martedì 28 settembre 2010

Serie A: Milan-Genoa (La mia ragazza Ibra)

(Savio per Quasi Rete Gazzetta dello Sport)

Ci sono fidanzate che in estate partono per il mare e non puoi star tranquillo. Vanno con le amiche, o con la famiglia, ma questo poco importa. Il fatto è che loro vanno al mare mentre tu resti a casa perché le ferie le hai già finite, e devi lavorare. Passano i giorni e le telefonate si fanno più rade. Cominci a pensare male. Ti arrivano messaggi del tipo: “Pomeriggio in spiaggia: bagni, giochi e rilassamento”. Passi per i tuffi, ma su giochi e rilassamento cominci a fare brutti pensieri, cercando di allontanare l’atroce minaccia che i giochi in questione possano essere erotici, e il rilassamento sia rappresentato invece dal classico relax post-coitale.
Avevo questo amico juventino che si sfregava le mani emozionato osservando le prodezze di Zlatan Ibrahimovic, nato a Malmoe nel 1981. Lo ricordo, con la luce dell’appassionato di calcio negli occhi, confidarmi: “Siamo nel 2005, ha 24 anni. Per 7/8 anni col centravanti siamo a posto”. Povero ingenuo questo mio amico. Non immaginava la leggerezza di certe ragazze molto belle, e l’imprevedibilità del caso e d’indagini telefoniche svolte in una sola direzione, date in pasto al popolino ripieno di informazioni lette sui giornali gratuiti in metropolitana, o su certi quotidiani a pagamento capaci di anticipare le sentenze dei Giudici secondo il volere dell’azionista di maggioranza. Juve in B allora e la ragazza Ibra del mio amico all’Inter, quando al momento di prenotare le vacanze estive nessuno avrebbe potuto immaginarlo.
All’inizio di ogni campionato, le piccole e medie squadre tengono il passo delle grandi. Passano le giornate e la parte ingenua che alberga dentro qualcuno di noi per un attimo comincia a crederci: dai che quest’anno lo scudetto lo vince il Chievo, il Bari, il Brescia. Poi, inesorabilmente, la differenza con le grandi squadre salta fuori.
Sabato sera in Milan-Genoa ad esempio è andata così. Un primo tempo equilibrato, con virtuale vittoria ai punti della squadra di Gasperini. Al quarto della ripresa però è accaduto l’inevitabile: Pirlo ha considerato opportuno ripetere il lancio che, anni prima, quando indossava la maglia del Brescia, aveva effettuato per Roberto Baggio. Era il novantesimo, e il fuoriclasse di Caldogno aveva pensato di fare due cose in una sola, stoppando il pallone che spioveva dall’alto dei cieli di Pirlo scartando nello stesso tempo Van der Sar, prima di depositare il pallone in rete. Juventus-Brescia 1-1.
Ma torniamo a S. Siro al quarto minuto del secondo tempo: lancio centrale del regista del Milan, due difensori non bastano per un solo Ibrahimovic che allunga il piede numero 47 per anticiparli e infilare con un pallonetto la porta alle spalle di Eduardo, portiere rossoblu incerto a metà strada tra linea bianca e attaccante avversario.
Da questo momento il bel Genoa della prima frazione di gioco è scomparso. Criscito, Ranocchia e Toni si sono guardati più volte negli occhi come a dirsi: “siamo una bella squadra e faremo un bel campionato. Ma anche oggi abbiamo visto un film che purtroppo ben conosciamo. Parla di noi, e di altre squadre come noi, eterne medie compagini impossibilitate a trasformarsi in Milan, Juventus e Inter.”
Robinho e Seedorf hanno accompagnato la più bella ragazza in campo cingendole i fianchi, aiutandola a prendere tempo. Il primo con accelerazioni e spettacolari colpi di tacco, il secondo con il consueto trotterellare e proteggere palla. La bella ragazza svedese, dal canto suo, ha tenuto lontano certi corteggiatori genovesi che, a volte a gruppi di tre, volevano appropriarsi di ciò che la bella aveva di più prezioso: la sua palla.
È così arrivata la fine della partita, e guardando il volto stanco di Ibra mi è tornata in mente una mia lontana ex-fidanzata, giovane e bella, dispersa tra mare e sabbia, con il telefonino che non prendeva, mai.

venerdì 24 settembre 2010

Serie A: Brescia-Roma (Magrelli al posto di Mexes)

Il poeta Valerio Magrelli non potrà mai perdonare al padre di avergli fatto indossare una tenuta della A. S. Roma Calcio solo per fotografarlo, in riva al mare, a sette anni, nel primo pomeriggio di una domenica invernale degli anni sessanta. L’immagine più triste, sciagure a parte, che l’autore di Addio al calcio conserva nella sua memoria.
“Cosa ci fa infatti un bambino solo, e in perfetta tenuta sportiva, sulla spiaggia a gennaio?”

