lunedì 27 febbraio 2012
Il posticipo_Milan-Juventus (La strada per San Siro, con Arturo Bandini Buffon)
Che Arturo Bandini puzzasse di pesce era cosa nota. Di sapone e di pesce per la precisione, a causa delle giornate trascorse a lavorare alla California Packing Company, la fabbrica per l'inscatolamento del pesce a Terminal Island, giornate alle quali seguivano ripetuti lavaggi che tuttavia non riuscivano a toglierli di dosso quell'odore forte di abitanti del mare. Sull'autobus la gente si allontanava da lui, al cinema i posti che confinavano con il suo venivano immediatamente abbandonati. Dentro uno stadio tutto esaurito, avevo pensato, vuoi vedere che stiamo più larghi.
Così avevo convinto Arturo, 25 euro per un biglietto al terzo anello rosso gli erano sembrati un buon prezzo, anche considerando il fatto che se li era procurati vendendo gli unici gioielli di famiglia, rubati alla madre. Al monte dei pegni di via Capecelatro, l'ebreo arcigno oltre il banco l'aveva fregato, ma che importava con il biglietto fila 7 posto 21 fra le mani.
Salendo rotatori una delle quattro torri dello stadio, Bandini mi aveva raccontato di aver fatto un sacco di mestieri per mantenere la famiglia dopo la morte del padre: spalatore di fossi, lavapiatti, scaricatore di camion, commesso di drogheria. Ma nessuno che si decidesse ad assumerlo come scrittore, anche perché Arturo non riteneva la sua prosa in vendita, scrivendo egli per la posterità: "Scrivo sia romanzi che racconti, sono ambidestro".
Dalla vetta di San Siro, una partita deceduta veniva portata in vita al quattordicesimo del primo tempo da Beckenbauer Bonucci, abile prima a servire via Robinho l'avversario Nocerino con un grottesco disimpegno difensivo, poi a deviare sfortunato il tiro da fuori area del numero 22 rossonero alle spalle di Buffon. La Juve più brutta della stagione sprofondava, e il Milan pur senza mostrare un bel gioco raddoppiava con Muntari al venticinquesimo, pronto sottoporta a spingere in rete dopo una strepitosa respinta sulla riga del più forte portiere del mondo su colpo di testa di Mexes: Milan 2, Juventus 0. Il match pareva concluso, ma nel secondo tempo gli omini bianconeri reagivano di nervi sfiorando il goal con Quagliarella e pareggiando nell'ultimo quarto d'ora con una doppietta di Matri: al settantottesimo su imbeccata di Vucinic e all'ottantatreesimo in splendida girata su cross di Pepe.
Riscendendo in circolo verso la terra da sopra illuminata con fari e sirene volteggianti, Bandini mi aveva sorpreso estraendo dallo zaino due fucili ad aria compressa.
"Adesso sai che facciamo? Ci fermiamo in questo punto della torre e ci mettiamo a sparare addosso a tutti quelli che getteranno benzina sul fuoco di questo Milan-Juventus. Presidenti, dirigenti, allenatori, giornalisti corrotti e incapaci. Tieni il tuo fucile, e spara. Addio, codardi. Sputo su di voi, disgustato. La vostra codardia ripugna il Fuhrer Bandini. Odiosa gli è la codardia quanto gli è odioso un morbo. Non vi perdonerà. Possano le maree mondare la terra dal crimine della vostra codardia, canaglie".
lunedì 20 febbraio 2012
Il posticipo_Inter-Bologna (I giovedì o venerdì della signora Giulia)
Con l’ispettore Sciancalepre ero
stato chiaro:
“D’accordo che il giovedì è il
mio giorno libero dal lavoro, ma non ho intenzione di dedicarlo interamente
alla ricerca di informazioni relative alla scomparsa della signora Giulia.”
Sul treno che ci spostava dal
paese di M. alla città di Milano, due gambe più il sacchetto di una nota catena
di librerie avevano attirato l’occhio indagatore dello Sciancalepre, che aveva
insistito per affiancarle alle nostre nella seduta.
“Le vedi Savio quelle due gambe?”
“Io no, sono sposato.”
“Comunque, si tratta di seguirle.
Dove scendono loro, scendiamo noi. Ci porteranno da Giulia, la moglie
dell’avvocato fuggita di casa.”
