Plan di Montecampione – Buona domenica, Guardia Medica. Mi sono tolto gli occhiali da sole ma sotto non avevo niente,
sopra invece gli alberi di Bande Nere m’indicavano la strada verso la
continuità assistenziale, Bande Nere per chi non fosse di Milano è la fermata
della metropolitana linea rossa dove si trova il distretto 5 dell’Asl Regione
Lombardia, di riferimento per chi abita nella zona 6-7, spero di essere stato
sufficientemente chiaro. Sotto gli occhiali non avevo niente, ma sopra il verde
degli alberi mi dirigeva lungo i viali giusti, questa sede dell’Asl non ha
nulla da invidiare all’ambientazione ipotetica di un romanzo che abbia come
protagonista un malato, pensavo, si respira una certa e considerevole
tranquillità cromatica a dispetto delle previsioni, al distretto numero 5. Il
medico mi aspettava sulla soglia, erano le nove di mattina circa, mi ha detto “Cerca
il medico?” io che non avevo capito lui fosse il medico gli ho detto “Cerco il
medico”, lui mi ha detto “Sono io il medico”, io gli ho risposto “Allora buona
domenica, Guardia Medica”. Mi sono tolto gli occhiali (sotto non c’era niente),
mi ha controllato gli occhi, la gola e il respiro, respirare con la bocca
aperta, poi sdraiato sul lettino. “Lei è malato e deve riposare”, mi ha detto.
Io ho pensato alla quindicesima tappa del Giro d’Italia, come avrei fatto a non
guardarla. Del resto non ci vedevo, ma era un particolare. Ho salutato il
gentile dottore, invidiando la pace della sua ambientazione lavorativa che pure
percepivo essere per lui nel lungo periodo noiosa, e potevo comprendere anche
questo. Mi sono diretto verso casa lentamente a piedi, ero malato ma mi sarebbe
passata, non si trattava di nulla di grave. Qualcuno andava a votare, qualcuno
no, si recava in pasticceria, portava i figli nel passeggino, in bicicletta,
per mano camminando. Dopo pranzo mi sono tornati gli occhi per spiare almeno la
salita di Montecampione, da 200 a 1665 metri in una ventina di chilometri: i
capitani delle squadre abbandonati chi più chi meno dai loro gregari si
trovavano quasi da soli a sfidarsi e controllarsi, come in un Giro d’Italia
organizzato apposta per loro che entusiasma la folla ai bordi delle strade, me
stesso con gli occhiali da sole davanti alla televisione che a volte li toglievo,
per capirci qualcosa. Lo scatto vincente era quello del piccolo e sardo Fabio Aru
che si lasciava alle spalle maglia rosa, francesi e colombiani, omaggiando con
la sua ascensione a strappi e la sua esultanza rabbiosa sul traguardo questa
ulteriore tappa dedicata a Marco Pantani. Dietro di lui Duarte, Quintana e
Rolland. Nella classifica generale Uran Uran pur in sofferenza manteneva un
minuto di vantaggio su Evans, uno e cinquanta su Majka, due e venticinque su
Aru e Quintana. Uno di questi cinque corridori vincerà il novantasettesimo Giro
d’Italia, io dico Quintana, pur consapevole di aver detto Evans solo qualche
giorno fa, ma tanto chi va a controllare. Mi sono tolto gli occhiali da sole
per andare a dormire, arrivavano inquietanti segnali sul futuro dei lavoratori
Feltrinelli: rinnovo e aumento delle ore di solidarietà, ipotesi cassa
integrazione guardando più in là. Pensavo a chi ci aveva ridotto così, al Giro che
domani non ci sarebbe stato. Meglio andare a dormire, riposare gli occhi che
prima o poi questa assurda malattia del non vedere sarebbe passata, dormire il
giusto per risvegliarsi senza questo mal di testa. Non avrebbe funzionato. Aver
ragione, vincere, possedere l’amore, marcisce sul morto tronco dell’illusione. Sognare
è niente e non sapere è vano. Dormi nell’ombra, incerto cuore.