mercoledì 14 maggio 2014

Il diario del Giro. Quinta tappa: Taranto-Viggiano (203 Km). Vasco Pratolini alle cinque del mattino


Viggiano - Mi sono svegliato alle cinque del mattino, non che fossi in apprensione per la quinta tappa, a dire il vero la prima con arrivo in salita ma niente di trascendentale, altitudine massima 948 metri, mi sono svegliato alle cinque del mattino e ho fatto barba, doccia, colazione in albergo, caffè in un bar di Taranto con lettura rapida della Gazzetta dello Sport, non ero fra i trenta + uno dei pre-convocati di Cesare Prandelli per i Mondiali brasiliani ma non mi ero fatto illusioni, eppure c’erano Mirante e Darmian, a trentanove anni però ci sarebbe voluto in miracolo, bene avevo fatto ad accettare la proposta del quotidiano allora di seguire da vicino il Giro d’Italia numero 97 come scrittore non inviato, oggi da Taranto a Viggiano, mi ero sempre lamentato di non aver mai goduto di questa possibilità e adesso toccava a me. Al bancone il giornalista E.C. non aveva dubbi, la febbre di Marcel Kittel nascondeva doping,  a questo ero riconducibile il suo ritiro, io dopo il caffè gli avevo detto “Il tuo problema E.C. è che sei ossessionato dal doping, il doping è certamente una parte del ciclismo ma non tutto il ciclismo, nel tuo articolo relativo alla tappa di ieri non hai scritto nemmeno due righe sull’andamento della gara, c’è qualcosa che non va, guarda i colori e le strade, scrivi di quello, collegali a musica cinema o letteratura, ma li vedi i colori e le strade?” Il percorso prevedeva un arrivo in salita, un finale a circuito come ieri a Bari ma con ascesa a novecento metri di altitudine, quindi discesa tecnica e rettilineo conclusivo di 100 mt al 6% di pendenza. Ma non è per questo che mi ero svegliato alle cinque, saranno stati altri motivi, dopo il caffè mi sono ritrovato in libreria, come al solito avevo timbrato in orario, di conseguenza non ero per niente inviato alla corsa rosa cosa mi era saltato in mente, non ero Vasco Pratolini al trentottesimo Giro d’Italia (14 maggio-5 giugno 1955), reduce da una cura di sei mesi per disturbi leggeri ma noiosi, non relativi al cuore, alla pressione, non relativi a nulla. Fino a quando la diagnosi non era balzata agli occhi con l’evidenza delle cose di natura. Vasco era ammalato di sedia e di scrittoio, e andar dietro al Giro gli era parsa la medicina più sicura. Già al solo pensiero, gli era passato il mal di capo. Non ero Vasco Pratolini allora, nemmeno un suo vicino di osservazione ciclistica terapeutica, non eravamo nel 1955, al termine del turno sarei corso a casa per mangiare un panino, prendere l’automobile e correre a Brescia dalla mia famiglia, niente tappa anche oggi, come giustificarmi agli occhi del direttore del quotidiano, gli avrei mandato la consueta cronaca di tappa fasulla, una vittoria italiana finalmente, quella di Diego Ulissi abile a sfruttare il traino della maglia rosa Matthews fino a tagliare il traguardo prima di Cadel Evans e Moreno Arredondo. In autostrada mezz’ora di coda per incidente, Vasco Pratolini, oggi avevo un mal di petto simile al tuo mal di capo, per questo mi sono svegliato alle ore cinque, mi sono fatto barba e doccia, colazione in albergo, caffè in un bar di Taranto prima di ritrovarmi a sorpresa di nuovo in libreria, non inviato ma premiato nel ricevere in dono da un barbuto e gentile rappresentante una copia del nuovo libro di Marino Sinibaldi, Un millimetro in là-Intervista sulla cultura. E la tappa di domani? Sassano-Montecassino, la guida dice media montagna, 247 Km. Al termine della coda sull’A4 sono uscito a Ospitaletto, ho proseguito verso Gussago e giunto nel cortile alberato prospiciente la casa dei nonni mi aspettava Pietro con sua mamma. “Papino!” ha gridato, con la bocca allungata a sorpresa, gioia definitiva. Abbiamo parcheggiato la macchina insieme, due tre quattro cinque volte, prima marcia retromarcia, quest’aggressiva passione per l’automobilismo, non saprei davvero dire da chi l’ha presa.