Magrelli ha deciso di ritirarsi dal calcio giocato a quarant’anni, al termine di una partita contro ragazzi più giovani. Addirittura dopo un’azione pregevole che l’aveva visto tagliare la difesa come il burro, saltare i terzini come in sogno. Già, ma perché tutti si scansavano, anzi, lo evitavano. Una gentilezza squisita, sottolinea il poeta, ma piuttosto umiliante. Come la richiesta di un compagno al momento di battere una punizione:
“Coraggio, tiri lei…”
Del Lei, in un campo da calcio!
Quella fu l’ultima partita di Valerio Magrelli.

Conoscevo bene i motivi intimi dell’irrevocabile decisione di Valerio, per questo mi sono stupito quando Claudio Ranieri l’ha fatto entrare sul terreno di gioco del “Rigamonti”, per giunta senza riscaldamento, pochi secondi dopo l’espulsione di Mexes.
Il difensore francese stava ancora terminando la sua scenata isterica, degna di una moglie tradita, quando l’allenatore del Testaccio, anglo-romano esemplare nel suo tentativo di apparire calmo circondato dalla consueta caciara nervo-giallorossa, ha guardato il fondo buio della panchina per ordinare all’ultima delle riserve, peraltro assorta nella lettura di Paul Valéry:
“Valerio, tocca a te!”

Sotto il cartellino rosso, Mexes avrebbe voluto mangiarsi l’arbitro. Vene tatuate del collo in rilievo, rossore diffuso a fare da contrasto alla chioma bionda, Philippe ha poi virato verso il guardalinee che ingenuamente si era avvicinato all’area di rigore. Attimi di testa a testa con il pallido e magro sbandieratore, poi via, cinque-sei compagni che cercano di trattenere il difensore francese, farlo rientrare di testa, ma niente. Pippo allora corre verso il tunnel, e appena varcata la linea laterale sferra un calcione alla base gommata di una postazione Sky, rischiando di far venire un infarto all’operatore di telecamera, o di farlo ribaltare.

Sotto di due gol dopo il rigore realizzato da Caracciolo, Magrelli ha fatto quello che ha potuto, dando ordine ad una squadra volenterosa, ma confusa. Il Brescia, magistralmente schierato da Beppe Iachini con dieci uomini sempre dietro la linea della palla durante la fase difensiva (da lodare il sacrificio in copertura dei talentuosi Diamanti ed Eder) ha sofferto nei minuti finali per contenere gli assalti di una Roma riportata in vita dal gol di Borriello, l’ultimo ad alzare bandiera bianca dei suoi.

Perparim Hetemaj, giovane centrocampista finlandese di origine kosovare, autore del primo gol in serie A e tra i migliori in campo, ha stretto la mano al poeta romanista sconfitto, ma non umiliato.
Magrelli è stato l’ultimo ad abbandonare il terreno di gioco.
Scendendo le scale che portano agli spogliatoi, si è ricordato della pagina che, nel suo ultimo libro, ha dedicato a questi luoghi comuni di esaltazione e abbattimento, silenzio e vapori. Gli spogliatoi, nel calcio e nello sport in genere, gli fanno pensare ai gabbiani in poesia: non se ne può più, e se ne vorrebbe ancora.

martedì 21 settembre 2010

Si esce vivi dagli anni ottanta

Manchi da una città per qualche anno e le case cambiano, talvolta spariscono. Alcune sostituite da mura più giovani, altre sbriciolate, e basta. Le persone purtroppo tendono a fare altrettanto. Dove non arriva la memoria individuale talvolta giunge quella collettiva. Forse ha pensato anche a questo Claudio Franchi (che curiosamente abita nella stessa via dove vivevano mio padre e mio zio, da bambini). Così si è inventato SANFABLOG, un luogo che sta dentro il computer, e parla di un quartiere, quello di S. Faustino a Brescia, e della sua gente, i carmelitani. Un’idea semplice e affascinante che mi fa venire in mente Rai Storia, il mio canale preferito. La Storia siamo noi, padri e figli. Testimonianze e fotografie da un quartiere speciale, al quale voglio molto bene, perché una parte di me viene certamente da lì.

