martedì 30 novembre 2010

Liga: Barcelona-Real Madrid (Il coraggio di Flannery, la Manita e la sacra bellezza di vivere)


Da Milano, l’amico F. mi scrive: “Quale aspetto positivo può esserci nell’alzarsi alle otto e trenta del mattino di domenica per andare a lavorare in un negozio dove trascorrerò la giornata in balia di orde di italiani votati allo shopping pre-natalizio?”.
Caro F., rispondo comprensivo, l’unico aspetto positivo che mi viene in mente è quello di non essere morto durante il sonno.

Ma appena dopo aver pensato alla sacra bellezza del poter vivere, il mio pensiero si sposta verso vantaggi ulteriori. Una volta superata la domenica lavorativa, l’amico F. potrà anche decidere cosa guardare alla televisione lunedì sera: Vieni via con me della coppia Fazio-Saviano o il Clasico di Spagna, Barcelona-Real Madrid? Conosco bene F., e fino all’ultimo resterà indeciso.

Intanto la domenica regalata al Dio-Lavoro se la farà passare nel migliore dei modi grazie al consueto stratagemma: acquistare un libro dopo averlo scelto con attenzione, ovvero il contrario di quello che fa la maggioranza dei clienti del negozio dove lavora i quali, simili a pecore bianche rosse e verdi, tendono a scegliere il rettangolo con pagine situato ai primi posti della classifica (pensiero che rassicura la pecora italica per fortuna non clonata: “Ah, quel libro è primo, meglio andare sul sicuro, se piace alla maggioranza delle persone un motivo ci sarà…”) o quello consigliato da qualche giornalista/scrittore (talvolta prostituito intellettualmente) in una recensione sui quotidiani nazionali.
F. quasi sempre compra libri non consigliati, fidandosi dei suggerimenti che, immancabilmente, sfuggono a certi scrittori che legge. Non si ricorda però chi, qualche anno fa, gli presentò Flannery O’Connor. Pazienza, la fortuna di aver conosciuto Flannery fa passare in secondo piano chi gliela presentò.

Della scrittrice americana, F. ricorda le fotografie scovate in rete. F. controlla sempre la faccia degli scrittori che ama, forse per capire dalle rughe o dal taglio degli occhi come fanno ad essere così bravi. Il suo è un tentativo di scoprire, leggendo i tratti del naso o il taglio della bocca degli scrittori stimati, una fisiognomica del genio o quantomeno del talento, senza dimenticare che, come ha imparato ascoltando Franco Battiato, in fondo siamo miseri ruscelli senza Fonte. Della O’Connor il mio amico F. ricorda soprattutto tre foto: una seduta in poltrona con un libro tra le mani, una con cappello dietro una staccionata, una con collana che sembra una fototessera da carta d’idendità. C’è un sentimento comune però che traspare dalle tre immagini: è quello dell’umiltà.

A F. le fotografie di Flannery arrivano da chissà dove nella testa mentre si trova in una cassa che è un parallelepipedo di vetro aperto sopra per far respirare, dentro il quale ci sta un cassiere, lui nella fattispecie. Ma ovunque si giri, fotografie di altri scrittori lo guardano. Sono tutte molto serie, con le mani appoggiate ad una parte del viso come se stessero pensando a qualche cosa di assoluto, fondamentale e determinante. Mani che sorreggono menti, fronti, sopracciglia. Per intenderci nessuno che si metta le dita nel naso. Truman Capote si sistema gli occhiali ad esempio, ma è chiaro che sta riflettendo su qualcosa di molto importante. Ernest Hemingway invece è grande come una porta, e tiene in braccio un gatto. Il cassiere F. comincia male con lui quando, girandosi verso sinistra e avendo l’impressione che il gatto voglia fuggire da quell’abbraccio un po’ forzato, lo provoca:
“E lascialo scendere Ernest, povera bestiaccia. Sai che ti dico? Francis Scott Fitzgerald mi piace molto più di te. Non so cos’è, ma Il grande Gatsby, ecco, è quello. E lascia giù quel gatto.”

F. vorrebbe una fotografia di Flannery O’Connor da guardare ogni tanto mentre restituisce soldi o carte fedeltà a clienti che comprano Cotto e mangiato. La cerca disperato con gli occhi, ma non la trova sulle pareti. Flannery, dove sei?
Ricorda allora un brano tratto da Nel territorio del diavolo (minimum fax), i saggi sul mestiere di scrivere dell’autrice de La saggezza del sangue.
“Scrivere un romanzo è un’esperienza terribile, durante la quale spesso cadono i capelli e i denti si guastano. Se il romanziere non è sostenuto dalla speranza di far soldi, deve essere almeno sostenuto da una speranza di redenzione, altrimenti non sopravviverà alla prova. Chi è senza speranza non solo non scrive romanzi ma, quel che più conta, non ne legge. Non ferma a lungo lo sguardo su nulla, perché gliene manca il coraggio.”
Con tutti i soldi che mi passano tra le mani qui in cassa, pensa F., qualora avessi al riguardo dubbi che non ho, li butto nel cestino. Non i soldi, ma i dubbi: nel mio percorso di piccolo scrittore, l’unica forza che mi spinge è la speranza di redenzione.
Questo è l‘ultimo discorso registrato di F., prima di essere inghiottito nella ripetitività dei gesti, tumulato nella teca di vetro domenicale in attesa delle ore diciannove.

Poi è lunedì sera. La decisione è presa: Barcelona-Real Madrid, e nell’intervallo Vieni via con me. Si rivelerà quella giusta, fatta eccezione per l’intervallo, che andrà a coincidere purtroppo con il noioso e inutile balletto teatrale sulle note accelerate della canzone di Paolo Conte, messo in scena da attori esagerati per la quarta volta consecutiva. Basta.

La partenza della squadra di Guardiola è da brividi. Xavi, Iniesta e compagnia fanno girare palla così veloce che le Meringhe madrilene non sanno più da che parte voltarsi. 2-0 dopo diciotto minuti, 5-0 al novantesimo. La Manita. Un risultato che va stretto al Barca, composto da undici giocatori che hanno il coraggio di guardare. I centomila del Camp Nou passano il secondo tempo a cercare con la voce Josè Mourinho, apparentemente scomparso. E’ invece seduto in panchina, mentre una telecamera inquadra lo striscione della serata:
“Mourinho, ora e sempre Traduttore”.
Per l’allenatore portoghese, reduce dal triplete nerazzurro ottenuto senza sportività, davvero una brutta serata.