Salsomaggiore - Neanche oggi sono riuscito a
vedere la tappa. Finito il turno in libreria ho preso l’automobile e sono
partito in direzione Brescia con un libro di Thomas Bernhard sul sedile del
passeggero, meglio che fare il viaggio completamente da solo. Era in programma
la Modena-Salsomaggiore a dire il vero, ma io viaggiavo sull’A4 in automobile
non in direzione di Modena, e nemmeno di Salsomaggiore, tanto era una frazione
estremamente pianeggiante mi dicevo, 173 chilometri con un’altitudine massima
di 168 metri, figuriamoci, il direttore del giornale sarà in grado di
comprendere la mia decisione di non scrivere la cronaca e di procedere verso
Brescia pensavo, nessun arrivo del Giro in programma nella mia città di nascita
ma solamente il figlioletto che mi aspetta al grido di “Papino!” In ogni caso
avanzavo lungo l’autostrada in compagnia di Thomas Bernhard e della sua Cantina. Una volta liberato dal giogo
del ginnasio catto-nazista, lo scrittore austriaco aveva pensato di andare a
cercare gli altri esseri umani in
direzione opposta, nel quartiere di Scherzauserfeld, alta scuola dei
reietti e dei poveri. Al mattino, mentre battevo a ripetizione e misteriosamente
scontrini alla cassa numero 7 mi ero scoperto a tifare abbastanza
spudoratamente per Cadel Evans, sarà per il nostro essere quasi coetanei,
dovendo ammettere a me stesso di essere giunto a quel tipo di non giovinezza in
cui si comincia a parteggiare per certi atleti non più di primo pelo che grazie
alle loro prestazioni confortano se stessi e i loro simili, nello specifico
anche il sottoscritto trentanovenne. E pure E.C. su Repubblica mi veniva incontro, riprendendo le parole di Evans che
invitava i giovani corridori ad attaccarlo, e lasciando trasparire una certa
predilezione giornalistica per la maglia rosa australiana, ovviamente anche
perché mai coinvolta in tredici anni di onorata carriera in alcun caso di vero
o presunto doping. Poi ero tornato indietro rispetto alle pagine sportive e
avevo letto di minacce e insulti tra politici, del nostro temibile bisogno di
vendetta, del Papa che spronava a non cedere al catastrofismo, ad essere
semplice nello stile di vita, distaccato, povero e misericordioso. L’ambizione
genera correnti e settarismi, mi diceva Francesco, e vuoto è il cielo di chi è
ossessionato da se stesso. Ben detto, ma nel mondo reale io mi trovavo già in
contratto di solidarietà, già mi ritenevo relativamente povero e misericordioso,
con la concreta possibilità di essere nel futuro sempre più povero e sempre più
misericordioso. E allora superata la curva di Bergamo ho aspettato il primo
autogrill disponibile per guardarmi in santa pace almeno la volata, vinta
nuovamente dal pugilatore Bouhanni (terzo successo al Giro) davanti all’italiano
Nizzolo (terzo secondo posto al Giro). Poi ho evitato il processo alla tappa, consapevole
che mai mi sarei imbattuto in Pier Paolo Pasolini in bianco e nero che
dialogava con i corridori all’inizio degli anni settanta del Novecento, ho
fatto rapidamente benzina e sono ripartito in direzione opposta fino a
raggiungere moglie e figlio per l’occasione malati del più consueto e
raffreddato fastidio stagionale. A Brescia i cicloamatori mi hanno accolto come
da tradizione uscendo reattivi dai garage dopo la conclusione della tappa.
Hanno l’abitudine di vestirsi in modo impeccabile i ciclisti bresciani, come
corridori professionisti che pedalano in gruppetti distinti dai completi delle
squadre più in voga del momento. Non mancano maglie rosa e della Lampre,
diversi campioni del mondo e qualche maglia gialla. A Milano non capita questa
cosa. I ciclisti escono dai portoni delle loro abitazioni ma spesso senza
bicicletta da corsa e senza essere professionisti. Finirebbero probabilmente impigliati
nelle rotaie del tram. L’essenziale a mio avviso è voler andare non soltanto in
una direzione diversa, ma in una direzione opposta. Un compromesso non è più
possibile.