Dublino - Dev’essere una faccenda
di compleanni che potrebbe anche gettare un’ombra sull’effettiva regolarità
della manifestazione perché la tappa del Giro d’Italia di oggi, che purtroppo
non sono riuscito a vedere, ha sancito la seconda vittoria consecutiva di
Marcel Kittel, come del resto ieri, con la differenza però che oggi il
velocista tedesco, descritto da un noto quotidiano italiano come un dio della
potenza e della forza dal volto squadrato, dai lineamenti duri, gli occhi
azzurrissimi, un po’ Rocky IV un po’ Arnold Schwarzenegger; ecco oggi Marcel
Kittel ha vinto proprio nel giorno del compimento del suo ventiseiesimo anno di
vita, com’era accaduto al canadese Svein Tuft nella prima tappa, che tuttavia di
anni ne ha undici di più. A parte questo, sabato sera mi ero ritrovato sul
divano a guardare Hunger, film di Steve
McQueen che ricostruisce il trattamento riservato ai prigionieri politici nel
carcere di Long Kesh in Irlanda del Nord. In buona sostanza soprattutto la storia di Bobby Sands, appartenente
alla Provisional
IRA, che per ottenere il riconoscimento di
prigionieri politici per i membri dell'IRA, organizza uno sciopero
della fame in cui
perderà la vita. Ero sul divano e mentre i piani sequenza si ripetevano
con una certa insistenza pensavo alla casualità che mi aveva fatto capitare sull’emittente
che aveva pensato di trasmettere questo film irlandese durante la gita in terra
verde della carovana rosa, forse non per caso. E cioè m’immaginavo i dirigenti
dell’emittente che avevano fatto riunioni e riunioni fino a decidere di
proiettare lungometraggi irlandesi in coincidenza delle prime tre tappe
straniere del Giro, oppure niente di questo, ma soprattutto perché. In ogni
caso, al venticinquesimo minuto del film, all’incirca quando Gerry, il compagno
di cella di Bobby Sands, stava spalmando per protesta le sue feci dal pavimento
fino al soffitto della cella, Pietro nell’altra stanza da addormentato era
esploso in un fragoroso pianto e allora io e Marta avevamo abbandonato le
rispettive postazioni di relax con un colpo di reni per raggiungere il letto
del bambino, dimenticando d’un tratto l’orrore della violenza e delle torture
delle guardie carcerarie nei confronti dei detenuti io, lei non lo so, e per
quanto mi riguarda passando in un pochi secondi dal pubblico al privato, dallo
sdegno per certi avvenimenti della storia sempre sconfortanti all’immediato
tentativo di capire come mai il mio bambino preferito piangesse disperato. Spenta
definitivamente la televisione, ci saremmo addormentati per svegliarci poi
ripetutamente nel corso della notte ad ogni sobbalzo lacrimoso di Pietro,
preoccupati a vicenda, facendo sembrare di no. Il mattino seguente, abbastanza
assente per la stanchezza accumulata, sapevo già che non sarei riuscito a
vedere la terza puntata del Giro d’Irlanda, Armagh-Dublino, percorso comunque
pianeggiante che si sarebbe concluso al 100% in volata. I ciclisti avrebbero
ricordato Bobby Sands? Lo escludevo, di certo non avevano guardato Hunger come me la sera prima e non erano
rimasti quindi con la questione irlandese in testa, ma con l’altimetria della
tappa sì, che prevedeva un inizio collinare, due gran premi della montagna ma
banali, un finale cittadino dopo aver oltrepassato il fiume Liffrey, dall’Irlanda
del Nord alla Repubblica d’Irlanda. A un chilometro dall’arrivo Marcel Kittel
era molto indietro, ma ha pensato di stare attaccato al francesino Bouhanni,
che non compiva gli anni, e di usarlo come scia per arrivare ancora una volta
primo davanti a Swift, Viviani, Appollonio. Io ho avuto da fare per tutta la
giornata di domenica, arrivato a casa ho guardato parzialmente Roma-Juventus di
nascosto mentre giocavo a nascondino con Pietro, ho pensato devi scrivere il
diario del Giro e ti metti invece a spiare una partita di pallone, sei davvero
inguaribile. L’articolo più bello della settimana però l’ha scritto Gianni
Clerici, prendendo spunto dalla penosa vicenda della trattativa
Stato-Hamsik-Ultras di un sabato fa. Il 7 giugno del 1963, il suo capo e amico
Gianni Brera l’aveva assegnato alla cronaca dell’incontro Atalanta-Roma, a
Bergamo. Ad un certo punto dell’incontro il comportamento di un vecchio tifoso
della Dea era stato così furibondo da procurargli un malore. Clerici aveva
sbagliato commentando ad alta voce che un tifo simile produceva squilibri, ma
non avrebbe mai pensato, dopo il match, di trovarsi di fronte ad un gruppo di
quelli che ancora non si chiamavano ultras, pronti ad aggredirlo al grido di “Dagli
al romano!” Per sua fortuna, uno studio sul poeta Carlo Porta aveva aiutato
Clerici a perfezionarsi nel dialetto milanese, il necessario per convincere gli
ultras della sua non romanità. Da quell’episodio comunque Gianni Clerici decise
di non scrivere più di calcio, si licenziò, venne riassunto quarantotto ore
dopo con l’incarico di occuparsi di sci, basket e dell’amato tennis. Così anche
questa tappa è andata, la maglia rosa è rimasta sulle spalle di Michael
Matthews, domani il Giro riposa e anche io, ci sentiamo martedì per la Giovinazzo-Bari.