Vittorio Veneto - E’ successo
ancora. Ma sì, mi riferisco a quel direttore di giornale (ma no, non il mio
direttore di giornale) che ogni volta che pubblica un volume passa in rassegna
le librerie di Milano e acquista tutte le copie presenti in negozio per andare
al primo posto nella classifica dei più venduti. L’anno scorso aveva fatto
tutto da solo. Quest’anno invece ha mandato due servitori che hanno recuperato
tutta la giacenza, l’hanno caricata in automobile dentro scatoloni, hanno detto
al libraio di turno “Cosa vuole che le dica, il mio capo è un…”, si sono recati
alla libreria successiva dove hanno ripetuto il folle gesto. Dopo due ore si è
presentato in libreria il direttore in carne e ossa con donna al seguito che ha
chiesto “Ecco, volevo sapere se avevate il libro…” Un sistema di controllo
efficiente. Ho telefonato al mio di direttore di giornale e gli ho raccontato scherzando
la faccenda ma lui mi ha detto “Non ci trovo niente di sbagliato”. In ogni caso,
i migliori giri in Italia sono stati quelli che non hanno avuto bisogno di ceri
sotterfugi, Guido Piovene o Guido Ceronetti ad esempio viaggiavano lungo la
penisola senza sbancare le librerie nazionali delle loro opere, cambiano i
tempi, passano gli anni e i topi per le fogne. Einaudi ha ristampato in questi
giorni l’occhio spietato di Ceronetti sull’Italia di oggi (1981-1983), ma
francamente alla nuova copertina gialla preferisco la prima edizione che ho
trovato qualche mese fa per caso appena fuori dalla stazione ferroviaria di
Genova Brignole, la bancarella è quella sotto i portici di fronte al negozio di
giocattoli. Ma cosa facevo a Genova? Gustavo i cannoncini di Panarello, anelavo
ad una vita almeno parziale in compagnia del mare, e poi non ricordo più. L’altro
Giro d’Italia prevedeva invece in data odierna l’ultima occasione per i
velocisti sopravvissuti, da Sarnonico a Vittorio Veneto, tappa di recupero energie
che vedeva sul traguardo addirittura due vincitori: il primo che per reagire
alle critiche ricevute in cinque anni di carriera da professionista faceva un
plateale e rabbioso gesto dell’ombrello, il secondo che pensando di essere
primo e non sesto staccato di ventotto secondi dal quinto e ultimo del gruppo
in fuga alzava le braccia in maniera più classica ancorché scatenata, ma che
purtroppo non vinceva un bel niente. Si trattava dell’italiano Stefano Pirazzi e
del finlandese Jussi Weikkanen. Poco male, le vittorie sono quelle che hai nel
cuore, diceva qualcuno di saggio. Gli storici del Giro e delle coincidenze
comunque sfogliavano gli almanacchi e si scopriva che per ritrovare un gesto
dell’ombrello alla corsa rosa bisognava andare dietro dieci anni fino al
medesimo movimento ad angolo retto compiuto da Tonkov in una tappa con arrivo
Sarnonico, partenza di oggi. Insomma, era successo ancora. Mi bastava così. Ignaro
di certe forme di pur umana maleducazione Quintana restava in rosa davanti a
Uran Uran, Evans, Rolland e Majka. Scrivevo una breve lista di persone alle
quali avrei fatto volentieri il gesto dell’ombrello, chiudevo il mio blocchetto
di cronista quasi quarantenne e mi preparavo alle prossime tre tappe
mortalmente montane prima della classica passerella finale stavolta triestina e
non milanese.