Personalmente dubitavo di questa
intuizione poliziesca. E’ vero, lo Sciancalepre era noto per il suo fiuto
particolare, per quella forza mentale che gli aveva quasi sempre conferito la
possibilità di immedesimarsi nel delinquente e di risolvere i casi più
complessi, ma questa vicenda della signora scomparsa l’aveva mandato in
confusione. Giulia era solita recarsi a Milano ogni giovedì per fare visita
alla figlia in collegio, ma c’era chi sospettava che quei viaggi servissero
anche a placare l’insoddisfazione di una trentottenne sposata infelicemente con
un uomo di sessanta. Qualunque fosse la verità, il commissario mi aveva
convinto ad accompagnarlo nell’indagine.
Le gambe della donna del treno
erano atterrate sul pavimento della Stazione Centrale con sconfortante
eleganza, e a debita distanza era stato senza dubbio piacevole pedinarle fino a
viale Premuda. Qui si erano fermate il tempo necessario per consentire alle
braccia di estrarre dal sacchetto un libro, e alle mani di aprirlo per
controllare a pagina 17 quale fosse il numero civico del palazzo dove la
signora Giulia era solita incontrarsi con Luciano Barsanti, rappresentate.
L’amante della moglie dell’avvocato era ancora lì, ma con la sciarpa nerazzurra
al collo, pronto a prendere il tram per assistere all’anticipo dell’anticipo della
ventiquattresima giornata, per l’occasione posticipato di tre ore rispetto
all’orario fissato in precedenza per il giorno successivo.
La donna non aveva potuto
sottrarsi dal baciarlo, il Barsanti, caduta nel tranello sentimentale solito
colpire chi, alzando gli occhi dalle righe di un romanzo, si dimentica di
constatare che quello che sta intorno c’entra ben poco con l’appena letto. Così
Luciano si era ritrovato addosso una bella ragazza da abbracciare e alla quale
spiegare che dopo i tornelli dello stadio Meazza, si sarebbero riscaldati anche
grazie alle emozioni garantite da Inter-Bologna. Non avrebbe avuto torto.
Tra il trentasettesimo e il
trentottesimo minuto del primo tempo, il centravanti bolognese Marco Di Vaio
sarebbe riuscito per due volte a pugnalare la rammollita difesa nerazzurra.
Nell’intervallo, Moratti avrebbe abbandonato demoralizzato e furente la
tribuna, evitando quantomeno di assistere alla serpentina vincente di Robert
Acquafresca, spietata nel fissare il risultato finale: Inter 0, Bologna 3.
Al commissariato, il presidente
interista non sarebbe riuscito a convincere lo Sciancalepre riguardo alla
repentina necessità di interrompere la partita per verificare se sotto il manto
erboso di San Siro si trovasse davvero il cadavere della signora Giulia. Mi
avrebbe raccontato, l’ispettore, di un uomo ossessionato da un romanzo di Piero
Chiara: “I giovedì della signora Giulia”, convinto che il parco della villa
dell’avvocato fosse invero il prato della sua squadra del cuore e che appena
fuori dell’area di rigore, scavando, si sarebbe potuto scoprire con facilità il
viso di Giulia, un tempo così pallido, adesso colore del miele e quasi
trasparente. Mi avrebbe raccontato, l’ispettore, della discussione tra il
petroliere e Claudio Ranieri, giunto sul posto per provare a tranquillizzarlo, ma
con il suo solito, grottesco sorriso di fronte ad ogni pareggio e sconfitta. Mi
avrebbe raccontato, l’ispettore, di averli osservati andare via, camminando
paralleli fino al termine del muro del carcere prima di volgersi le spalle,
come due duellanti, e incamminarsi sempre con lo stesso passo, l’uno verso
destra e l’altro verso sinistra.
domenica 19 febbraio 2012
lunedì 13 febbraio 2012
Il posticipo_Udinese-Milan (La commedia friulana)
Così ho raggiunto Homer Macauley che
con la sua divisa da postino gigantesca affrontava in bicicletta la neve della
via di campagna. Aveva quattordici anni, e il chiaro intento di diventare il
più grande portalettere che la storia avesse mai visto. Non aveva padre, ma il
fratello Marcus in guerra, la sorella Bess studentessa universitaria, la madre
Kate che lavorava in uno scatolificio, e il fratellino più curioso del mondo:
Ulysses. Vivevano a Ithaca (Udine) dove Homer frequentava di giorno il liceo, la
sera l’ufficio del telegrafo.
