il periodo di disoccupazione subentra un nuovo impiego o comunque una rendita che permette al fu non occupato di mantenere se stesso e famiglia. Essere disoccupati per un periodo limitato è probabilmente la condizione ideale. Si può progettare di scomparire, rendersi conto della propria inutilità eppur così fondamentale, andare in montagna o al mare o starsene a casa e magari buttare giù quel romanzo che gira nella testa da un po’. Invece il Giro d’Italia formato malattia preferirei evitarlo, ho già dato abbastanza fra i sei e gli otto anni quando guardavo la corsa con mio padre che non stava bene e aspettavamo, come oggi, gli ultimi chilometri di una tappa pianeggiante per scoprire se ai fuggitivi sarebbero bastati i minuti o i secondi di vantaggio accumulati sul gruppo. Un Giro come malattia, in tuta o in pigiama, come la Ricerca del tempo perduto che per riuscire a leggerla, secondo il fratello di Marcel Proust, era obbligatorio rompersi una gamba, o appunto trascorrere un lungo periodo di degenza in ospedale. Ecco ho visto la tappa, gli ultimi trenta chilometri della tappa. Ma sinceramente non è stata una tappa indimenticabile. Ho chiamato il direttore del giornale per comunicargli che stavo seguendo la tappa, visto che non perde occasione per ricordarmi che se mi ha inviato al Giro è per ricevere alla sera una cronaca della corsa dettagliata adatta al nostro lettore tipo. Ne ho approfittato per chiedergli se domani dopo la salita di Oropa posso prendere l’aereo e andare a Lisbona per seguire da vicino la finale di Champions League tra Real Madrid e Atletico Madrid. Come figlio di materassaio e superbo materassaio mancato non posso che tifare per la squadra di Simeone. Parcheggiamo il pullman davanti alla porta e stiamo a vedere: maledette Merengues non passerete! Che a dire il vero trovo le meringhe adorabili. Con panna montata, con cioccolato. Ma le meringhe intese come Real Madrid lasciano il tempo che trovano. I materassi invece. Il direttore del giornale ha detto che per Lisbona me lo posso scordare, è troppo tardi. E poi se domenica alle dieci del mattino devo essere in libreria per lavorare otto ore la vede difficile. Così, ho finito di seguire la tappa Fossano-Rivarolo Canavese che tuttavia non è stata una tappa indimenticabile. Anche i ciclisti sembravano pensare ad altro, alla frazione di domani. Sembravano avere in mente Marco Pantani che nel 1999, in maglia rosa, è costretto a fermarsi a dieci chilometri dall’arrivo al Santuario a causa del salto della catena. Marco che riesce a recuperare, da solo, sugli avversari fino a vincere la tappa addirittura per distacco. Questa digressione abbiamo deciso di metterla oggi così anticipiamo tutta la concorrenza che penserà a un ricordo di Pantani negli articoli di domani sera. Comunque non è stata una tappa indimenticabile. Tutti a credere che il gruppo prima o poi avrebbe risucchiato nel suo avanzare ferroviario i fuggitivi (prima sei, poi tre) ma poi niente di tutto questo. I vagoni del treno a pedali non si decidevano, chi per paura di perdere ancora contro Bouhanni, chi per noia o sazietà di aver già trionfato tre volte (sempre Bouhanni). Andava a finire che i tre corridori rimasti soli senza quasi nemmeno esserne convinti si ritrovavano a sprintare e vinceva l’italiano Marco Canola davanti a Rodriguez e Tulik. Bouhanni per ripicca vinceva la volata del gruppo precedendo come da tradizione Nizzolo e Viviani. La maglia rosa restava sulle spalle di Uran Uran da Urrao. Non una tappa indimenticabile, ma almeno questa volta l’ho vista.

giovedì 22 maggio 2014

Il diario del Giro. Dodicesima tappa: Barbaresco-Barolo (41,9 Km). Beppe Fenoglio non è Uran Uran, che viene da Urrao


Barolo – Dormivo così bene che mi sono svegliato alle due e quarantacinque del mattino con un ricordo non nuovo nella testa. Quando da ragazzo ogni giorno libero disponibile partivo da Brescia e solitario mi recavo in una città della penisola più o meno lontana con l’idea di sprofondare in un’altra vita, senza le solite abitudini, innamorandomi di certe ragazze incontrate per strada, a Piacenza, a Bologna, a Firenze, sposandole addirittura in alcuni circostanze ma solo fino al termine del giorno quando ero costretto a comunicare alle novelle mogli che il giorno dopo purtroppo sarei dovuto partire da solo per Torino, Roma o Napoli. Una specie di acerbo e furbo Giro d’Italia pensavo alle due e quarantacinque del mattino, anche se in seguito mai mi sarei perdonato di non aver esteso queste tappe all’estero per periodi più lunghi di una settimana, potendomi così innamorare di nuove ragazze anche a Valencia, a Lisbona o a Berlino. In ogni caso sarà colpa di questi alberghi, di questi alberghi e di questi letti che cambiano ogni giorno, la dura vita notturna di noi inviati al Giro d’Italia, a volte mi piacerebbe semplicemente alzarmi sempre nello stesso letto, sempre nella stessa casa e andare a timbrare il cartellino in libreria, quando ancora mi veniva permesso di fare il libraio. Invece eccomi qui tra Barbaresco e Barolo, il direttore del giornale oggi mi ha consigliato di evitare paralleli tra vini e ciclismo perché lo faranno tutti, meglio sarebbe immaginare i corridori ubriachi e soli nella cronometro individuale, isolati a smaltire la sbornia pesante avvolti dai loro problemi esistenziali, senza gregari a consolare le loro incertezze, mi conviene partire subito a tutta o gestire per non arrivare spremuto al traguardo di Barolo? Da Barbaresco a Barolo passiamo anche per Alba, 168 metri di altitudine, Alba la presero in duemila, il dieci ottobre, e la persero in duecento, il due novembre, dell’anno 1944. Pochi dischi mi sono rimasti impressi nella memoria come il concerto in onore e a memoria di Beppe Fenoglio del Consorzio Suonatori Indipendenti, registrato ad Alba alla chiesa di San Domenico, il 5 ottobre 1996. Anche la disperazione impone dei doveri, e l’infelicità può essere preziosa. Per questo i ciclisti nella cronometro individuale passano leggeri e ubriachi lungo la strada di Alba, almeno nelle mie intenzioni, e si fermano a fare il rifornimento alla chiesa di San Domenico, pur consapevoli di danneggiare sensibilmente la loro prestazione in termini di minutaggio, di poter magari mandare all’aria l’intero Giro per fermarsi a leggere qualche frase di Beppe Fenoglio. Ma Primavera di bellezza o La Malora? I ventitré giorni della città di Alba o Il Partigiano Johnny? Chiedetelo a Cadel Evans, non vi risponderà. Impegnato nella crono-enologica sbaglia tutto, sia le salite che le discese, perdendo lucidità anche dal punto di vista psicologico. L’ubriaco del giorno è lui, che perde la maglia rosa canticchiando dopo il traguardo Occorre essere attenti per essere padroni di se stessi occorre essere attenti. Meno poetici e più razionali risultano Ulissi e Uran Uran, il colombiano peraltro nato a Urrao. Da non credere. Mi chiamo Uran Uran e vengo da Urrao. Serioso e meccanico nel suo completino nero si prende tappa e maglia rifilando un minuto e sedici a Ulissi e un minuto e trentaquattro a Evans che comunque non si scompone, Non temere il proprio tempo è un problema di spazio. E la classifica generale? Buona domanda. Allora Uran Uran, Evans a trentasette secondi, Majka a uno e cinquantadue. Uran Uran insomma, Urrao.

