giovedì 22 maggio 2014

Il diario del Giro. Dodicesima tappa: Barbaresco-Barolo (41,9 Km). Beppe Fenoglio non è Uran Uran, che viene da Urrao


Barolo – Dormivo così bene che mi sono svegliato alle due e quarantacinque del mattino con un ricordo non nuovo nella testa. Quando da ragazzo ogni giorno libero disponibile partivo da Brescia e solitario mi recavo in una città della penisola più o meno lontana con l’idea di sprofondare in un’altra vita, senza le solite abitudini, innamorandomi di certe ragazze incontrate per strada, a Piacenza, a Bologna, a Firenze, sposandole addirittura in alcuni circostanze ma solo fino al termine del giorno quando ero costretto a comunicare alle novelle mogli che il giorno dopo purtroppo sarei dovuto partire da solo per Torino, Roma o Napoli. Una specie di acerbo e furbo Giro d’Italia pensavo alle due e quarantacinque del mattino, anche se in seguito mai mi sarei perdonato di non aver esteso queste tappe all’estero per periodi più lunghi di una settimana, potendomi così innamorare di nuove ragazze anche a Valencia, a Lisbona o a Berlino. In ogni caso sarà colpa di questi alberghi, di questi alberghi e di questi letti che cambiano ogni giorno, la dura vita notturna di noi inviati al Giro d’Italia, a volte mi piacerebbe semplicemente alzarmi sempre nello stesso letto, sempre nella stessa casa e andare a timbrare il cartellino in libreria, quando ancora mi veniva permesso di fare il libraio. Invece eccomi qui tra Barbaresco e Barolo, il direttore del giornale oggi mi ha consigliato di evitare paralleli tra vini e ciclismo perché lo faranno tutti, meglio sarebbe immaginare i corridori ubriachi e soli nella cronometro individuale, isolati a smaltire la sbornia pesante avvolti dai loro problemi esistenziali, senza gregari a consolare le loro incertezze, mi conviene partire subito a tutta o gestire per non arrivare spremuto al traguardo di Barolo? Da Barbaresco a Barolo passiamo anche per Alba, 168 metri di altitudine, Alba la presero in duemila, il dieci ottobre, e la persero in duecento, il due novembre, dell’anno 1944. Pochi dischi mi sono rimasti impressi nella memoria come il concerto in onore e a memoria di Beppe Fenoglio del Consorzio Suonatori Indipendenti, registrato ad Alba alla chiesa di San Domenico, il 5 ottobre 1996. Anche la disperazione impone dei doveri, e l’infelicità può essere preziosa. Per questo i ciclisti nella cronometro individuale passano leggeri e ubriachi lungo la strada di Alba, almeno nelle mie intenzioni, e si fermano a fare il rifornimento alla chiesa di San Domenico, pur consapevoli di danneggiare sensibilmente la loro prestazione in termini di minutaggio, di poter magari mandare all’aria l’intero Giro per fermarsi a leggere qualche frase di Beppe Fenoglio. Ma Primavera di bellezza o La Malora? I ventitré giorni della città di Alba o Il Partigiano Johnny? Chiedetelo a Cadel Evans, non vi risponderà. Impegnato nella crono-enologica sbaglia tutto, sia le salite che le discese, perdendo lucidità anche dal punto di vista psicologico. L’ubriaco del giorno è lui, che perde la maglia rosa canticchiando dopo il traguardo Occorre essere attenti per essere padroni di se stessi occorre essere attenti. Meno poetici e più razionali risultano Ulissi e Uran Uran, il colombiano peraltro nato a Urrao. Da non credere. Mi chiamo Uran Uran e vengo da Urrao. Serioso e meccanico nel suo completino nero si prende tappa e maglia rifilando un minuto e sedici a Ulissi e un minuto e trentaquattro a Evans che comunque non si scompone, Non temere il proprio tempo è un problema di spazio. E la classifica generale? Buona domanda. Allora Uran Uran, Evans a trentasette secondi, Majka a uno e cinquantadue. Uran Uran insomma, Urrao.