venerdì 17 settembre 2010

Mio padre era bellissimo alla Festa Democratica

Domenica 19 settembre alla Festa Democratica di Milano (M1 Lampugnano, Libreria Coop, ore 18.30) Annarita Briganti, giornalista di Repubblica Milano, presenterà "Mio padre era bellissimo". Probabilmente e contro la mia più intima volontà, ci sarò anche io, forse appena stordito dal primo pomeriggio trascorso a guardare la partita della Juve, sfogliando per disperazione il nuovo libro di Magrelli, senza scordarmi di finire il Duddy Kravitz di Richler. Se volete venire poi magari vi divertite anche, in ogni caso dopo c'è il comizio di Pierluigi Bersani.

lunedì 13 settembre 2010

Serie A: Juventus-Sampdoria (Se Bukowski gioca nel Doria)

Mi ricorderò a lungo di certe olive verdi e sublimi mangiate sulla spiaggia di Antibes di fronte a un mare e a un cielo che avevano lo stesso colore. Era l’ultimo giorno di ferie, e poi sono tornato in Italia in automobile, fermandomi un attimo a lato della strada panoramica per fare la pipì sopra Montecarlo. Mi scappava proprio, e pensavo ai residenti del Principato con un poco d’invidia: “Beati questi qua, che non pagano le tasse”. Pagare le tasse non è bellissimo.

Proseguendo verso la Liguria lungo la bella strada dove purtroppo perì Grace Kelly, raro esempio di grazia espresso attraverso un essere umano, ho guidato con attenzione per evitare di seguire le medesime traiettorie della principessa. A Genova ho fatto un’altra sosta, e come ogni volta mi sono messo a camminare nella città della Lanterna ponendomi la solita domanda alla quale non so rispondere: Genoa o Sampdoria? Sì insomma, se fossi nato a Zena, il caso mi avrebbe fatto battere il cuore per il Grifone o per il Marinaio con la pipa? Niente, nessuna scelta convinta nemmeno stavolta.

Nel pomeriggio Juventus-Sampdoria hanno messo in scena una bella partita, per chi apprezza certi match gonfi di errori ma almeno spettacolari. Antonio Cassano, butterato come Charles Bukowski, ha regalato stop, passaggi illuminanti e un gol da fuoriclasse. Il più grande talento italiano degli ultimi anni dopo Del Piero e Totti, ha sottolineato Franco Causio in telecronaca, e dopo un briciolo di dubbio ho pensato che avesse proprio ragione. Ma l’unicità di Cassano va oltre la sua tecnica, risiede nella rude poesia di certi suoi atteggiamenti. Come Charlses Bukowski, quando per dieci minuti scompare dal campo, ti puoi immaginare Antonio mentre fa ridere con una battuta l’allenatore avversario, mentre fuma una sigaretta o beve un bicchierino vicino alla panchina, al limite mentre ci prova con una graziosa ragazza spettatrice. Tanto poi torna a trotterellare sul campo, e gli basta un passaggio geniale per aprire uno squarcio nelle difese avversarie, alla faccia di ogni schema previsto per arginarlo.

Lo scoramento dei tifosi juventini è stato parzialmente mitigato dal buon secondo tempo offensivo dell’undici bianconero, ma subire tre gol in casa rischiandone altrettanti non può far dormire sonni tranquilli a Gigi Del Neri. A metà della ripresa però, la corsa irresistibile palla al piede per 40 metri di un biondino con il numero 27 ha accesso una fiamma nell’anima degli amanti della Vecchia Signora. Due assist, una clamorosa occasione sprecata davanti a Curci ma al termine della suddetta esaltante cavalcata. Milos Krasic, forse, non assomiglia a Pavel Nedved solo per via dei capelli.