mercoledì 21 maggio 2014

Il diario del Giro. Undicesima tappa: Collecchio-Savona (249 Km). I fratelli Dardenne non vinceranno il novantasettesimo Giro d’Italia


Savona – Discutevo animatamente con il direttore del giornale su questioni che non riguardavano nello specifico la tappa di oggi, Collecchio-Savona di 249 chilometri, ma più in generale il nostro rapporto sofferto, e in particolare la mia difficoltà ad accettare che lui non perdesse occasione per vantarsi di non leggere libri. “Ma lo capisci che la faccenda non sta in piedi? Dirigi un giornale importante e non leggi mai un libro, anzi ti vanti di non leggere libri, ma ti pare una cosa normale?” Lui mi rispondeva di stare al mio posto, che il capo comunque aveva sempre ragione, e poi che non era vero che non leggeva nessun libro, cioè adesso forse sì, ma in passato aveva letto ad esempio Il gabbiano di Jonathan Livingston che restava in assoluto il suo romanzo prediletto. Avrei preferito di no. Allora mi era venuto in mente Paolo Nori, Paolo Nori che dentro Mo mama parlando del sindaco di Parma Federico Pizzarotti era rimasto scosso nell’apprendere che il libro prediletto dal primo cittadino grillino fosse proprio Il gabbiano. Ma come? Il gabbiano può essere il libro preferito di un quattordicenne, ma di un quarantenne allora c’è qualcosa che non va. Hai capito direttore? Tu peraltro di anni ne hai quarantacinque, cinque in più di Pizzarotti, la mia preoccupazione aumenta, il tempo stringe. Lo so, questa digressione sarebbe stata perfetta per una tappa con partenza oppure arrivo a Parma, ma che vuoi farci oggi il Giro parte da Collecchio e arriva a Savona, a proposito sto cercando anche qualcuno che presenti il mio romanzo e quello di Antonio Gurrado a Genova nel mese di giugno, ti viene in mente qualche nome? E a voi, amati lettori? Il problema di avere un direttore di giornale che non legge libri è che quando ha scoperto che spesso non riesco a guardare la tappa nonostante sia scrittore inviato al Giro e nel mio diario rosa parlo d’altro, ha perso le staffe e mi ha spedito a fare le cronache finanziare. Non ci capisco niente e per ripicca quindi parlo di ciclismo. Oppure di cinema. A Concita De Gregorio invidio un poco lo stipendio ma soprattutto l’essere inviata al festival di Cannes. Stai a vedere che io che non conosco invidie, invidio bonariamente solo chi è inviato, pagato per viaggiare e raccontare. Il nuovo film dei fratelli Dardenne, probabilmente splendido, parla dell’orrendo mondo del lavoro odierno. “Allora, volete voi che Sandra resti al lavoro o preferite eliminarla ed avere ciascuno un bonus da mille euro?” Un referendum fra i dipendenti. Marion Cotillard è decisamente bella, francese sintesi di grazia. Certo una protagonista brutta avrebbe reso meno. Secondo Repubblica, Marion “è veramente carina. La star del cinema francese indossa un abito scultura incrostato di bottoni stile che felicità indossare una merceria”. Esiste qualcuno retribuito per scrivere cose così, per dire. Il direttore del mio giornale invece sbuffa quando gli parlo dei fratelli Dardenne. “Quante volte te lo devo dire Savio? Il Giro quest’anno non verrà certamente vinto da un corridore belga”. Di passaggio a Genova i corridori hanno visto sfrecciare immobili alla loro sinistra diversi gruppi di lavoratori in difficoltà muniti di striscioni, fischietti e fumogeni. Sembrava la situazione ideale per una vittoria in coppia dei cineasti già autori di Rosetta, ma qualcosa non ha funzionato. Dopo una prima fuga di quattordici ciclisti e una caduta che ha coinvolto pure Diego Ulissi, il trionfo di tappa è andato a Michael Rogers, scampato a inizio stagione a una squalifica per doping in virtù dell’aver mangiato carne cinese invece che spagnola. Vi giuro che è così. Per quanto mi riguarda invece adesso torno in albergo e aspetto in stato di gioiosa ebbrezza la cronometro individuale di domani, da Barbaresco a Barolo, 42 chilometri e quattro stelle su cinque di difficoltà, già ammirevolmente soprannominata la “cronometro dei vini”. Del resto ieri in Franciacorta dove vivono i miei suoceri ho scoperto che aggiungendo al Campari la giusta dose di Müller Thurgau si ottiene un pirlo quasi perfetto e di natura altoatesina invece che bresciana. Ma cos’è il pirlo? E cosa c’entra con Barbaresco e Barolo? E con la Franciacorta? E tutto questo con lo svolgimento del novantasettesimo Giro d’Italia? Lo so caro direttore, niente.

martedì 20 maggio 2014

Il diario del Giro. Decima tappa: Modena-Salsomaggiore (173 Km). Cercando altri esseri umani in direzione opposta


