mercoledì 28 maggio 2014

Il diario del Giro. Diciassettesima tappa: Sarnonico-Vittorio Veneto (208Km). Lavoratori del Giro, tiè!


Vittorio Veneto - E’ successo ancora. Ma sì, mi riferisco a quel direttore di giornale (ma no, non il mio direttore di giornale) che ogni volta che pubblica un volume passa in rassegna le librerie di Milano e acquista tutte le copie presenti in negozio per andare al primo posto nella classifica dei più venduti. L’anno scorso aveva fatto tutto da solo. Quest’anno invece ha mandato due servitori che hanno recuperato tutta la giacenza, l’hanno caricata in automobile dentro scatoloni, hanno detto al libraio di turno “Cosa vuole che le dica, il mio capo è un…”, si sono recati alla libreria successiva dove hanno ripetuto il folle gesto. Dopo due ore si è presentato in libreria il direttore in carne e ossa con donna al seguito che ha chiesto “Ecco, volevo sapere se avevate il libro…” Un sistema di controllo efficiente. Ho telefonato al mio di direttore di giornale e gli ho raccontato scherzando la faccenda ma lui mi ha detto “Non ci trovo niente di sbagliato”. In ogni caso, i migliori giri in Italia sono stati quelli che non hanno avuto bisogno di ceri sotterfugi, Guido Piovene o Guido Ceronetti ad esempio viaggiavano lungo la penisola senza sbancare le librerie nazionali delle loro opere, cambiano i tempi, passano gli anni e i topi per le fogne. Einaudi ha ristampato in questi giorni l’occhio spietato di Ceronetti sull’Italia di oggi (1981-1983), ma francamente alla nuova copertina gialla preferisco la prima edizione che ho trovato qualche mese fa per caso appena fuori dalla stazione ferroviaria di Genova Brignole, la bancarella è quella sotto i portici di fronte al negozio di giocattoli. Ma cosa facevo a Genova? Gustavo i cannoncini di Panarello, anelavo ad una vita almeno parziale in compagnia del mare, e poi non ricordo più. L’altro Giro d’Italia prevedeva invece in data odierna l’ultima occasione per i velocisti sopravvissuti, da Sarnonico a Vittorio Veneto, tappa di recupero energie che vedeva sul traguardo addirittura due vincitori: il primo che per reagire alle critiche ricevute in cinque anni di carriera da professionista faceva un plateale e rabbioso gesto dell’ombrello, il secondo che pensando di essere primo e non sesto staccato di ventotto secondi dal quinto e ultimo del gruppo in fuga alzava le braccia in maniera più classica ancorché scatenata, ma che purtroppo non vinceva un bel niente. Si trattava dell’italiano Stefano Pirazzi e del finlandese Jussi Weikkanen. Poco male, le vittorie sono quelle che hai nel cuore, diceva qualcuno di saggio. Gli storici del Giro e delle coincidenze comunque sfogliavano gli almanacchi e si scopriva che per ritrovare un gesto dell’ombrello alla corsa rosa bisognava andare dietro dieci anni fino al medesimo movimento ad angolo retto compiuto da Tonkov in una tappa con arrivo Sarnonico, partenza di oggi. Insomma, era successo ancora. Mi bastava così. Ignaro di certe forme di pur umana maleducazione Quintana restava in rosa davanti a Uran Uran, Evans, Rolland e Majka. Scrivevo una breve lista di persone alle quali avrei fatto volentieri il gesto dell’ombrello, chiudevo il mio blocchetto di cronista quasi quarantenne e mi preparavo alle prossime tre tappe mortalmente montane prima della classica passerella finale stavolta triestina e non milanese.