venerdì 16 luglio 2010

Mondiali: Spagna-Olanda (Gli occhi arancio e catalani di Johan Cruijff)

(Savio per Quasi Rete Gazzetta dello Sport)
Nel giugno del 2006, mi trovavo a Malaga in uno di quei ristoranti di pesce sul mare poco fuori la città che consiglio a chiunque passi da quelle parti mentre De Rossi colpiva con una gomitata lo statunitense Mc Bride. L’Italia restava in dieci, e la partita si faceva complicata. Mai avrei pensato che di lì a poco la Nazionale avrebbe vinto il suo quarto Mondiale. Un cameriere quasi grasso aveva la camicia bagnata di sudore sulla schiena e trottava come un ragazzino tra i tavoli, pur avendo circa cinquant’anni. Osservandolo, pensavo a come poteva essersi sviluppata la sua vita, se anche da giovane correva così schivando sedie e mangiatori. Se i ragazzi di Lippi avessero raggiunto la grinta e l’umiltà di quel cameriere, nessun avversario sarebbe stato imbattibile.
Più lontano, un ragazzo aveva parcheggiato la sua automobile a pochi centimetri dal mare. Aveva aperto le portiere per far uscire la musica che stava ascoltando e si era seduto sopra il cofano. Fumava una sigaretta guardando l’orizzonte. Avevo desiderato vivere in luogo dove si potesse arrivare in macchina sul mare per lavarsi via lo sporco di certe giornate.

Domenica sera invece ero a Milano. Dopo aver architettato un sistema di finestre spalancate in stanze contrapposte per creare la maggiore corrente d’aria possibile, l’inizio della Finale dei diciannovesimi Campionati del Mondo mi è bastato per intuire che tradire la propria storia calcistica non avrebbe portato l’Olanda di Van Marwijk a nessun risultato. Durante gli inni, la speranza di vedere la Spagna trionfare era stata messa leggermente in dubbio dal ricordo dei due Mondiali persi ingiustamente dagli Orange nel 1974 e nel 1978. Ma i falli a ripetizione degli Arancioni hanno fatto scivolare questa idea di compensazione da giacchetta nera di basso livello nella parte più remota del mio cervello. La Spagna macinava il suo solito gioco, i tre cervelli del centrocampo Xavi, Iniesta e Alonso provavano a venire a capo della difesa a oltranza di Heitinga e compagni che gareggiavano tra loro in tentativi di intimidazione dell’avversario mediante ripetute randellate e sorprendenti colpi di Kung-fu. Quando De Jong ha provato a uccidere Xabi Alonso con un calcio al petto ho cominciato a tifare spudoratamente per le Furie Rosse. Il pessimo Webb condensava nelle sue decisioni tutta la vigliacca incompetenza di un arbitro non all’altezza della situazione, a dire il vero non aiutato dal comportamento antisportivo di Van Bronckhorst eccetera. Van Bommel, favorito alla vigilia della manifestazione sudafricana per la conquista dell’ambito “Matrix d’oro” assegnato da questa edizione al calciatore dei Mondiali più sleale, schiumava rabbia per il tentativo di sorpasso del collega di centrocampo, messo in atto con l’audacia dello studente che voleva superare il maestro. La Spagna sprecava (e avrebbe continuato a farlo fino a quattro minuti dalla fine) e certi contropiedi Sneijder-Robben gelavano la mia ambizione di vedere premiato il gioco del calcio. Quando Fabregas nel primo tempo supplementare si è divorato l’ennesima occasione, ho pensato seriamente al peggio. Olanda Campione ai calci di rigore. Ma troppe cose combaciavano. Iker Casillas, oltre ad apparire insuperabile e ad avere una fidanzata molto bella pronto a baciarlo in caso di vittoria appena finita la partita, ogni minuto che passava assomigliava sempre più a Dino Zoff mentre la fascia di capitano gli scivolava verso il gomito. Avrebbe alzato la Coppa d’oro come SuperDino, ventotto anni dopo. Gli occhi di Jesus Navas erano azzurri come il ghiaccio, e raccontavano la storia di una debolezza vinta, di attacchi d’ansia superati una volta per tutte. Il volto sornione di Del Bosque e la sua impeccabile correttezza, contrapposta all’isterismo di certi allenatori di Setubal plurigettonati dai cantori del “conta solo vincere”, meritavano il premio più prezioso. Il diagonale del pallido Iniesta ha reso giustizia alla squadra che ha giocato a pallone, per vincere, e anche Johan Cruijff, nel seguire con gli occhi (arancio e catalani) la traiettoria tesa infilarsi nell’angolo alla destra del portiere, ha pensato che in fondo non gli dispiaceva poi tanto.