Salsomaggiore - Neanche oggi sono riuscito a vedere la tappa. Finito il turno in libreria ho preso l’automobile e sono partito in direzione Brescia con un libro di Thomas Bernhard sul sedile del passeggero, meglio che fare il viaggio completamente da solo. Era in programma la Modena-Salsomaggiore a dire il vero, ma io viaggiavo sull’A4 in automobile non in direzione di Modena, e nemmeno di Salsomaggiore, tanto era una frazione estremamente pianeggiante mi dicevo, 173 chilometri con un’altitudine massima di 168 metri, figuriamoci, il direttore del giornale sarà in grado di comprendere la mia decisione di non scrivere la cronaca e di procedere verso Brescia pensavo, nessun arrivo del Giro in programma nella mia città di nascita ma solamente il figlioletto che mi aspetta al grido di “Papino!” In ogni caso avanzavo lungo l’autostrada in compagnia di Thomas Bernhard e della sua Cantina. Una volta liberato dal giogo del ginnasio catto-nazista, lo scrittore austriaco aveva pensato di andare a cercare gli altri esseri umani in direzione opposta, nel quartiere di Scherzauserfeld, alta scuola dei reietti e dei poveri. Al mattino, mentre battevo a ripetizione e misteriosamente scontrini alla cassa numero 7 mi ero scoperto a tifare abbastanza spudoratamente per Cadel Evans, sarà per il nostro essere quasi coetanei, dovendo ammettere a me stesso di essere giunto a quel tipo di non giovinezza in cui si comincia a parteggiare per certi atleti non più di primo pelo che grazie alle loro prestazioni confortano se stessi e i loro simili, nello specifico anche il sottoscritto trentanovenne. E pure E.C. su Repubblica mi veniva incontro, riprendendo le parole di Evans che invitava i giovani corridori ad attaccarlo, e lasciando trasparire una certa predilezione giornalistica per la maglia rosa australiana, ovviamente anche perché mai coinvolta in tredici anni di onorata carriera in alcun caso di vero o presunto doping. Poi ero tornato indietro rispetto alle pagine sportive e avevo letto di minacce e insulti tra politici, del nostro temibile bisogno di vendetta, del Papa che spronava a non cedere al catastrofismo, ad essere semplice nello stile di vita, distaccato, povero e misericordioso. L’ambizione genera correnti e settarismi, mi diceva Francesco, e vuoto è il cielo di chi è ossessionato da se stesso. Ben detto, ma nel mondo reale io mi trovavo già in contratto di solidarietà, già mi ritenevo relativamente povero e misericordioso, con la concreta possibilità di essere nel futuro sempre più povero e sempre più misericordioso. E allora superata la curva di Bergamo ho aspettato il primo autogrill disponibile per guardarmi in santa pace almeno la volata, vinta nuovamente dal pugilatore Bouhanni (terzo successo al Giro) davanti all’italiano Nizzolo (terzo secondo posto al Giro). Poi ho evitato il processo alla tappa, consapevole che mai mi sarei imbattuto in Pier Paolo Pasolini in bianco e nero che dialogava con i corridori all’inizio degli anni settanta del Novecento, ho fatto rapidamente benzina e sono ripartito in direzione opposta fino a raggiungere moglie e figlio per l’occasione malati del più consueto e raffreddato fastidio stagionale. A Brescia i cicloamatori mi hanno accolto come da tradizione uscendo reattivi dai garage dopo la conclusione della tappa. Hanno l’abitudine di vestirsi in modo impeccabile i ciclisti bresciani, come corridori professionisti che pedalano in gruppetti distinti dai completi delle squadre più in voga del momento. Non mancano maglie rosa e della Lampre, diversi campioni del mondo e qualche maglia gialla. A Milano non capita questa cosa. I ciclisti escono dai portoni delle loro abitazioni ma spesso senza bicicletta da corsa e senza essere professionisti. Finirebbero probabilmente impigliati nelle rotaie del tram. L’essenziale a mio avviso è voler andare non soltanto in una direzione diversa, ma in una direzione opposta. Un compromesso non è più possibile.

domenica 18 maggio 2014

Il diario del Giro. Nona tappa: Lugo-Sestola (174 Km). Malacarne non è Malaparte, a volte i nomi dei ciclisti sembrano davvero inventati


Sestola - Oggi avevo pensato di non scrivere la cronaca della tappa e di farla domani quando il Giro riposa, tanto chi se ne accorge, del resto non sono nemmeno riuscito a vedere la corsa, Lugo-Sestola di 174 Km, perché ho passato la domenica da solo con il buon Pietro, diciamo dalle nove e trenta del mattino alle ventuno della sera. Ma poi mi sono detto: e la mia credibilità d’inviato che fine fa? E se qualcuno va a spifferare tutto al direttore del giornale? Quello si fida dei meno intelligenti, degli scodinzolatori bugiardi e con poco talento che per compensare l’assenza del medesimo vanno a riferirgli cose false o comunque non determinanti, fatto sta che mi ero preparato tutto, avevo pensato domani quando torno dal lavoro scrivo sul diario che questa volta avevo calcolato ogni cosa per riuscire a vedere la tappa, ma che poi acceso il teleschermo avevo scoperto che il Giro d’Italia riposava, il lunedì. Un buon inizio pensavo, non riesco mai a vedere nulla e quando mi organizzo per guardare qualcosa non trasmettono niente. Tanto la maggioranza aveva certamente già letto i quotidiani, spiato la televisione, insomma appreso della vittoria in volata a 1538 metri di altitudine dell’olandese Weening davanti al compagno di fuga Malacarne, e del buon terzo posto di Pozzovivo capace anche di recuperare trenta secondi in classifica dove adesso si trova quarto dietro a Majkan, Uran Uran e Cadel Evans. A volte i nomi dei ciclisti sembrano davvero inventati bisogna dirlo. Invece alle ventuno e quarantasette dopo aver scritto ad Antonio “Sai che faccio? La cronaca della tappa di oggi io la scrivo domani, sai chi se ne accorge” ho abbassato il volume del televisore che trasmetteva malinconico ciò che restava dell’ultima giornata di Serie A, conclusa seriamente nel pomeriggio con il raggiungimento dei 102 punti in classifica da parte della Juventus, e ho accesso il computer, sono andato a vedere com’era andata la tappa del Giro di oggi, ho scritto al direttore del giornale per dirgli “Qui a Sestola tutto bene, ha vinto l’olandese Weening davanti a Malacarne”. Lui mi ha risposto “Ancora con questi scrittori? Curzio Malaparte me lo ricordo pure io, guarda che non sono stupido come credi…” Io gli ho detto “Guarda che ho detto Malacarne, non era mia intenzione stavolta citare Malaparte”, lui mi ha detto “In ogni caso stai attento, se mi gira ti mando a fare le cronache finanziarie”, io gli ho detto “Stai tranquillo che fra trent’anni siamo tutti in una cassa di legno, arrivederci”. Così, così ho dimenticato di dire che questa mattina alle otto, quando mi sono svegliato, prima che Marta si alzasse per andare a lavorare di domenica giorno del nostro, santo Gesù, sono scappato di casa per comprare e leggere velocemente due giornali, il prima rosa il secondo con in prima pagina la fotografia di una tettona avvolta in un bel vestito fucsia sul tappeto del Festival di Cannes che mostrava un cartello con una scritta per chiedere la liberazione delle nigeriane rapite. “#BRING BACK OUR GIRLS”. Ma soprattutto, a sinistra della tettona, il consueto lenzuolo domenicale dell’anziano giornalista che invitata i suoi poveri lettori a votare per Renzi e per Schulz, il 25 maggio, ma più che un invito era un obbligo giacché l’anziano giornalista scriveva “Il 25 maggio bisogna votare per Renzi e per Schulz”. Ho pensato alla fortuna che avevo, non aver mai letto in trentanove anni di vita un articolo dell’anziano giornalista per intero, poter tornare a casa e trovare mia moglie e mio figlio svegli, pronta lei per andare al lavoro, lui per giocare una decina di ore col papino. E domani? Il Giro riposa, io la cronaca della nona tappa alla fine l’ho scritta, quindi mi sa che dopo il lavoro faccio una bella e stancante passeggiata lungo la mia città verticale.

sabato 17 maggio 2014

Il diario del Giro. Ottava tappa: Foligno-Montecopiolo (179 Km). Secondo qualcuno Bukowski, secondo qualcuno Pantani


