martedì 20 maggio 2014

Il diario del Giro. Decima tappa: Modena-Salsomaggiore (173 Km). Cercando altri esseri umani in direzione opposta


Salsomaggiore - Neanche oggi sono riuscito a vedere la tappa. Finito il turno in libreria ho preso l’automobile e sono partito in direzione Brescia con un libro di Thomas Bernhard sul sedile del passeggero, meglio che fare il viaggio completamente da solo. Era in programma la Modena-Salsomaggiore a dire il vero, ma io viaggiavo sull’A4 in automobile non in direzione di Modena, e nemmeno di Salsomaggiore, tanto era una frazione estremamente pianeggiante mi dicevo, 173 chilometri con un’altitudine massima di 168 metri, figuriamoci, il direttore del giornale sarà in grado di comprendere la mia decisione di non scrivere la cronaca e di procedere verso Brescia pensavo, nessun arrivo del Giro in programma nella mia città di nascita ma solamente il figlioletto che mi aspetta al grido di “Papino!” In ogni caso avanzavo lungo l’autostrada in compagnia di Thomas Bernhard e della sua Cantina. Una volta liberato dal giogo del ginnasio catto-nazista, lo scrittore austriaco aveva pensato di andare a cercare gli altri esseri umani in direzione opposta, nel quartiere di Scherzauserfeld, alta scuola dei reietti e dei poveri. Al mattino, mentre battevo a ripetizione e misteriosamente scontrini alla cassa numero 7 mi ero scoperto a tifare abbastanza spudoratamente per Cadel Evans, sarà per il nostro essere quasi coetanei, dovendo ammettere a me stesso di essere giunto a quel tipo di non giovinezza in cui si comincia a parteggiare per certi atleti non più di primo pelo che grazie alle loro prestazioni confortano se stessi e i loro simili, nello specifico anche il sottoscritto trentanovenne. E pure E.C. su Repubblica mi veniva incontro, riprendendo le parole di Evans che invitava i giovani corridori ad attaccarlo, e lasciando trasparire una certa predilezione giornalistica per la maglia rosa australiana, ovviamente anche perché mai coinvolta in tredici anni di onorata carriera in alcun caso di vero o presunto doping. Poi ero tornato indietro rispetto alle pagine sportive e avevo letto di minacce e insulti tra politici, del nostro temibile bisogno di vendetta, del Papa che spronava a non cedere al catastrofismo, ad essere semplice nello stile di vita, distaccato, povero e misericordioso. L’ambizione genera correnti e settarismi, mi diceva Francesco, e vuoto è il cielo di chi è ossessionato da se stesso. Ben detto, ma nel mondo reale io mi trovavo già in contratto di solidarietà, già mi ritenevo relativamente povero e misericordioso, con la concreta possibilità di essere nel futuro sempre più povero e sempre più misericordioso. E allora superata la curva di Bergamo ho aspettato il primo autogrill disponibile per guardarmi in santa pace almeno la volata, vinta nuovamente dal pugilatore Bouhanni (terzo successo al Giro) davanti all’italiano Nizzolo (terzo secondo posto al Giro). Poi ho evitato il processo alla tappa, consapevole che mai mi sarei imbattuto in Pier Paolo Pasolini in bianco e nero che dialogava con i corridori all’inizio degli anni settanta del Novecento, ho fatto rapidamente benzina e sono ripartito in direzione opposta fino a raggiungere moglie e figlio per l’occasione malati del più consueto e raffreddato fastidio stagionale. A Brescia i cicloamatori mi hanno accolto come da tradizione uscendo reattivi dai garage dopo la conclusione della tappa. Hanno l’abitudine di vestirsi in modo impeccabile i ciclisti bresciani, come corridori professionisti che pedalano in gruppetti distinti dai completi delle squadre più in voga del momento. Non mancano maglie rosa e della Lampre, diversi campioni del mondo e qualche maglia gialla. A Milano non capita questa cosa. I ciclisti escono dai portoni delle loro abitazioni ma spesso senza bicicletta da corsa e senza essere professionisti. Finirebbero probabilmente impigliati nelle rotaie del tram. L’essenziale a mio avviso è voler andare non soltanto in una direzione diversa, ma in una direzione opposta. Un compromesso non è più possibile.