lunedì 19 dicembre 2011

Il posticipo_ Juventus-Novara (Mangiare agnolotti stanca)



Probabilmente non erano trascorsi molti giorni da quando era andato per una stradicciuola di campagna, tutta deserta, col tumulto in cuore, portandosi dietro una rivoltella. Per questo, quando domenica mattina ho visto a Torino il soprabito che lo conteneva, magro e pallido, stazionare immobile eppure tremante sotto la pioggia battente appena fuori la Galleria Natta, ho chiesto a Marco di accostare.
”Ciao Cesare, per prima cosa dimmi cosa ci fai qui a prendere l’acqua come un albero, e perché non fai due passi più in là in modo da ripararti sotto la Galleria, dove non piove.”
”Perché sono innamorato di Pucci, Francesco, e la sto aspettando, da sei ore.”
”Ma Cesare, ti pare il caso di star qui a morire? Per una che si chiama Pucci, poi? E l’intensità del tuo amore, non sarà mica diversa se aspetti al coperto?”
Pavese non rispondeva e batteva i denti, mentre era quasi mezzogiorno.
”Sicuro che l’appuntamento non fosse per le sei di sera?”

In ogni caso, in due anche un grande poeta riesci a caricarlo sull’automobile, così l’abbiamo spinto dentro, abbiamo acceso il riscaldamento fino ad asciugarlo, muovendoci con decisione lungo le vie di una Torino fredda fa provvista di sole.
”Stavi lì ancora un po’ e ti beccavi una bella pleurite, Cesare. Per una che si chiama Pucci. Poi in primavera voglio vederti a stare a casa quando i tuoi amici vanno sul Po a farsi lunghe nuotate per scacciare il tedio e il dolore della anima.”

Giunti all’Albergo Roma: un piatto di agnolotti del plin, un bicchiere di vino rosso delle Langhe. Cesare si pulisce gli occhiali, fuma e sfoglia affranto o felice Tuttosport.
”Ho diciotto anni. Sono incapace, pigro, malcerto, debole, mezzo matto. Mai, mai potrò farmi una posizione stabile in ciò che si chiama la riuscita della vita. Eppure, sapete che vi dico? Che sono piemontese e allora oggi vengo allo stadio con voi, perché giocano Juventus e Novara. Mi distende i nervi guardare le partite di pallone, e se Silvio Piola dovesse confermarsi sui livelli delle ultime giornate, per la Juventus saranno dolori!”

Dentro la nuova nave grigia con righe tricolori che brilla, proviamo ad attirare l’attenzione del presidente Andrea Agnelli fumante sigaretta in cappotto blu. In un momento di sorprendente entusiasmo, agito addirittura una mano e dichiaro al vuoto:
”Presidente, sono Savio! E volevo...”
Cesare mi tira giù per un braccio.
”Guarda che non ti sente. Siamo dalla parte opposta, e poi queste cose noi timidi non le facciamo.”
Ma poi è lui ad alzarsi e a declamare in direzione di Agnelli:
”Presidente, la poesia è dappertutto! Un qualunque sentimento è poesia! E questo dono divino è l’unica cosa veramente nostra, perché la scienza è, sotto un certo aspetto, una realtà di tutti e di nessuno!"

Al terzo minuto del primo tempo ci ritrovavamo tutti quarantamila in piedi, per applaudire una bella azione che terminava con la rete di Pepe su intelligente cross rasoterra del galoppante De Ceglie. Juventus 1, Novara 0. Seduti. Poi ci saremmo alzati in altre circostanze, per occasioni clamorose sfumate sul più bello: Marchisio, Giaccherini, Pepe, Quagliarella, Del Piero. Tutti bravi a fare goal, quasi. Il volenteroso Novara, seppur privo del capitano Piola, teneva botta il possibile, sovrastato dai propri limiti tecnici, e il risultato restava così in bilico fino settantacinquesimo quando Quagliarella ritornava centravanti 364 giorni dopo l’ultima volta, girando in rete di testa un calcio d’angolo di Andrea Pirlo.

Uscendo dallo stadio con la voglia di voltarsi indietro a guardarlo ancora, Cesare preferiva proseguire da solo, a piedi:
”Grazie ragazzi, mi sono divertito. E’ stato un buon pomeriggio. Ora ritorno fuori dal Caffè-Concerto La meridiana in Galleria Natta ad aspettare quella ballerina. Ma non lo farò in eterno, e non mi ammalerò. Invece studierò e lavorerò per fare della mia vita la cosa migliore e più bella di cui sarò capace”.

martedì 13 dicembre 2011

Il posticipo_Roma-Juventus (Un asturiano a Roma)


