venerdì 22 febbraio 2019

La sottovita sul Giornale di Brescia

Ecco il testo completo dell'intervista uscita oggi sul Giornale di Brescia. Contiene qualche spunto in più, rispetto alla versione cartacea. Le domande sono di Francesco Mannoni. 




Perché ha definito “sottovita” una vita apparentemente normale e sostanzialmente originale nella sua normalità? Che cosa, principalmente declassa a sottovita l’esistenza del protagonista?
La definizione di sottovita riguarda un segmento temporale dell’esistenza del protagonista, quello analizzato durante lo scorrere del romanzo. Si tratta di una vita non credo normale, per quanto il concetto di normalità sia giustamente soggetto a svariate interpretazioni. Il nostro personaggio, un libraio-scrittore travolto dagli impegni lavorativi, dalle questioni famigliari, non riesce più a scrivere, a godere del bello, artistico e paesaggistico, che lo circonda. Potrebbe rinunciare e optare per una non-esistenza, del resto abbastanza comune tra gli umani, ma perché arrendersi? Allora si ritaglia spazi dove non ci sono. Lavora dal mattino presto fino al primo pomeriggio, quindi trascorre diverse ore con i figli, spesso da solo e senza aiuti a causa degli impegni lavorativi della moglie e dell’assenza dei nonni nella città in cui vive. Arriva a sera con la casa sottosopra da sistemare, con  la lavatrice e la lavastoviglie da fare in compagnia della moglie ritornata, ecc. Quando può scrivere? Di notte, con il cervello sbriciolato? Molti conducono esistenze così, è vero,  ma senza scrivere. Diversi scrittori anzi non cucinano, non lavano e non stendono, lavorano poco o niente. Oppure hanno persone che si occupano della gestione della casa e in parte dei figli, magari mogli non lavoranti. Ho conosciuto scrittori così. Buon per loro, forse (ma lo stile può risentirne, i loro libri spesso sono brutti e noiosi perché non vivi, senza fuoco dentro). La loro vita è un altro sport rispetto a quella del protagonista de La sottovita.

Il romanzo, in che misura è effettivamente autobiografico? Il protagonista quanto le somiglia?
Una sera mi sono messo alla scrivania e ho fatto i conti: La sottovita è un romanzo autobiografico al 73%. Il protagonista invece mi assomiglia non poco (qui la percentuale onestamente potrebbe arrivare all'86%). Questi dati fanno de La sottovita un romanzo autobiografico? Forse. Ma senza etichette di certezza. La scrittura, almeno la mia,  comporta deragliamenti non prevedibili. Così, mi è capitato di iniziare a prendere appunti su un foglio per poi ritrovarmi a essere scritto dal foglio. Realtà e finzione si mescolano, poi rileggo e non ricordo più quali siano, delle cose scritte, quelle che davvero mi sono accadute.

Com'era vendere lavatrici a Desenzano?
Bisogna chiederlo al protagonista del romanzo. Eccolo. Lui mi risponde: avevo poco più di vent’anni, quindi era bello. Le lavatrici erano un pretesto. Partivo da Brescia e lavoravo nel fine settimana a Desenzano. Giravo tra le carica dall’alto e quelle con l’oblò. Mi fermavo a scrivere sopra pezzetti di carta quando non c’erano clienti. Li nascondevo nelle tasche quando arrivava qualcuno. Lo ammetto, erano poesie. Non dati di vendite. In pausa pranzo leggevo e guardavo il lago. Mi ripetevo di frequente: adesso vado in biblioteca a conoscere Francesco Permunian. Così m’insegna il mestiere. Ma poi non ci andavo mai. Anche perché spesso, sul lungolago, passavano alcune belle ragazze che mi facevano dimenticare immediatamente Permunian.

Che cosa ne pensa sua moglie di ciò che scrive di lei nel romanzo? Sempre che si tratti effettivamente di sua moglie…
Mia moglie  non si è espressa  in merito alla sua presunta e parziale trasfigurazione letteraria. Attende un’intervista ufficiale da parte del Giornale di Brescia. Mi ha detto comunque che La sottovita è il mio romanzo migliore. Ma bisogna considerare che sono quasi sempre io a pagare l'affitto.