Homer piangeva con gli occhi
spalancati e allora mi ero avvicinato, più vecchio e con la mia di bicicletta,
quella rossa poi rubata di quando ero giovane come lui:
“Perché piangi? Perché nel nostro
Paese il processo democratico è stato sospeso per permettere a un tecnocrate
non eletto di mettere in atto politiche che i politici eletti non riuscivano a
far passare?
Oppure perché il più forte
ciclista degli ultimi anni è stato condannato ingiustamente, vittima di
organizzazioni mondiali anti-doping che curano i propri interessi invece della
verità?”
“Anche amico, ma soprattutto per
certi telegrammi che devo consegnare, quelli che iniziano dicendo che il Ministero della Guerra, è spiacente
d’informarla che suo figlio…”
Dopo l’ultimo che aveva portato
ad una mamma che non aveva nemmeno avuto il coraggio di disperarsi, ma solo di
abbracciarlo, Homer si era messo a girare per le strade, guardando le case, i
luoghi e la gente che viveva a Ithaca: perché più si andava avanti nella vita
più sembravano esserci solo dolore e tristezza?
Terminate le lacrime, l’unica
soluzione era stata convincere il portalettere a continuare nella pedalata al
mio fianco, nonostante il dolore alla gamba che lo perseguitava in seguito a
una caduta. Lungo la tappa, altri ciclisti si erano uniti alla nostra fuga. Fra
questi Guidolin, che aveva deciso in vista della partita col Milan di
raggiungere per scaramanzia lo stadio sulle due ruote, facendosi sorprendere
come talvolta gli capitava durante i suoi giri da intuizioni tattiche che
avrebbe poi cercato di riprodurre sul prato del “Friuli”. In questo caso, il
posizionamento di Isla nel ruolo di rifinitore. Il trucco avrebbe funzionato
molto bene fino al grave infortunio del centrocampista cileno.
Lasciato l’allenatore
dell’Udinese alla sua panchina, o meglio accovacciato davanti ad essa in
osservazione degli sviluppi, con Homer avevamo trovato posto sui gelidi spalti,
confortati solo dall’omino delle bibite che passava puntuale rifornendoci di
grappa. In seguito a ciò, la visione della partita si era rivelata altalenante
e poco lucida. In ogni caso era la squadra di casa ad averla in pugno, passando
in vantaggio col solito Di Natale e sciupando altre buone occasioni. Il Diavolo
di Allegri barcollava, ma riusciva a concludere la prima frazione subendo una
sola rete. Nella seconda sarebbe rientrata in campo maggiormente convinta, e
pur non meritandola ai punti avrebbe ottenuto una vittoria fondamentale grazie alle
reti nell’ultimo quarto d’ora di Maxi Lopez e del faraone El Shaarawi.
Col fuoco delle vinacce dentro,
io e Homer avevamo abbandonato lo stadio delusi e slegate le nostre biciclette
eravamo partiti verso Ithaca, fermandoci solo all’ufficio postale perché il
giovane Macauley nel passare aveva scorto il vecchio telegrafista Grogan che
non si sentiva bene. Spento e immobile nel vuoto, se ne stava seduto senza
parlare, chino sul telegramma che stava battendo:
“Mrs Kate
Macauley
2226 Santa Clara
Avenue
Ithaca, California
Il Ministro della Guerra è spiacente d’informarla che suo figlio
Marcus…”
venerdì 10 febbraio 2012
"Anticipi, posticipi" con Fabio Geda e Roberto Beccantini
Martedì 14 febbraio (festa degli innamorati) parlerò di "Anticipi, posticipi" con Antonio Gurrado e Fabio Geda alla Feltrinelli di Torino (piazza C.L.N., ore 18).
Venerdì 17 febbraio (compleanno di mia mamma) invece sarò a Milano, alla Libreria dello Sport di Via Carducci, ancora con Gurrado e con Roberto Beccantini, sempre alle 18.