Dopo l’ennesimo aumento della benzina, alla fine la popolazione era esplosa. Adesso Presidente della Repubblica e  del Consiglio ciondolavano impercettibilmente appesi per i piedi alla pensilina di un distributore di carburante.
Erano trascorsi pochi mesi dall’avvento dell’asturiano nella città eterna, ma lo spettacolare atterraggio di Luis Enrique nel prato del galoppatoio a Villa Borghese a bordo della sua aeronave spaziale pareva solo un lontano ricordo. Così come l’emozione pallida di Federico Fellini nello scorgere il disco volante dal Pincio dove si trovava scendere leggero, prima d’incontrare verso le diciannove lo scrittore Ennio Flaiano e abbracciarlo, in lacrime.
“Vivremo in un modo nuovo e semplice Ennio. Avremo una veloce pazienza nel far girare la palla, quasi come il Barcellona. L’aeronave è un’enorme meraviglia lucente. Gialla come il sole, rossa come il cuore mio”.   

Il Presidente del Consiglio poi aveva fatto recintare il disco volante, permettendone però  la visita mediante pagamento di una tassa a favore di certe opere assistenziali cattoliche. Il Presidente della Repubblica invece aveva ricevuto l’asturiano al Quirinale, interrompendo addirittura il tour promozionale per l’uscita del suo inutile libro, con grande sgomento delle genti corrotte o rimbambite già pronte ad applaudirlo per strada o nelle università. Nessuno come gli italiani era abile a volare in soccorso al vincitore.
La vita dei partiti sembrava essersi fermata. Ignobili adulatori di ogni schieramento strisciavano ai piedi del nuovo Premier, e balbettavano il loro assenso a una manovra iniqua, fingendo di non guardare l’asturiano presente in visita alla Camera dei deputati, ben sapendo che egli, li osservava tutti.
“L’Osservatore Romano” infine, nella consueta rubrica “Nostre informazioni”, aveva segnato tra i nomi delle persone che il Santo Padre aveva accolto in udienza privata anche quello di Luis Enrique, relegandolo però nell’elenco stilato per ordine d’importanza agli ultimi posti, si dice perché l’asturiano aveva preteso chiarimenti riguardo al versamento dell’Ici nelle casse dello Stato.

Il giorno in cui un ignaro benzinaio aveva esposto senza pensarci troppo il cartello Benzina Verde 1710 euro al Litro, era stato l’inizio della fine. In un rigurgito d’orgoglio, il popolo aveva smesso di lavorare, smesso di cucinare e si era diretto verso i luoghi del potere. I deputati presenti (pochi), i ministri del nuovo Governo, il Presidente del Consiglio e della Repubblica erano stati giustiziati e trascinati fino al distributore di carburante dove i rivoltosi avevano ritenuto esserci la pensilina più adatta all’esposizione. Ma in Italia anche la folla più inferocita, non rinuncia mai alla partita. Per questo il fiume di persone aveva preso la direzione dello Stadio Olimpico, e sfondato i tornelli aveva assistito dal vivo al primo incontro di Serie A trasmesso in 3D: Roma-Juventus.

Sul terreno di gioco, invece dello spettatore televisivo sembrava Arturo Vidal quello indossante gli occhialetti tridimensionali quando, al sesto minuto dl primo tempo, ciccava clamorosamente un’innocua conclusione di De Rossi facendola terminare alle spalle di Buffon. Ne usciva fuori una bella partita. Una Roma coraggiosamente schierata con l’esordiente capitano della primavera Viviani a centrocampo, ribatteva azione dopo azione ai tentativi di rimonta juventina che si concretizzavano solo al 61’ grazie ad un colpo di testa di Chiellini. Solo un minuto dopo, Vidal rimetteva nuovamente quei maledetti occhialini senza i quali era stato uno dei migliori in campo, giusto in tempo per fare fallo a Lamela in area di rigore. Totti calciava di potenza, ma Buffon respingeva. Il risultato non sarebbe più cambiato, lasciando agli osservatori la sensazione di un emozionante pareggio che avrebbe potuto essere anche altro.

Eppure, più forte del rumore giallorosso, qualcuno alla fine aveva gridato: “A asturiano!...”.
Luis Enrique si era subito voltato e ancora una volta l’inno della Roma era stato sovrastato da un suono lungo, straziante, plebeo. L’allenatore asturiano aveva fissato a testa alta la tribuna Monte Mario, senza riuscire a identificare l’autore del vile gesto sonoro. Poi una pernacchia ancora più forte, multipla, fragorosa, l’aveva spinto a volgere di nuovo lo sguardo al solitario contestatore, urlando:
“Italiano: mascalzone!”

sabato 10 dicembre 2011

Anticipi e posticipi a Pavia


Oggi, alla Nuova Libreria Il Delfino di Pavia (Piazza Vittoria 11), io e Antonio Gurrado riveleremo chi tra noi è Gianluca Vialli, e chi Roberto Mancini. Arbitrerà Roberto Torti de La Provincia Pavese. Se la presentazione di "Anticipi, posticipi" (Italic peQuod) dovesse terminare 0-0, si andrebbe direttamente ai calci di rigore.

