Viggiano - Mi sono svegliato alle cinque del
mattino, non che fossi in apprensione per la quinta tappa, a dire il vero la
prima con arrivo in salita ma niente di trascendentale, altitudine massima 948
metri, mi sono svegliato alle cinque del mattino e ho fatto barba, doccia,
colazione in albergo, caffè in un bar di Taranto con lettura rapida della Gazzetta dello Sport, non ero fra i
trenta + uno dei pre-convocati di Cesare Prandelli per i Mondiali brasiliani ma
non mi ero fatto illusioni, eppure c’erano Mirante e Darmian, a trentanove anni
però ci sarebbe voluto in miracolo, bene avevo fatto ad accettare la proposta
del quotidiano allora di seguire da vicino il Giro d’Italia numero 97 come
scrittore non inviato, oggi da Taranto a Viggiano, mi ero sempre lamentato di
non aver mai goduto di questa possibilità e adesso toccava a me. Al bancone il
giornalista E.C. non aveva dubbi, la febbre di Marcel Kittel nascondeva doping,
a questo ero riconducibile il suo
ritiro, io dopo il caffè gli avevo detto “Il tuo problema E.C. è che sei
ossessionato dal doping, il doping è certamente una parte del ciclismo ma non
tutto il ciclismo, nel tuo articolo relativo alla tappa di ieri non hai scritto
nemmeno due righe sull’andamento della gara, c’è qualcosa che non va, guarda i
colori e le strade, scrivi di quello, collegali a musica cinema o letteratura, ma
li vedi i colori e le strade?” Il percorso prevedeva un arrivo in salita, un
finale a circuito come ieri a Bari ma con ascesa a novecento metri di
altitudine, quindi discesa tecnica e rettilineo conclusivo di 100 mt al 6% di
pendenza. Ma non è per questo che mi ero svegliato alle cinque, saranno stati
altri motivi, dopo il caffè mi sono ritrovato in libreria, come al solito avevo
timbrato in orario, di conseguenza non ero per niente inviato alla corsa rosa
cosa mi era saltato in mente, non ero Vasco Pratolini al trentottesimo Giro d’Italia
(14 maggio-5 giugno 1955), reduce da una cura di sei mesi per disturbi leggeri
ma noiosi, non relativi al cuore, alla pressione, non relativi a nulla. Fino a
quando la diagnosi non era balzata agli occhi con l’evidenza delle cose di
natura. Vasco era ammalato di sedia e di scrittoio, e andar dietro al Giro gli
era parsa la medicina più sicura. Già al solo pensiero, gli era passato il mal
di capo. Non ero Vasco Pratolini allora, nemmeno un suo vicino di osservazione
ciclistica terapeutica, non eravamo nel 1955, al termine del turno sarei corso
a casa per mangiare un panino, prendere l’automobile e correre a Brescia dalla
mia famiglia, niente tappa anche oggi, come giustificarmi agli occhi del
direttore del quotidiano, gli avrei mandato la consueta cronaca di tappa
fasulla, una vittoria italiana finalmente, quella di Diego Ulissi abile a
sfruttare il traino della maglia rosa Matthews fino a tagliare il traguardo
prima di Cadel Evans e Moreno Arredondo. In autostrada mezz’ora di coda per
incidente, Vasco Pratolini, oggi avevo un mal di petto simile al tuo mal di
capo, per questo mi sono svegliato alle ore cinque, mi sono fatto barba e
doccia, colazione in albergo, caffè in un bar di Taranto prima di ritrovarmi a
sorpresa di nuovo in libreria, non inviato ma premiato nel ricevere in dono da un
barbuto e gentile rappresentante una copia del nuovo libro di Marino Sinibaldi,
Un millimetro in là-Intervista sulla
cultura. E la tappa di domani? Sassano-Montecassino, la guida dice media
montagna, 247 Km. Al termine della coda sull’A4 sono uscito a Ospitaletto, ho
proseguito verso Gussago e giunto nel cortile alberato prospiciente la casa dei
nonni mi aspettava Pietro con sua mamma. “Papino!” ha gridato, con la bocca
allungata a sorpresa, gioia definitiva. Abbiamo parcheggiato la macchina
insieme, due tre quattro cinque volte, prima marcia retromarcia, quest’aggressiva
passione per l’automobilismo, non saprei davvero dire da chi l’ha presa.