domenica 11 luglio 2010

Mondiali: Germania-Uruguay (Addio Lugano bello)

(Savio per Quasi Rete Gazzetta dello Sport)
Conosco professori che si lamentano della durezza del loro lavoro, della scuola che va in pezzi, delle motivazioni che non ci sono più. Io li ho sempre invidiati per i due mesi di vacanza in estate, che si aggiungono alla settimana natalizia, a quella pasquale. La maggioranza degli umani su 12 mesi ne lavora 11, io purtroppo non faccio eccezione, e francamente mi sembra assurdo. Ma pazienza. A causa di questa sorprendente ingiustizia però, in luglio mi trovo a Milano a crepare di afa, a sentire il calore che sale dal cemento e ad esultare quando mia moglie mi propone di andare alla Coop per fare la spesa. Là almeno c’è l’aria condizionata. Da quando l’Italia è uscita dal Mondiale ho però un sussulto di dignità quando mi avvicino al banco dei latticini. Evito di spiare dentro le confezioni di Actimel quale sia il nome del calciatore raffigurato sulla calamita da attaccare al frigorifero. All’inizio mi ero dato da fare per scovare i miei preferiti: Del Piero, Pirlo, Buffon, Marchisio…Adesso compro gli yogurt a caso, restando indifferente se mi capita Gamberini.

Da appassionato di calcio mi riesce sempre difficile spiegare a certi tifosi italici del pallone che i Mondiali sono un’altra cosa (meravigliosa) rispetto al campionato. E’ una battaglia persa. Il tifoso della sua squadra ha occhi (bendati) solo per lei, non sostiene l’Italia se l’allenatore ha un passato importante in una fazione avversa (salvo trovarsi in strada a sbandierare tricolori il 9 luglio 2006). Quest’anno è già soddisfatto delle tre vittorie che ha ottenuto, dei Mondiali non gliene frega niente, tornerà a gridare cori in settembre. Non guarderà la finale per il terzo e quarto posto, che senso ha? Cosa si vince? Che differenza fa arrivare terzi o quarti?

Dopo un bicchiere di Brut della Franciacorta ho visto una partita splendida, e non credo a causa della leggera ebbrezza. Uruguay e Germania mi hanno riempito gli occhi di calcio vero, spazzando via i pochi secondi di fastidio che avevo provato leggendo sul giornale di un Moratti furioso, squalificato per soli tre mesi dalla Commissione disciplinare della Federcalcio (quando rischiava molto di più) e nonostante questo indignato, sempre agnello innocente in un mondo di lupi, pronto ad andarsene, a lasciare tutto ma poi no, come nella primavera del 2006 quando aveva proprio deciso di mollare l’Inter e tornare a fare il petroliere a tempo pieno ma poi invece era sorprendentemente scoppiata calciopoli.

Ma ecco, la smorfia di Lugano a fine partita è il calcio che amo, quello che si ferma sul campo di gioco. La botta di Schweinsteiger da trenta metri e l’intelligenza di Mueller nel decidere di scattare verso la porta per raccogliere un’eventuale respinta. L’infantile Muslera che torna per una partita quello degli esordi laziali e sbaglia parata restituendo al miglior giovane della manifestazione il pallone proprio dove voleva. Il perfetto contropiede celeste che porta Cavani a segnare il gol del pari. Quindi lo spettacolare tiro al volo di un grande Diego Forlan: 2-1 per l’Uruguay. Il nuovo pareggio di Jansen, su uscita completamente a vuoto di Muslera. Il 3-2 messo a segno di testa da Khedira, uno dei tanti talenti della bella squadra di Joaquim Loew. E all’ultimo secondo, l’incrocio dei pali colpito da Forlan su punizione. E’ finita, Germania e Uruguay lasciano il Sudafrica tra gli applausi degli appassionati di calcio, quelli che non si perdono mai la finale per il terzo e quarto posto.