lunedì 5 dicembre 2011

Il posticipo_Genoa-Milan (Da Quarto a Marassi, con Bianciardi e lacrimogeni)


Quando avevo appena gli anni per saper leggere, mio padre mi mise in mano Da Quarto a Torino. “L’ha scritto Luciano Bianciardi,” mi spiegò “ma adesso io torno a fare i materassi. Tu invece fai un po’ quello che vuoi.”
Da allora, credo che non sia passata stagione senza che io ragazzo rileggessi quelle pagine, affascinato da questo scrittore di Grosseto che si guadagnava da vivere traducendo, sei ore al giorno, tutti i giorni, e che dedicava solo il fine settimana alla sua scrittura.
All’epoca della breve storia della spedizione dei Mille, Luciano viveva a Milano da sei anni. Dove?

Una volta adulto, mi sono incamminato senza incertezze verso via Monterosa. Bianciardi abitava lì, ed essendo sabato, stava scrivendo cose sue. Ma se l’avessi convinto a tirar fuori dal garage il suo vecchio Bibliobus, saremmo arrivati a Genova in orario per aspettare impazienti con gli altri, distesi per terra, alla foce del Bisagno e sulla scogliera di Quarto, il tenente colonnello Nino Bixio passarci a prendere con il Piemonte e il Lombardo, le due navi gentilmente prestate da Giovan Battista Fauché, direttore della società Rubattino. Ma il tempo passava, e il Generale Garibaldi si spazientiva, preoccupato che tutti quegli uomini in mare potessero dare troppo nell’occhio.
Poi, da sotto il poncho una vibrazione. L’eroe dei due mondi a tastarsi dappertutto: nei pantaloni di flanella grigia, nei taschini della camicia rossa, fino a trovarlo, il suo blackberry, e sullo schermo illuminato il messaggio del Bixio:
“Giuseppe, siamo in ritardo. Abbiamo avuto problemi a scaldare le macchine, ad avviare le ruote, ad imbarcare sul Lombardo i mille fucilacci del La Farina. Ingannate il tempo, almeno due ore.”
Meglio tornare indietro con le barche quindi, e con gli altri Cacciatori delle Alpi fare finta di niente, disperdersi e fischiettare, passeggiando sulla riva prima di sparpagliarsi dandosi appuntamento a dopo. E già che ci siamo, con Bianciardi schiacciare l’acceleratore del furgone che una volta usava per portare i libri nelle campagne toscane e andare a Marassi, dove Genoa e Milan si fronteggiano per la tredicesima giornata di campionato.

Allo stadio tutti piangono, ma non è una brutta partita. Ci raccontano, a me e a Luciano, che il Milan ha già avuto due grandi occasioni, entrambe con Nocerino. La prima sventata con la punta del piede dall’inesauribile Marco Rossi, abile a togliere il pallone dall’orizzonte con goal del centrocampista rossonero. La seconda una gran parata di Frey. Poi, fuori dallo stadio sono partiti dei lacrimogeni, il pianto si è trasferito anche dentro, e l’intervallo ha sorpreso le due squadre sullo zero a zero. Al cinquantacinquesimo però, l’ancora commosso Kaladze falcia spudoratamente Ibrahimovic in area di rigore. Espulso, e Zlatan dal dischetto buca la rete: Genoa 0, Milan 1. E’ finita, ma come prevede il regolamento si prosegue fino al novantesimo. Robinho riesce ad alzare un pallone sopra la traversa a meno di un metro dalla riga di porta, il grottesco centravanti Pratto finalmente si smarca e calcia verso Amelia, ma il tiro termina in fallo laterale. Al settantanovesimo Nocerino fissa il risultato sul due a zero appoggiando in porta da pochi passi l’assist di Boateng.

Durante il viaggio di ritorno verso Quarto, Bianciardi borbotta e guida come uno che non ha più niente a che fare con il resto del mondo. Mentre allenta i bottoni della sua camicia rossa, riesco a chiedergli solamente in quale ruolo preferisce giocare, e se la vita era più agra ai suoi tempi, o ai miei. Luciano mi risponde:
“Io, come al solito gioco centromediano, metodista. Oggi si dice centrocampista. Coordino, imposto, a volte concludo. Stop di ginocchio, finta di corpo al piccoletto, che ormai non ride più perché regolarmente con la palla sono io che lo dribblo, palla all’ala, che centra, testa e rete. Schema classico. Ma lo scatto non è più quello di un tempo, il fiato neanche, ogni tanto devo fermami a riprenderlo. Ora la vita è sicuramente meno agra. Non si stenta ad arrivare alla fine del mese, non si saltano più cene, ci possiamo permettere di bere un bicchiere buono. Però, se la vita oggi è meno agra, è anche molto più confusa. I valori si confondono, le persone cambiano faccia, e ci si sente male. In un modo diverso, ma forse più di prima.”