
Tornavo a casa dall’oratorio, e il fatto d’incontrarmi adesso nel 2010 a Milano all’inizio mi aveva sorpreso: possibile che fossi davvero io?
Non ho avuto il coraggio di salutarmi, e nemmeno di accarezzarmi con la mano i capelli come fanno certi grandi con i bambini.
Ho continuato a camminare sul marciapiede, calcolando con il piede destro i centimetri da far percorrere alla palla per raggiungerla dopo un passo senza farla scontrare contro altri passanti sul marciapiede, o prima che il cane del fruttivendolo scambiasse uno stop a seguire per un invito al triangolo.
Allora ieri pomeriggio mi sono voltato di scatto e ho seguito quel ragazzino che tornava a casa felice dopo aver giocato a pallone, di una felicità che (non ho avuto il coraggio di dirgli) sarebbe stata la forma di felicità più pura che avrebbe provato in vita sua.
L’ho raggiunto cercando di non spaventarlo e gli ho detto sai, probabilmente il sogno che hai nella testa ora non lo realizzerai, ma un giorno, il 24 novembre del 2010, riceverai una breve lettera da parte del Presidente della Juventus, che ti ringrazierà per un libro che gli hai spedito. Adesso è difficile da spiegare, ma ti verranno gli occhi lucidi, che non sai cosa vuol dire ma ti assicuro è una cosa bella associata alla possibilità che le lacrime non siano per forza sinonimo di sofferenza. Penserai che è da stupidi emozionarsi così a trentacinque anni, ma stai tranquillo, forse in quella capacità di emozionarsi si nasconde l’impresa di aver conservato qualcosa di quel ragazzino con la maglia a strisce, che aveva intuito se stesso futuro in un signore grande e un po’ strano che l’aveva rincorso lungo il marciapiede.