Montecopiolo - Secondo qualcuno il Giro cominciava oggi, secondo altri il Giro tanto è morto da quando hanno fatto fuori Pantani. Secondo Matteo Renzi chi vota Pd non vota Cgil, secondo Repubblica Biagio Antonacci si è riscoperto contadino, tra ulivi da potare e vitigni da innestare. Ha imparato a seguire il ritmo della natura Biagio, con le infradito nere e la chitarra bianca rossa e verde guarda convinto nella macchina fotografica sullo sfondo della sua casa di campagna. Ma chiuso il giornale mentre camminavo distratto verso il lavoro ho intravisto da lontano un compagno di marciapiede puntarmi con decisione, l’unico, erano le sette di un sabato nel mio quartiere come sempre disabitato nei fine settimana: parcheggi liberi, automobili già partite per case al mare o case in montagna, solamente qualcuno che sistema con cura le mazze da golf nel baule, il sabato mattina nel mio quartiere mentre io vado a lavorare gli altri sistemano con cura le mazze da golf nel baule, comunque ero solo sul marciapiede fino a quando questo barbone non decide di puntarmi continuando a gridare qualcosa che non capisco bene da lontano, starà dicendo a me? Ma no, sembra più il dialogo urlato di un pazzo, si avvicina a pochi centimetri e mi assicura “Io, sono un grande scrittore!” poi se ne va, io riapro il giornale e arrivo alle pagine sportive, stai a vedere che ho incontrato Charles Bukowski quando non se lo filava nessuno e la sua puzza era insopportabile e poco di moda, una delle prime cose che mi viene in mente quando penso a Charles Bukowski è lui che viene chiamato dal direttore della fabbrica di cetrioli per la quale sgobba che vuole saperne di più del suo essere scrittore, una scena decisamente comica che al momento non ricordo con precisione perché ho un po’ di coda in cassa. In ogni caso finito il turno questo pomeriggio potrò perdermi tre eventi sportivi di un certo rilievo: l’ottava tappa Foligno-Montecopiolo, lo spareggio per la vittoria del campionato spagnolo Barcellona-Atletico Madrid, la finale di F.A. Cup Arsenal-Hull City. Pazienza, chissà se Antonacci interromperà un secondo le sue attività di contadino per seguire almeno uno di questi accadimenti, secondo Biagio sarebbe bello se i ragazzi nelle scuole studiassero l’agricoltura. Il Cippo di Carpegna è la montagna dove amava allenarsi Marco Pantani, una salita aspra fino a 1358 metri e una discesa tecnica con strada stretta. E’ la prima vera montagna del Giro che anticipa di qualche chilometro il finale di frazione con ravvicinata doppia ascesa a Villaggio del Lago (1002) e Montecopiolo, Eremo Madonna del Faggio (1235). I corridori come ogni anno faticavano inseguiti e incitati da qualche amatore più o meno curiosamente vestito, sul Carpegna è Arredondo il primo a passare ma poi viene raggiunto e sorpassato da altri protagonisti che salgono e scendono fino a quando Diego Ulissi a trecento metri dall’arrivo non trova l’attacco giusto trionfando così per la seconda volta dopo Viggiano, davanti a Kiserlovski, Kelderman, Quintana ed Evans che conquista la maglia rosa al posto di Matthews, da buon velocista crollato all’inizio della prima salita. Io dopo non aver visto la tappa non guardo Barcellona- Atletico Madrid, non guardo nemmeno Arsenal-Hull City, vengo a sapere al parco che la squadra di Simenone pareggia 1-1 al Camp Nou portando così a casa la Liga dopo diciotto stagioni, e che i Gunners di Arsene Wenger vincono finalmente un trofeo  a nove anni dall’ultima volta grazie ad un sofferto 3-2 sancito a dieci minuti dalla fine del secondo tempo supplementare dal centrocampista gallese Aaron Ramsey. Quindi ripiego verso casa in compagnia di Pietro, questa volta i gnocchetti con olio e parmigiano reggiano risultano graditi, alziamo i rispettivi calici brindando Cin e infine indossiamo dei pantaloni comodi per tirare qualche bomba con la pallina di spugna in corridoio. Domani nona tappa: Lugo-Sestola, 172 Km, tre stelle su cinque di difficoltà secondo la mia guida, secondo me non riuscirò a vederla.

venerdì 16 maggio 2014

Il diario del Giro. Settima tappa: Frosinone-Foligno (211 Km). Il cappuccino e Richard Ford