venerdì 9 luglio 2010

Mondiali: Spagna-Germania (Quel silenzio sul lago di Garda che volge a mezzanotte)

(Savio per Quasi Rete Gazzetta dello Sport)

da Padenghe (BS)

Dall’invenzione della Televisione, la storia famigliare è piena di donne che passano davanti alla Tv durante la partita, mentre uomini quasi sempre seduti su divani muovono il collo a destra e sinistra per non perdere nemmeno un fotogramma della sfida. Ospite da mia sorella e suo marito a Padenghe sul Garda, ho notato come generazioni femminili diverse ripetessero gli stessi scatti davanti al teleschermo, brevi accelerazioni talvolta con la testa in avanti per ridurre i tempi del passaggio.
Visto che la Spagna faticava a trovare spazi, ho finto di essere Xavi e mi sono lamentato con mamma, sorella e nipotina: non fate i movimenti giusti! Come posso mandarvi in porta?
Del Bosque aveva rinunciato al centravanti tipico preferendo due punte di movimento come Villa e Pedro, + Iniesta finta terza. Non era la parte femmina della mia famiglia a mancare nell’attacco della Spagna.
Nella casa lacustre si tifa per le Furie Rosse che fanno come sempre la partita, ma faticano a trovare spazi fino al colpo di testa di Puyol. 1-0. Non manca molto, ma dei tedeschi non bisogna mai fidarsi.
Pedro in clamoroso contropiede vince la coppa dell'egoismo non passandola allo smarcatissimo Torres. Piuttosto che non fare gol lui il bravo Pedrito pare preferire l’uscita dal Mondiale in semifinale. Quando viene sostituito immagino che appena fuori dall’inquadratura il sempre pacato Del Bosque gli tiri una bella pigna.
Loew intanto si è tolto la giacca per sfoggiare il suo maglioncino di cachemire a V, ma non basta. Da tempo mi chiedo se si faccia la tinta ai capelli, e se sì perché scelga un nero così scuro, mentre apprendo da fonte sicura che l’ex vice di Klinsmann ha una predilezione per il Cancelliere Angela Merkel, ma ha pure conosciuto Shakira in aereo, apprezzandola.
La Spagna conquista con merito la sua prima finale in un Campionato del Mondo, anche se la Germania, fino a ieri la squadra più bella vista in Sudafrica, ha pagato l’assenza di Mueller, un Balotelli bianco non affetto dalla sindrome del bullismo.
Oltre il balcone, verso il lago, le birrerie si svuotano di tedeschi silenziosi e pieni di birra.

lunedì 5 luglio 2010

Mondiali: Olanda-Brasile (Anna Billò sta con Leonardo, Felipe Melo come Norman Bates e l’inferno dei terzini sinistri)

(Savio per Quasi Rete Gazzetta dello Sport)
Anna Billò è la mia giornalista di Sky Sport preferita. Non ho avuto dubbi dalla prima volta che l’ho vista, perché mi ha fatto subito sorridere. Aveva un modo di dare le notizie come se sottintendesse altro (cosa non so) e il labbro superiore le s’inarcava impercettibilmente verso l’alto, in modo affascinante e beffardo, come se stesse prendendo in giro qualcosa o qualcuno (cosa non so, o forse proprio me). Quando pochi giorni fa ho scoperto che Anna Billò è fidanzata con Leonardo, ho pensato che insieme stessero proprio bene. Lui, Leonardo Nascimento de Araújo, a mio avviso il migliore allenatore della scorsa stagione, e i risultati qui non contano nulla. So benissimo che il Milan non ha vinto nulla, ma per 38 giornate la sua camicia bianca su misura, la sua elegante bellezza, la sua educata intelligenza a fine match sono state manifesto di un calcio di classe, l’opposto per intenderci dell’aggressiva isteria mourinhiana, buona per vincere, ma solo per quello. Anzi, dirò di più, nonostante la mia ammirazione per la Billò, potessi scegliere di cenare al ristorante con un solo membro della coppia vorrei incrociare le forchette con Leonardo. Vorrei congratularmi con lui per l’idea di lasciare il libro di Jostein Gaarder “Il mondo di Sofia” nascosto in un cespuglio sotto gli uffici di Sky, prima di scrivere ad Anna un messaggio con scritto “Scendi, c’è una sorpresa per te”. Un finale di corteggiamento simile ad altri che ho praticato durante la mia vita amorosa, e che di conseguenza sottoscrivo con entusiasmo.

