sabato 31 maggio 2014

Il diario del Giro. Ventesima tappa: Maniago-Monte Zoncolan (167 Km). Aspettando Wilcock sullo Zoncolan


Monte Zoncolan – Era nei momenti più difficili che Juan Rodolfo Wilcock riusciva a farmi sorridere o addirittura ridere, quando ad esempio mi trovavo da solo a dover mettere insieme la penultima cronaca dal Giro d’Italia avendo visto solo pochi minuti di tappa, in cima al Monte Zoncolan a 1730 metri, riflettendo sul fatto che ero un lavoratore in contratto di solidarietà che si sarebbe potuto trasformare nel breve volgere di qualche mese in un lavoratore in cassa integrazione, con molto tempo a disposizione quindi per scrivere ma pochi soldi a disposizione per mangiare, in cima al Monte Zoncolan a 1730 metri, sorpreso non più di tanto nel riscontrare comiche analogie tra la mia situazione e quella di Alfred Attendu, il dottor Alfred Attendu che dirigeva il suo panoramico Sanatorio di Rieducazione ossia ospizio per cretini a Haut-les-Aigues, vicino alla frontiera svizzera. Io non ero certo direttore, anzi il mio direttore di giornale quando gli avevo parlato di Juan Rodolfo Wilcock mi aveva detto “Ma in che squadra corre questo ciclista? Non mi starai nuovamente parlando di uno dei tuoi scrittori preferiti? Quante volte te lo devo dire che io non leggo libri?” Ecco il direttore di giornale mi fregava sempre con la sua sconfortante stupidità, peggio di un direttore di giornale che non legge libri doveva esserci solamente un direttore di libreria che non legge libri, chi non legge libri era in ogni caso sempre una persona pericolosa. Il dottor Alfred Attendu aveva compiuto indisturbato i suoi studi tra il 1940 e il 1944, erano stati quelli i suoi anni d’oro in cui aveva osservato ciò che lo circondava soprattutto tanti cretini, ed era giunto poi al punto più alto del suo studio che aveva sintetizzato nella sua opera più ambiziosa e di successo, Il fastidio dell’intelligenza, del 1945. Attendu era con me sul Monte Zoncolan, unica salvezza in una giornata di lavoro duro, per fortuna la penultima prima delle meritate vacanze al mare, e aspettavamo insieme che arrivassero i ciclisti in vetta a questa montagna considerata la più dura d’Europa da salire in bicicletta, con pendenza massima del 22%. Alfred insomma mi parlava del suo libro invece che del Giro, la condizione di cretino era per l’uomo normale la condizione ideale, cosa stavamo ad aspettare questi pedalatori che tanto non sarebbe arrivato vivo mai nessuno. E invece aspetta aspetta e resuscitavano per primi Michael Rogers, Franco Pellizotti e Francesco Bongiorno purtroppo penalizzato da uno spettatore idiota in maglia da campione del mondo lungo il percorso che credendo di aiutarlo spingendolo, lo obbligava invece a mettere il piede a terra perdendo fatalmente il ritmo della salita al massimo dello sforzo. L’autorevole dottore al mio fianco vedeva confortate le sue tesi, così ben espresse nel suo testo ormai diventato un classico, io mi limitavo ad osservare con attenzione il pur falsato finale di corsa e i successivi calcoli matematici che sancivano il podio del novantasettesimo Giro d’Italia: primo classificato e maglia rosa Nairo Quintana, secondo Rigoberto Uran Uran, terzo Fabio Aru. Quindi salutavo Alfred Attendu e tornavo esausto in albergo. Non era stata una passeggiata seguire queste venti tappe, ma come un libro di Juan Rodolfo Wilcock questa specie di faticosa terapia mi aveva restituito almeno una certa forma di allegria. Se avessi voluto continuare a ridere, a migliorare la mia salute, mi sarebbe bastato, prima di crollare dal sonno, leggere ancora una volta e a perdifiato tutti i personaggi della Sinagoga degli iconoclasti.