Foligno - Oggi non sono riuscito a vedere la tappa. Eppure mi ero svegliato presto, anche se meno di ieri, anche se questa volta per andare a lavorare in libreria ma non come libraio. Addio sogni di gloria, viaggi in prima classe tra Frosinone e Foligno per seguire in prima linea il Giro d’Italia e scrivere il pezzo da spedire in redazione, a lavorare, al massimo con la consolazione preventiva di cappuccino e brioche al bar, non roba da tutti i giorni, mi è rimasta questa cosa relativa all’educazione materna che non si può fare tutte le mattine colazione al bar, sommi cappuccino e brioche e sono due euro e trenta, li moltiplichi per trentuno giorni del mese e fa più di settanta euro, roba da matti, da ragazzino c’erano ancora le lire ma quando raramente facevamo colazione al bar poi uscivamo e mia madre ancora con il sapore del caffè sulla lingua sottolineava sistematicamente “Certo che se uno facesse colazione al bar tutti i giorni, poi alla fine del mese…” Così qualcosa nell’inconscio mi è rimasto e non faccio colazione al bar tutte le mattine nemmeno adesso che sono un ben stipendiato cronista sportivo. Sportswriter, direbbe Richard Ford. Questa cosa l’ho raccontata al direttore del giornale che però mi ha detto ti ho mandato in giro per il Paese per riassumere le tappe della carovana rosa (lui dice sempre la carovana rosa) e buttare dentro qualche spruzzatina di sospetto doping, non parlarmi di brioche e di tua madre, che gliene importa ai nostri lettori. Non è molto intelligente, il mio direttore, si vanta di non leggere libri e quando gli ho detto Richard Ford mi ha detto cerca di parlare dei ciclisti dei nostri tempi. Comunque, al bar prima di andare a lavorare c’èra il solito idiota che monopolizzava La Gazzetta dello Sport, osservato con odio puro e giustificato da tutti gli altri. Perché si siede e monopolizza, per venti minuti, io capisco dieci minuti ma venti, venti minuti al mattino sono un tempo importante, e poi spesso si alza a lettura terminata e commenta ad alta voce con le sentenze tipiche dell’italiano medio, quelli che rubano e quelli che no, quelli che si dopano e quelli che no. Questa mattina mi è passato alle spalle mentre sorseggiavo il cappuccino sbraitando al barista “Sono tutti drogati, state ancora a guardare il ciclismo, sono tutti drogati…” Io ho pensato Dio mio, dammi la forza di non reagire, appoggiare un secondo la tazza sul bancone e colpirlo accidentalmente con una gomitata, che sublime forma di redenzione, poi riprendere con eleganza a sorseggiare il cappuccino, non è successo niente, perché sei così stupido uomo della Gazzetta? E che mi dici di Richard Ford? Frank Bascombe, il protagonista di Sportswriter,  è un uomo ancora giovane che ha rinunciato al mestiere di scrittore per diventare giornalista sportivo. Ma il direttore del quotidiano per cui scrivo non sa nemmeno chi sia Richard Ford, figuriamoci Frank Bascombe, eppure dirige un quotidiano sportivo, almeno Sportswriter potrebbe leggerlo, ma lui si vanta di non leggere libri. Hey ma non dovevamo parlare della tappa? Come dicevo non l’ho vista, ma dai tanto adesso c’è internet. L’avevo pronosticato ieri, arrivo in volata. Però una fuga di cinque corridori capita, resistono resistono resistono mentre il gruppo aumenta il ritmo per risucchiarli, resistono litigando fra loro per darsi il cambio a tirare ma poi cedono, vengono risucchiati, e sul traguardo trionfa ancora il francesino Bouhanni davanti al nostro Nizzoli, come direbbe un cronista più patriottico di me. Invece no, vince il francesino mi dicono patito di boxe che infatti ha il coraggio dei matti perché mentre Nizzoli parte pulito e  centrale per la sua progressione, tecnicamente perfetta, Bouhanni sbuca fuori dalle transenne negli ultimi metri, le sfiora le transenne per poi accentrarsi lievemente ondeggiando grossolanamente, meno bello a vedersi ma pugilatore arrabbiato che passa primo a Foligno,  anticipando oltre all’italiano secondo come a Bari lo sloveno Mezgec e il solito Matthews, che mantiene la maglia rosa per il sesto giorno consecutivo. Allora fa sul serio? Tempo al tempo, io scommetto che il Giro lo vince Cadel Evans, il direttore del giornale mi dice non dire prima chi vince la carovana rosa. La tappa non l’ho vista perché uscito dalla libreria ho pranzato e poi quando il collegamento Rai stava per iniziare Pietro si è svegliato dal suo riposo pomeridiano dicendo inequivocabilmente “Bici dai”.  L’ho accompagnato quindi il mio amico lungo le strade e i parchi del mio quartiere stando dietro alla sua mini-bicicletta con l’ammiraglia delle mie gambe fino a quando non sono arrivate le sette di sera e lui ha detto “Gelato”, io gli ho detto “Gnocchetti”, lui ha detto “Gelato”, io “Gnocchetti dai sono le sette”, lui “Ge-la-to!”. Abbiamo preso un Mottarello. Che cosa fosse esattamente quella vita piacevole che si aspettava, Frank Bascombe non lo sapeva proprio. Comunque, non poteva dire non ci fosse stata. Erano solamente successe tante cose, da allora.

giovedì 15 maggio 2014

Il diario del Giro. Sesta tappa: Sassano-Montecassino (247 km). Andreotti o Ceronetti, in due per una maglia rosa.


Montecassino - Ormai dormo quanto Andreotti. Sarà per via della vita da inviato, il continuo cambiare letto e albergo, per fortuna pagato da qualcun altro. Ieri mi svegliavo a Taranto e discutevo con E.C. di doping e ciclismo, oggi da solo a Sassano che mi fa venire in mente Sassari e Salsano, città ed ex-calciatore piccolo della Sampdoria. Dormo quanto Andreotti e mi sveglio con una bugiarda freschezza che pagherò nel pomeriggio quando dovrò raccogliere le forze per scrivere questo diario, ogni giorno rubo un’ora alla notte e mi sveglio pensando ad Andreotti, è morto Andreotti? Sono stanco e mi capita di non ricordarmi immediatamente se Giulio sia morto, per diversi minuti, è morto oppure no? Forse l’anno scorso, ma sono realmente dubbioso, così  controllo sul telefonino e Andreotti è morto, il 6 maggio 2013, è stato un politico, scrittore e giornalista italiano. Andreotti è stato uno scrittore ma non l’hanno mai inviato al Giro D’Italia, comunque è morto un anno fa, mi è tornato in mente come una forma di anniversario a trecentosessantacinque giorni circa dal suo decesso, capita talvolta di non avere certezze sull’eventuale morte di un personaggio, Andreotti in maglia rosa che tipo di corridore sarebbe stato, molto probabilmente uno scalatore curvo sul manubrio, più ragionatore che spettacolare, nemmeno “Il Divo” mi pare chiarisca questo aspetto ciclistico e politico, Giulio camminava avanti e indietro nel lungo corridoio della sua casa romana. Ti accorgi che l’insonnia ha vinto quando ti sorprendi all’alba a controllare su Wikipedia le statistiche di un centravanti bosniaco per cercare di comprendere se possa essere un buon investimento per la tua squadra di calcio del cuore, ma torniamo al Giro d’Italia. L’idea di seguire ogni tappa viaggiando in treno dalla partenza al traguardo mentre la corsa avviene altrove eppure vicina, mi era parsa subito intrigante ma non mi aspettavo fosse sufficiente a convincere il direttore del giornale a pagarmi per seguire la corsa rosa. E’ stato più facile del previsto. Guido Ceronetti dal 1981 al 1983 girava l’Italia in compagnia esclusiva della sua raffinata intelligenza e del suo stile sperimentale per dare forma al suo viaggio in Italia. Anni prima l’aveva fatto Guido Piovene. La settimana scorsa è arrivato invece in libreria il viaggio in Italia di Napoletano. Cambiano i tempi. Ma Guido Ceronetti anche lui quando fuori da una stazione ferroviaria di una città col mare avevo trovato una prima edizione Einaudi del suo viaggio mi era capitato di pensare: ma è morto Guido Ceronetti? Avevo subito controllato sul telefonino. No ringraziando il Signore, Guido Ceronetti è vivo. Guido Ceronetti è vivo, cammina col bastone lungo i marciapiedi di Torino. A Montecassino si è svolto l’arrivo della sesta tappa del Giro d’Italia. La maglia rosa ha vinto a sorpresa la gara, non si trattava di Andreotti ma di Michael Matthews, bravo a battere in salita Wellens e Evans. Ma anche quest’ultimo può dirsi felice perché capace di guadagnare quasi un minuto sui diretti avversari in classifica generale: Uran, Morabito, Santaromita, Aru. E due su Basso e Quintana. Cercando il nuovo albergo di Montecassino ho sperato che la camera fosse silenziosa e il materasso comodo. Domani si parte da Frosinone per arrivare a Foligno. Un gran premio della montagna a 1007 metri di altitudine dopo 28 chilometri, poi qualche saliscendi mai oltre i 650 che potrebbero far ipotizzare qualche tentativo di fuga, ma pronostico con abbastanza decisione il gruppo che arriva in volata considerati gli ultimi 25 chilometri completamente pianeggianti. Per quanto mi riguarda spero di dormire, che Pietro non si svegli tante volte questa notte, domani torno in libreria e mi aspettano tre o quattro ore nel mio nuovo ruolo di cassiere. Nei rari tempi morti rifletterò sulla rivalità Andreotti-Ceronetti, cercherò di comprendere come mai gli italiani coltivino da sempre l’abitudine di dividersi in fazioni. Questo Giro numero 97 che si concluderà a Trieste vedrà gioire solamente una delle due parti, mi auguro di cuore che tocchi allo scrittore torinese mettere in bacheca questo rosa viaggio in Italia.