domenica 5 settembre 2010

Energia di digestione


Non mi era mai capitato di mordere un libro, eppure ne ho letti tanti. Ma questa volta, ad un certo punto, direi a pag. 39, mi è venuto proprio di dare un bel morso in alto a destra, così che anche nel retro copertina adesso ci sono due puntini nel cartoncino rosso. Sono dei miei denti, ne sono sicuro.
Ho annusato libri, mi sono spinto in diverse occasioni con gli occhi fino attaccato alle parole dentro, così, perché mi andava. Ma prenderli a morsi è la prima volta, e non mi frega che il libro di Silvia l’ho comprato in libreria in Duomo e ci ho messo pure dieci minuti per trovarlo, perché quando finisco di lavorare alle 14, passo il badge e prima di correre a casa a pranzare qualche volta ho bisogno di regalarmi un libro, lo cerco seguendo l’alfabeto ma pretendo di fare tutto veloce perché ho fame e allora arrivo alla C e Colangeli non c’è. Strano, dovrebbe esserci, ho visto la giacenza nel computer. Provo a guardare lo scaffale “Editori che passione” dove di solito mettono certi libri un po’ diversi dal solito, ma niente. Torno alla C e Colangeli infatti c’è, era lì anche prima, ormai non mi viene più neanche il nervoso, pazienza.
Mordo il libro di Silvia e me ne frego dei germi, o dei miei consueti metodi da scemo per non sporcarmi toccando le cose che mi fanno schifo: i sudici sostegni della metropolitana, le maniglie dei bagni pubblici che di solito chiudo con le mani, dopo essermele lavate, con le dita però protette da uno dei pezzi di carta per asciugare. Vittorio Gassman utilizzava solo i gomiti per entrare ed uscire da un bagno pubblico, io no perché poi penso che devo lavare subito il maglione, o la camicia.
Ma “Energia di digestione”, l’ho proprio morso. Poi ho finito di leggerlo: un libro davvero bello, ho scritto a M.M. Anzi no, stupendo. Se può dirlo a Silvia quando la sente, poi glielo dirò anche di persona, il diciannove settembre.

venerdì 3 settembre 2010

Solo uno che giocava in difesa

Da bambino era uno che giocava in difesa, quindi quasi mai, all’oratorio, veniva scelto come primo quando si trattava di decidere chi voler essere durante la consueta partita pomeridiana.
“Io sono Platini!”
“Io Boniek!”
“Ma noo, volevo farlo io! Allora io Paolo Rossi!”
“Io Tardelli!”
“Io Cabrini!” (che era il più bello).

Da bambini si vede solo una dimensione delle cose, quella più appariscente, e talvolta gli eccessi sono più affascinanti di un’apparente, noiosa normalità. Gaetano Scirea diventava uno di noi sul campo dell’oratorio solo quando finivano gli attaccanti e i centrocampisti da interpretare. Scegliere Scirea inoltre voleva dire starsene in difesa, a protezione di Dino Zoff, anche se su questo punto perfino a nove anni capivamo che c’era qualcosa che non andava nel ragionamento più scontato.
“Perché pur essendo un difensore il numero 6 della Juventus segnava così spesso? Perché non si beccava mai un cartellino rosso?”

Chi faceva Scirea allora, era difensore, ma poteva sganciarsi in avanti, palla al piede, e tentare pure la via del gol. Se i compagni di squadra protestavano per l’abbandono della retroguardia, si poteva rispondere prontamente:
“Sono Scirea, posso”.

Immaginatevi una domenica degli anni ottanta. L’albergo era distante nemmeno duecento metri da casa mia. Lì dentro c’era la Juve, l’avevano capito tutti nel quartiere perché Bettega, la sera prima, si era intrufolato nella chiesa durante la messa delle diciotto. Tra i credenti si era alzato un sottile brusìo.
“Ma quello lì non è Bettega?”
“Ma certo, è Bettega! Domani c’è la Juve, è proprio lui”.
Gesù per un attimo aveva perso consensi, in chiesa c’era Roberto Bettega.

Immaginatevi una domenica mattina, la folla fuori dall’albergo, dopo un po’ ma che stiamo a farci, tanto non uscirà mai nessuno. Ma no, forse qualcuno sì. Dai, aspettiamo ancora dieci minuti.

Gaetano Scirea che firma autografi una domenica mattina degli anni ottanta. Un uomo timido, gentile, che pare serio, ma poi sorride appena e ci conquista tutti con uno sguardo. Come faccio a spiegarlo a un bambino di oggi. A descrivere un’eleganza sul campo fuori dal comune, una correttezza combattiva da campione del mondo. Mi viene in mente solo una cattiveria, che non vorrei dire, ma mi scappa. Ecco bambini, immaginatevi Marco Materazzi. Fatto? Ok, adesso pensate all’esatto contrario.