Il suo concetto di paternità come potremmo definirlo: assoluto, responsabile, letterario? Come vorrebbe aggiustare il mondo per renderlo più vivibile per i suoi figli?
Io non ho avuto un modello paterno, talvolta mi guardo in giro e penso per fortuna. Pertanto mi sono affidato all'istinto. Penso di essere un padre totale, nel senso che ci sono sempre, non solo nel fine settimana. Quando non lavoro, sto con i figli. Scrivo sui treni o sulla metropolitana, in qualche rara giornata libera oppure di sera, se il cervello creativo funziona. Vorrei aggiustare il mondo distribuendo meglio le ricchezze e obbligando l’umanità a leggere di più. So che non è possibile.

Il romanzo associa diversi registri linguistici e si legge come una sorta di monologo vivo e fluente: voleva riprodurre tutti i toni e i colori della vita o sottovita che dir si voglia?
Allo stile tengo in modo particolare. In molti pubblicano libri, in pochi io riesco a scorgere la presenza di letteratura. La maggioranza dei romanzi italiani pubblicati sembra scritta mediante quella neolingua ipotizzata da Orwell in 1984. La macchina “parla-scrivi”, mi pare si chiamasse così. Quella che generava automaticamente le parole più semplici eliminando certe diversità linguistiche, rendendo tutti i libri uguali. E spesso questi romanzi italiani scritti in apparente neolingua sono i più venduti, i più premiati. Parlo da libraio e da lettore. Da scrittore io non ho un metodo. Non ho frequentato scuole di scrittura. Il mio metodo è non avere un metodo. Vado avanti e scrivo, senza sapere dove vado a finire. Odio i romanzi scritti a tavolino, magari fintamente impegnati. Per tornare alla domanda, La sottovita sì, può essere letta come un monologo vivo e fluente. Come il romanzo mentale di un giorno che cavalca, surfando, le diverse dune del tempo vissuto dal protagonista e voce narrante.

Qual è il suo rapporto con Brescia, la città in cui è tornato a vivere dopo Milano dove però ancora lavora? E che cosa significa per lei fare il pendolare?
Mi sono allontanato da Brescia nel 2001, sono tornato da pochi mesi e ho ritrovato una città più viva, meno provinciale. Ovviamente non è Milano, ma a Milano non ci sono le colline, la cui assenza in questi diciotto anni meneghini mi ha più volte turbato. Milano è troppo piatta. I seni verdi che circondando Brescia invece mi emozionano. Provo quindi grande affetto per la mia città, anche se vorrei avesse un numero doppio di abitanti, e un sentimento culturale maggiore. Non dipende da chi la governa, che mi pare stia facendo il possibile, ma è una questione di mentalità. O di qualità, per dirla alla Giovanni Lindo Ferretti. Una formalità. Brescia è nota per la grande cultura del lavoro che la caratterizza, vorrei che scalasse posizioni anche nella classifica dei libri letti per persona. Si potrebbe pensare a una riduzione dell’orario di lavoro giornaliero, facciamo di un’ora, da spendere invece nella lettura. Leggere rappresenta il più grande atto rivoluzionario che un individuo può compiere, per sé e per gli altri.
La vita da pendolare? Pensavo peggio. Mi alzo alle 4.53 per quattro giorni alla settimana, lavoro a Milano, ma alle 15.22 sono già in Stazione FS, come mi ricorda la voce dell’indispensabile metropolitana. Alle 15.40 da sottoterra sbuco nella bella Mompiano, che adoro. Certo, a quel punto dormo in piedi, ma sui treni almeno si può leggere.

venerdì 15 febbraio 2019

Lavorate meno, leggete di più


Lavorate meno, leggete di più. Un mio racconto su Futura, inserto del Corriere della Sera. Illustrazione di Maria Agnese Stigliano.

giovedì 7 febbraio 2019

Sei domande sulla sottovita

"Sul romanzo" mi ha chiesto 6 cose.
 È possibile cliccare sulla vacca per conoscere le risposte.