mercoledì 14 maggio 2014

Il diario del Giro. Quinta tappa: Taranto-Viggiano (203 Km). Vasco Pratolini alle cinque del mattino


Viggiano - Mi sono svegliato alle cinque del mattino, non che fossi in apprensione per la quinta tappa, a dire il vero la prima con arrivo in salita ma niente di trascendentale, altitudine massima 948 metri, mi sono svegliato alle cinque del mattino e ho fatto barba, doccia, colazione in albergo, caffè in un bar di Taranto con lettura rapida della Gazzetta dello Sport, non ero fra i trenta + uno dei pre-convocati di Cesare Prandelli per i Mondiali brasiliani ma non mi ero fatto illusioni, eppure c’erano Mirante e Darmian, a trentanove anni però ci sarebbe voluto in miracolo, bene avevo fatto ad accettare la proposta del quotidiano allora di seguire da vicino il Giro d’Italia numero 97 come scrittore non inviato, oggi da Taranto a Viggiano, mi ero sempre lamentato di non aver mai goduto di questa possibilità e adesso toccava a me. Al bancone il giornalista E.C. non aveva dubbi, la febbre di Marcel Kittel nascondeva doping,  a questo ero riconducibile il suo ritiro, io dopo il caffè gli avevo detto “Il tuo problema E.C. è che sei ossessionato dal doping, il doping è certamente una parte del ciclismo ma non tutto il ciclismo, nel tuo articolo relativo alla tappa di ieri non hai scritto nemmeno due righe sull’andamento della gara, c’è qualcosa che non va, guarda i colori e le strade, scrivi di quello, collegali a musica cinema o letteratura, ma li vedi i colori e le strade?” Il percorso prevedeva un arrivo in salita, un finale a circuito come ieri a Bari ma con ascesa a novecento metri di altitudine, quindi discesa tecnica e rettilineo conclusivo di 100 mt al 6% di pendenza. Ma non è per questo che mi ero svegliato alle cinque, saranno stati altri motivi, dopo il caffè mi sono ritrovato in libreria, come al solito avevo timbrato in orario, di conseguenza non ero per niente inviato alla corsa rosa cosa mi era saltato in mente, non ero Vasco Pratolini al trentottesimo Giro d’Italia (14 maggio-5 giugno 1955), reduce da una cura di sei mesi per disturbi leggeri ma noiosi, non relativi al cuore, alla pressione, non relativi a nulla. Fino a quando la diagnosi non era balzata agli occhi con l’evidenza delle cose di natura. Vasco era ammalato di sedia e di scrittoio, e andar dietro al Giro gli era parsa la medicina più sicura. Già al solo pensiero, gli era passato il mal di capo. Non ero Vasco Pratolini allora, nemmeno un suo vicino di osservazione ciclistica terapeutica, non eravamo nel 1955, al termine del turno sarei corso a casa per mangiare un panino, prendere l’automobile e correre a Brescia dalla mia famiglia, niente tappa anche oggi, come giustificarmi agli occhi del direttore del quotidiano, gli avrei mandato la consueta cronaca di tappa fasulla, una vittoria italiana finalmente, quella di Diego Ulissi abile a sfruttare il traino della maglia rosa Matthews fino a tagliare il traguardo prima di Cadel Evans e Moreno Arredondo. In autostrada mezz’ora di coda per incidente, Vasco Pratolini, oggi avevo un mal di petto simile al tuo mal di capo, per questo mi sono svegliato alle ore cinque, mi sono fatto barba e doccia, colazione in albergo, caffè in un bar di Taranto prima di ritrovarmi a sorpresa di nuovo in libreria, non inviato ma premiato nel ricevere in dono da un barbuto e gentile rappresentante una copia del nuovo libro di Marino Sinibaldi, Un millimetro in là-Intervista sulla cultura. E la tappa di domani? Sassano-Montecassino, la guida dice media montagna, 247 Km. Al termine della coda sull’A4 sono uscito a Ospitaletto, ho proseguito verso Gussago e giunto nel cortile alberato prospiciente la casa dei nonni mi aspettava Pietro con sua mamma. “Papino!” ha gridato, con la bocca allungata a sorpresa, gioia definitiva. Abbiamo parcheggiato la macchina insieme, due tre quattro cinque volte, prima marcia retromarcia, quest’aggressiva passione per l’automobilismo, non saprei davvero dire da chi l’ha presa.

martedì 13 maggio 2014

Il diario del Giro. Quarta tappa: Giovinazzo-Bari (112 Km). La velocista Valduga, il beato Maggiani


