Monte Zoncolan – Era nei momenti
più difficili che Juan Rodolfo Wilcock riusciva a farmi sorridere o addirittura
ridere, quando ad esempio mi trovavo da solo a dover mettere insieme la
penultima cronaca dal Giro d’Italia avendo visto solo pochi minuti di tappa, in
cima al Monte Zoncolan a 1730 metri, riflettendo sul fatto che ero un
lavoratore in contratto di solidarietà che si sarebbe potuto trasformare nel
breve volgere di qualche mese in un lavoratore in cassa integrazione, con molto
tempo a disposizione quindi per scrivere ma pochi soldi a disposizione per
mangiare, in cima al Monte Zoncolan a 1730 metri, sorpreso non più di tanto nel
riscontrare comiche analogie tra la mia situazione e quella di Alfred Attendu,
il dottor Alfred Attendu che dirigeva il suo panoramico Sanatorio di Rieducazione
ossia ospizio per cretini a Haut-les-Aigues, vicino alla frontiera svizzera. Io
non ero certo direttore, anzi il mio direttore di giornale quando gli avevo
parlato di Juan Rodolfo Wilcock mi aveva detto “Ma in che squadra corre questo
ciclista? Non mi starai nuovamente parlando di uno dei tuoi scrittori
preferiti? Quante volte te lo devo dire che io non leggo libri?” Ecco il
direttore di giornale mi fregava sempre con la sua sconfortante stupidità,
peggio di un direttore di giornale che non legge libri doveva esserci solamente
un direttore di libreria che non legge libri, chi non legge libri era in ogni
caso sempre una persona pericolosa. Il dottor Alfred Attendu aveva compiuto
indisturbato i suoi studi tra il 1940 e il 1944, erano stati quelli i suoi anni
d’oro in cui aveva osservato ciò che lo circondava soprattutto tanti cretini,
ed era giunto poi al punto più alto del suo studio che aveva sintetizzato nella
sua opera più ambiziosa e di successo, Il
fastidio dell’intelligenza, del 1945. Attendu era con me sul Monte
Zoncolan, unica salvezza in una giornata di lavoro duro, per fortuna la
penultima prima delle meritate vacanze al mare, e aspettavamo insieme che
arrivassero i ciclisti in vetta a questa montagna considerata la più dura d’Europa
da salire in bicicletta, con pendenza massima del 22%. Alfred insomma mi parlava
del suo libro invece che del Giro, la condizione di cretino era per l’uomo
normale la condizione ideale, cosa stavamo ad aspettare questi pedalatori che
tanto non sarebbe arrivato vivo mai nessuno. E invece aspetta aspetta e
resuscitavano per primi Michael Rogers, Franco Pellizotti e Francesco Bongiorno
purtroppo penalizzato da uno spettatore idiota in maglia da campione del mondo
lungo il percorso che credendo di aiutarlo spingendolo, lo obbligava invece a
mettere il piede a terra perdendo fatalmente il ritmo della salita al massimo
dello sforzo. L’autorevole dottore al mio fianco vedeva confortate le sue tesi,
così ben espresse nel suo testo ormai diventato un classico, io mi limitavo ad
osservare con attenzione il pur falsato finale di corsa e i successivi calcoli
matematici che sancivano il podio del novantasettesimo Giro d’Italia: primo
classificato e maglia rosa Nairo Quintana, secondo Rigoberto Uran Uran, terzo Fabio
Aru. Quindi salutavo Alfred Attendu e tornavo esausto in albergo. Non era stata
una passeggiata seguire queste venti tappe, ma come un libro di Juan Rodolfo
Wilcock questa specie di faticosa terapia mi aveva restituito almeno una certa
forma di allegria. Se avessi voluto continuare a ridere, a migliorare la mia
salute, mi sarebbe bastato, prima di crollare dal sonno, leggere ancora una
volta e a perdifiato tutti i personaggi della Sinagoga degli iconoclasti.