Per cena Leo era impegnato, ma dopo pranzo siamo andati a casa mia per guardaci Olanda-Brasile. Ho ceduto la mia poltrona Poang al fidanzato della Billò, in segno d’ammirazione. Prima del fischio iniziale ho posto a Leonardo la domanda alla quale tenevo di più:”A tuo avviso, perché ogni partita di Felipe Melo si trasforma per il centrocampista verdeoro in una seduta psichiatrica con il rettangolo verde al posto del lettino?” Leo non ha fatto in tempo a rispondermi che Felipe ha indovinato il corridoio lasciato clamorosamente spalancato dalla coppia centrale olandese. Un assist perfetto per il nevrotico Robinho che ha insaccato con facilità: 1-0. Questa volta mi sono sbagliato, ho pensato. Che figura. Vuoi vedere che Melo ha imparato a gestire la sua duplice personalità, così simile a quella di Norman Bates, indimenticabile gestore del motel hitchcockiano in Psycho, quello per intenderci che conservava il cadavere mummificato della madre in soffitta??La seconda frazione di gioco mi ha restituito il Felipe che ho imparato a conoscere nella triste stagione juventina appena conclusa. Autogol di testa in comproprietà con Julio Cesar, un paio di pericolose azioni avversarie propiziate da geniali intuizioni al contrario, ma soprattutto l’assurdo pestone con i tacchetti sulla coscia dell’immarcabile Arjen Robben che aveva appena steso con un paio di calci. Espulso. Da questo momento la Selecao, che avrebbe potuto chiudere il primo tempo tranquillamente sul 2-0, è scomparsa. Robben sulla destra ha continuato a far impazzire prima Bastos, poi Gilberto. Se esiste un inferno dei terzini sinistri, deve essere un luogo dove i numeri 3 sono lasciati soli uno contro uno con Arjen Robben per tutta la durata della loro eterna pena. Sneijder (fino all’1-1 dormiente) ha segnato di testa il 2-1. Uno di questi due olandesi, per il pallone d’oro.

Leonardo scherzando ha detto che a casa mia per vedere le partite non verrà più. Deluso si alzato e ha guardato per un attimo fuori dalla finestra. Sarebbe toccato a lui ora allenare il Brasile?

venerdì 2 luglio 2010

Clamoroso al Premio Strega, vince uno Scrittore

(Cronaca dal magazzino)
La notizia mi giunge in magazzino, poco dopo le otto del mattino, mentre con astuzia sto dividendo i cd e i dvd che estraggo da ripetute e cubiche scatole marroni. Non è difficile: i cd sono quadrati, i dvd rettangolari. I quadrati da una parte, i rettangoli dall’altra.
“Antonio Pennacchi con "Canale Mussolini" ha vinto il Premio Strega 2010 per soli quattro voti in più rispetto a Cinzia Avallone…”
Radio3 annuncia il risultato del Premio, e io esulto per un attimo tra gli scatoloni. In genere non me ne importa niente delle onorificenze date o non date ai narratori, la qualità di uno scrittore grazie a Dio non si misura in copie vendute o trofei alzati, ma questa volta sono contento per Pennacchi, perché è uno scrittore vero, e la coincidenza che lo vede vincitore ripaga almeno parzialmente chi ama la letteratura di certi libri mediocri e preconfezionati trionfatori in passato. Cinzia Avallone è seconda, e con lei è sconfitto il marketing a tappeto ben analizzato da Marco Belpoliti nell’articolo uscito oggi sulla Stampa.
E’ confortante la vittoria del sessantenne Pennacchi, operaio in fabbrica fino a dieci anni fa, perché frutto della fatica, e non coppetta consegnata al nuovo “giovane scrittore” da lanciare nella spesso noiosa orbita giornalistico-letteraria italiana. Posso tornare più felice alle mie divisioni geometriche.