Bari - E’ andata che il famoso velocista tedesco, descritto solamente l’altro ieri da un noto quotidiano italiano come un dio della potenza e della forza dal volto squadrato, dai lineamenti duri, gli occhi azzurrissimi, un po’ Rocky IV un po’ Arnold Schwarzenegger, ma che a essere precisi assomiglia piuttosto a Ivan Drago di Rocky IV e non a Rocky IV medesimo come ha scritto il giornalista; è andata che Marcel Kittel si è ritirato dal Giro d’Italia a causa della febbre e alla partenza di Giovinazzo questa mattina non c’era. Io invece ero a Milano in libreria, alla cassa numero 7 dalle 9.30 alle 14, guarito dalla febbre e dopo essere stato in ferie, e mi ripetevo che ero beato, beato me, beato me, leggendo ad alta voce ai clienti dei passi dall’ultimo libro di Maurizio Maggiani, sottile e nero, un’invettiva narrata oralmente che mi sforzavo di riprodurre pur non amando generalmente i reading, mentre dall’altra parte della cassa le persone volevano il sacchetto oppure il pacchetto, avevano oppure non avevano la tessera fedeltà, sceglievano bancomat oppure carta di credito, dalle 9.30 alle 14, la questione linguistica dello stare in cassa per un tempo prolungato, è quello che mi preme. Oltre ad immaginare Maggiani, i suoi figli della Repubblica, alternavo le soluzioni datemi in dotazione dal buon Dio e dalla mia formazione autodidatta per stupire i clienti con la mia presunta proprietà di linguaggio, sorprendente per un cassiere, desidera un sacchetto oppure un pacchetto, spesso nascono secondi di silenzio, ci guardiamo negli occhi, guardali negli occhi, ci osserviamo in attesa di una risposta, io, loro no, ci pensano, un reading non se l’aspettavano, si tratta di un’invettiva di Maurizio Maggiani, non è roba mia. A Giovinazzo invece piove, viste dall’alto ogni città e paese d’Italia regalano espressioni di meraviglia, certi documentari degli anni sessanta di Folco Quilici ritrasmessi di recente su Rai Storia, ma anche qui l’elicottero del Giro accompagna i ciclisti dall’alto e sorvola la bellezza di Bari, siamo arrivati al circuito finale di otto giri di 8,3 Km ciascuno dentro la città e il maltempo è arrivato puntuale, la direzione della corsa ha deciso di non assegnare abbuoni e i tempi per la classifica generale verranno presi alla campana dell’ultimo giro. I ciclisti scivolano, Maurizio Maggiani l’ho incontrato solamente una volta, in libreria, sarà stato il 2002 o il 2003, lui usciva dal bagno io entravo in bagno per lavarmi le mani, la porta era bianca, era venuto a presentare un suo romanzo (La regina disadorna? Il coraggio del pettirosso?), indossava le bretelle, risultava trasparente. I suoi figli della Repubblica sono entrati nella gioventù osservati ma non pedinati, controllati ma non compressi, repressi ma non asserviti. La mia gentilezza di cassiere è un petardo che spaventa perfino me stesso, fino a quando non scoppia, ieri sera in pizzeria con Antonio abbiamo parlato del Giro e del nostro futuro tour italiano per presentare i nostri due imminenti romanzi sportivi che hanno solo qualcosa di sportivo, una volta fuori abbiamo deciso per una passeggiata lungo corso Buenos Aires e stavamo discutendo di una poesia di Patrizia Valduga quando abbiamo incontrato Patrizia Valduga. Abita da quelle parti. Con la velocità di una ragazzina ci ha presentato la sua compagna di camminata. “Avete davanti a voi due vedove di un certo livello: la vedova Raboni e la vedova Zanzotto”. Poi sono scomparse rapide, e Antonio è andato a prendere il treno. Il ritiro di Marcel Kittel ha spianato la strada al francesino Nacer Bouhanni, sempre piazzato nelle volate dei giorni scorsi, più veloce nella circostanza di Nizzolo, Veelers, Ferrari e Viviani. Intervistato sotto il caschetto il vincitore aveva la faccia rosa e marrone per via degli schizzi di pioggia e fango, non ha recitato una poesia di Patrizia Valduga, spero gli abbiano almeno dato un po’ d’acqua e un asciugamano pulito per lavarsi le guance e godere al meglio dei baci delle due Miss sul palco. L’invettiva di Maggiani si legge in meno di un’ora, dopo il lavoro ammetto di aver continuato la lettura a casa, azzerando il volume della televisione, tenendo la tappa in sottofondo e sperando che non terminasse prima della fine del libro. Michael Matthews ha conservato la maglia rosa per il terzo giorno consecutivo, record eguagliato per un australiano. Domani partenza da Taranto e primo arrivo in salita, a Viggiano. 203 Km. E da qui in poi, da qui in poi, basta.

domenica 11 maggio 2014

Il diario del Giro. Terza tappa: Armagh-Dublino (187 Km). I compleanni sospetti, Bobby Sands e Gianni Clerici


Dublino - Dev’essere una faccenda di compleanni che potrebbe anche gettare un’ombra sull’effettiva regolarità della manifestazione perché la tappa del Giro d’Italia di oggi, che purtroppo non sono riuscito a vedere, ha sancito la seconda vittoria consecutiva di Marcel Kittel, come del resto ieri, con la differenza però che oggi il velocista tedesco, descritto da un noto quotidiano italiano come un dio della potenza e della forza dal volto squadrato, dai lineamenti duri, gli occhi azzurrissimi, un po’ Rocky IV un po’ Arnold Schwarzenegger; ecco oggi Marcel Kittel ha vinto proprio nel giorno del compimento del suo ventiseiesimo anno di vita, com’era accaduto al canadese Svein Tuft nella prima tappa, che tuttavia di anni ne ha undici di più. A parte questo, sabato sera mi ero ritrovato sul divano a guardare Hunger, film di Steve McQueen che ricostruisce il trattamento riservato ai prigionieri politici nel carcere di Long Kesh in Irlanda del Nord. In buona sostanza soprattutto la storia di Bobby Sands, appartenente alla Provisional IRA, che per ottenere il riconoscimento di prigionieri politici per i membri dell'IRA, organizza uno sciopero della fame in cui perderà la vita. Ero sul divano e mentre i piani sequenza si ripetevano con una certa insistenza pensavo alla casualità che mi aveva fatto capitare sull’emittente che aveva pensato di trasmettere questo film irlandese durante la gita in terra verde della carovana rosa, forse non per caso. E cioè m’immaginavo i dirigenti dell’emittente che avevano fatto riunioni e riunioni fino a decidere di proiettare lungometraggi irlandesi in coincidenza delle prime tre tappe straniere del Giro, oppure niente di questo, ma soprattutto perché. In ogni caso, al venticinquesimo minuto del film, all’incirca quando Gerry, il compagno di cella di Bobby Sands, stava spalmando per protesta le sue feci dal pavimento fino al soffitto della cella, Pietro nell’altra stanza da addormentato era esploso in un fragoroso pianto e allora io e Marta avevamo abbandonato le rispettive postazioni di relax con un colpo di reni per raggiungere il letto del bambino, dimenticando d’un tratto l’orrore della violenza e delle torture delle guardie carcerarie nei confronti dei detenuti io, lei non lo so, e per quanto mi riguarda passando in un pochi secondi dal pubblico al privato, dallo sdegno per certi avvenimenti della storia sempre sconfortanti all’immediato tentativo di capire come mai il mio bambino preferito piangesse disperato. Spenta definitivamente la televisione, ci saremmo addormentati per svegliarci poi ripetutamente nel corso della notte ad ogni sobbalzo lacrimoso di Pietro, preoccupati a vicenda, facendo sembrare di no. Il mattino seguente, abbastanza assente per la stanchezza accumulata, sapevo già che non sarei riuscito a vedere la terza puntata del Giro d’Irlanda, Armagh-Dublino, percorso comunque pianeggiante che si sarebbe concluso al 100% in volata. I ciclisti avrebbero ricordato Bobby Sands? Lo escludevo, di certo non avevano guardato Hunger come me la sera prima e non erano rimasti quindi con la questione irlandese in testa, ma con l’altimetria della tappa sì, che prevedeva un inizio collinare, due gran premi della montagna ma banali, un finale cittadino dopo aver oltrepassato il fiume Liffrey, dall’Irlanda del Nord alla Repubblica d’Irlanda. A un chilometro dall’arrivo Marcel Kittel era molto indietro, ma ha pensato di stare attaccato al francesino Bouhanni, che non compiva gli anni, e di usarlo come scia per arrivare ancora una volta primo davanti a Swift, Viviani, Appollonio. Io ho avuto da fare per tutta la giornata di domenica, arrivato a casa ho guardato parzialmente Roma-Juventus di nascosto mentre giocavo a nascondino con Pietro, ho pensato devi scrivere il diario del Giro e ti metti invece a spiare una partita di pallone, sei davvero inguaribile. L’articolo più bello della settimana però l’ha scritto Gianni Clerici, prendendo spunto dalla penosa vicenda della trattativa Stato-Hamsik-Ultras di un sabato fa. Il 7 giugno del 1963, il suo capo e amico Gianni Brera l’aveva assegnato alla cronaca dell’incontro Atalanta-Roma, a Bergamo. Ad un certo punto dell’incontro il comportamento di un vecchio tifoso della Dea era stato così furibondo da procurargli un malore. Clerici aveva sbagliato commentando ad alta voce che un tifo simile produceva squilibri, ma non avrebbe mai pensato, dopo il match, di trovarsi di fronte ad un gruppo di quelli che ancora non si chiamavano ultras, pronti ad aggredirlo al grido di “Dagli al romano!” Per sua fortuna, uno studio sul poeta Carlo Porta aveva aiutato Clerici a perfezionarsi nel dialetto milanese, il necessario per convincere gli ultras della sua non romanità. Da quell’episodio comunque Gianni Clerici decise di non scrivere più di calcio, si licenziò, venne riassunto quarantotto ore dopo con l’incarico di occuparsi di sci, basket e dell’amato tennis. Così anche questa tappa è andata, la maglia rosa è rimasta sulle spalle di Michael Matthews, domani il Giro riposa e anche io, ci sentiamo martedì per la Giovinazzo-Bari.