Chi volesse partecipare è benvenuto, fondamentale a mio avviso non invertire i fattori e recarsi il 14 a Milano e il 17 a Torino.
lunedì 6 febbraio 2012
Il posticipo_Roma-Inter (An der Baumgrenze mit Borini)
Giunto al limite boschivo con il
narratore, lui aveva proseguito, trovando i due taglialegna che gli avevano
indicato il cadavere del ragazzo, congelato, coperto da due grossi
camosci. Io invece ero tornato indietro fino all’albergo per controllare che la
ragazza fosse morta veramente, avvelenata dal suo amore per il ragazzo, che
però era suo fratello. Stava lì, coperta dal cappotto di lui che era fuggito
durante la notte, troppo leggero per non morire, a ventun gradi sotto zero,
questa la temperatura di Muhlbach, paesino montano a 980 metri.
Il perché pure io avessi deciso
di passare qualche giorno in questa fredda località dove nessuno resisteva
sano, dove in fondo tutti erano condannati a morte, sfuggiva perfino a me
stesso. Meglio sarebbe stato andare come al solito nell’amata Obereggen, al
maso di Evi ed Emerich, ma Bernhard mi aveva costretto a seguirlo sino al
limite boschivo: an der Baumgrenze, aveva detto.
Oppure, neve per neve, avrei potuto dare retta al mio caporedattore che mi aveva consigliato di recarmi a Roma per recensire Roma-Inter, ma il rischio di trovare la capitale in tilt per il troppo bianco, e la probabile possibilità di restare intrappolato per ore su un treno-italia senza riscaldamento, e di essere magari rimborsato per questo disagio con un viaggio premio su Costa Crociere, mi aveva fatto decidere per Muhlbach.
Oppure, neve per neve, avrei potuto dare retta al mio caporedattore che mi aveva consigliato di recarmi a Roma per recensire Roma-Inter, ma il rischio di trovare la capitale in tilt per il troppo bianco, e la probabile possibilità di restare intrappolato per ore su un treno-italia senza riscaldamento, e di essere magari rimborsato per questo disagio con un viaggio premio su Costa Crociere, mi aveva fatto decidere per Muhlbach.
Nella sala da pranzo
dell’albergo la sera prima mi ero accorto dell’arrivo dei due innamorati,
mentre il narratore scriveva una lettera alla fidanzata, ma senza dirle la
verità. L’isolamento gli aveva logorato i nervi, di questo si trattava, e il
fatto che in quel dannato paesino delle montagne austriache non fosse così
facile seguire le partite della Serie A, di certo non migliorava la situazione.
Magari questi due giovani sbucati dal nulla, gli avevo suggerito per
rallegrarlo, sapevano almeno come procurarsi i risultati. Quando erano saliti
in camera, la mia idea era stata quella di seguirli e di mettersi a origliare
con l’orecchio alla parete fuori dalla loro stanza.
La cronaca di Roma-Inter era
cominciata quasi subito (avevano il computer e si godevano la partita su
qualche sito pirata, i due egoisti) così avevamo ascoltato senza ombra di
dubbio la squadra di Luis Enrique prendere a pallonate Julio Cesar. Juan,
Borini, Borini, Bojan: Roma 4, Inter 0. Dall’interno qualche imprecazione, poi
il silenzio. Appena il tempo di nasconderci dietro un angolo, e avevamo visto
il giovane uscire furioso sbattendo la porta, senza cappotto, facendo le scale
a precipizio, come se avesse indossato per troppe ore la stanza come una
camicia di forza. Un vortice di piedi in discesa, con in bocca la mano tesa
come un coltello.
Il mattino dopo, Bernhard aveva
terminato la sua lettera, una buona lettera, senza una minima bugia. Quindi,
per soddisfare la padrona dell’albergo preoccupata dall’assenza a colazione
della ragazza, eravamo risaliti fino alla sua camera:
“Aprite! Aprite!”
Con una spallata, la porta si era aperta. La giovane giaceva
di traverso sul letto matrimoniale, priva di sensi. Secondo il narratore,
avvelenata. Da sola? Dal ragazzo fuggito?
“Andiamo fino al limite boschivo, Savio”. Intanto ti
racconterò del perché la parte stupida del popolo austriaco mi chiama
Nestbeschmutzer, sporca-nido. Del perché ho cento paia di scarpe, diverse per
ogni tipo di passeggiata. Del perché ho smesso di tenere delle letture
pubbliche: l’ultima volta, a Bolzano, c’erano solo due paralitici.
giovedì 2 febbraio 2012
Mario, Benito Monti
Monti: "I giovani si abituino a non avere il posto fisso".
Più che altro si abituino a non avere posto.
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