sabato 10 maggio 2014

Il diario del Giro. Seconda tappa: Belfast-Belfast (219 Km). Il bello del Giro d'Italia è lasciarsi addormentare


Belfast - Oggi non sono riuscito a vedere la tappa. Avevo promesso a me stesso di guardarla, anche per rimediare alla prima puntata che avevo bucato, ma poi c’era il sole, era una giornata di fine primavera con il cielo prevalentemente azzurro, temperature tra 14 e 25 gradi, aggiungiamo il fatto che Marta iniziava a lavorare alle 15 e dovevo badare a Pietro, come da accordi la televisione non è prevista almeno fino ai quattro o cinque anni, forse di più, la radio disturba i nostri giochi e non rende come la televisione, una volta tanto, il bello del Giro d’Italia è guardare, lasciarsi addormentare sul divano dai paesaggi e dalla facce diverse degli italiani, dappertutto, questo vale anche per il Giro d’Irlanda. Ci troviamo ancora a Belfast, ieri è stato un grande successo dicono i giornali, con oltre duecentomila persone lungo il percorso, il Giro d’Italia alla radio lo ascoltavo solo da mio zio quando facevo i materassi, per la precisione lui faceva i materassi, io i cuscini e già mi sembrava di andare storto con ago e filo, i materassi erano addirittura un’altra dimensione, prima era necessario imparare a fare bene i cuscini, comunque ascoltavamo il Giro alla radio, si parla ormai di vent’anni fa adesso che ci penso, usavo ago e filo e pensavo che avrei preferito guardare la tappa in Tv, alla radio non si capiva niente. Ecco allora che appena dopo le quindici siamo partiti in direzione parco di Pagano con Pietro, lui con la sua bicicletta arancione e nera senza pedali, lui sì immerso completamente nell’atmosfera del Giro, pronto a scattare lasciandomi sul posto appena fuori dal portone di casa, un’accelerazione per far capire subito come sarebbero andate le cose, lo sguardo del padre che controlla la distanza massima che il bambino può raggiungere dal genitore senza che ci sia pericolo, che una delle automobili parcheggiate sul marciapiede ad esempio faccia marcia indietro, ci vuole una visione periferica per fare il papà, supervisionare senza ansia apparente, mantenendo il controllo. Il parco come quasi sempre era strapieno, il parco di Pagano intitolato a Guido Vergani, scrittore e giornalista, i figli di ricchi del mio quartiere, roteavano griffati da un gioco all’altro: altalena, gallo o cane con sotto la molla che fa avanti e indietro cavalcato dal bambino di turno, pallina o scivolata. La tappa prevedeva un percorso per velocisti, con particolare attenzione alle insidie del vento, visto che si costeggia il mare, ma sono cose che si dicono, e si scrivono talvolta esclusivamente per esigenze di spettacolo, mai sentito nessuno affermare la tappa di domani sarà una palla mortale, guardatevi un dvd di Marco Pantani, mi gioco due euro che il gruppo arriverà in volata, i gran premi della montagna sono due di quarta categoria, gli ultimi tre chilometri sono in discesa. E infatti vengo a sapere che dopo qualche tentativo di fuga, l’ultimo dell’olandese Tjallingii  arginato a quattro chilometri dal traguardo, la curva prima del rettilineo finale vede sbucare il favorito Kittel in decima posizione, apparentemente spacciato, e che invece sta solamente supervisionando come faccio io con Pietro quando mi prende qualche metro e trattengo il fiato, abbastanza serenamente, perché poi in linea di massima lo riprendo, o alla peggio grido “Stop!”, e Pietro allora inchioda anche esageratamente con le suole sul cemento tanto che gli dico con autorevole calma “Ok, bravissimo, tranquillo, ci sono le macchine.” Kittel dopo la curva recupera, recupera fino a vincere quasi per distacco davanti a Bouhanni, Nizzolo, Viviani, Ferrari. La maglia rosa invece passa dalle spalle di Svein Tuft a quelle del compagno di squadra Michael Matthews nonostante il tempo identico, per via delle posizioni d’arrivo, e questo mi spiace, perché leggendo i giornali questa mattina avevo appreso la curiosa storia del ciclista canadese vincitore della prima tappa, strana specie di vagabondo delle stelle, scappato da scuola a quindici anni in compagnia del fedele cane Bear prima a piedi e poi in bici, con episodi alla Into the Wild come un viaggio in Alaska dormendo per quattro giorni in una baracca disabitata, Svein e il suo cane, che chissà come sarebbero stati etichettati questi episodi prima del successo del film di Sean Penn, ma sì un tipo alla Jack London si sarebbe detto, tutto sommato un perdente salvato e non sommerso, ultimo al Tour de France dello scorso anno, e ieri a sorpresa premiato con la maglia più bella a trentasettenne anni. Michael Matthews al contrario sembra già progettato per vincere, campione del mondo under 23, un paio di tappe già vinte alla Vuelta. Il nuovo leader della corsa è lui, e adesso che ci penso prima di uscire in bicicletta con Pietro, mentre lui ancora dormiva, aspettando il Giro avevo sbirciato un paio di interviste ai corridori rilasciate dopo la firma del registro di partenza, e Tuft alla consueta domanda “Pensi di conservare la maglia rosa?” aveva risposto con l’aria persa, non abituato ai clamori, che a lui bastava esser stato felice almeno un giorno come il suo cane, e che per le volate tipo oggi la Orica-GreenEdge aveva uno bravo come Michael Matthews, capace di resistere al vento e alle responsabilità.

Cattolicesimo juventino


Senza dubbio da segnalare la copertina di Sportweek, tipico esempio di cattolicesimo juventino.