Rivarolo Canavese - Oggi sono
riuscito a vedere la tappa. Lo so, questo sorprenderà i miei detrattori, ma
oggi sono riuscito a vedere la tappa. Una parte della tappa. Non una tappa
indimenticabile. Diciamo una frazione predisposta a smaltire la fatica fisica,
nervosa e vinicola della cronometro di ieri e funzionale a preparare i
corridori all’arrivo in salita di domani a Oropa, secondo omaggio di questo
Giro d’Italia numero novantasette alla sacra figura di Marco Pantani. Comunque
parliamoci chiaro, per vedere tutte le tappe bisogna essere malati o
disoccupati. Fra le due opzioni la seconda è preferibile alla prima, se dopo il
periodo di disoccupazione subentra un nuovo impiego o comunque una rendita che
permette al fu non occupato di mantenere se stesso e famiglia. Essere
disoccupati per un periodo limitato è probabilmente la condizione ideale. Si
può progettare di scomparire, rendersi conto della propria inutilità eppur così
fondamentale, andare in montagna o al mare o starsene a casa e magari buttare
giù quel romanzo che gira nella testa da un po’. Invece il Giro d’Italia
formato malattia preferirei evitarlo, ho già dato abbastanza fra i sei e gli
otto anni quando guardavo la corsa con mio padre che non stava bene e
aspettavamo, come oggi, gli ultimi chilometri di una tappa pianeggiante per
scoprire se ai fuggitivi sarebbero bastati i minuti o i secondi di vantaggio accumulati
sul gruppo. Un Giro come malattia, in tuta o in pigiama, come la Ricerca del tempo perduto che per
riuscire a leggerla, secondo il fratello di Marcel Proust, era obbligatorio
rompersi una gamba, o appunto trascorrere un lungo periodo di degenza in
ospedale. Ecco ho visto la tappa, gli ultimi trenta chilometri della tappa. Ma
sinceramente non è stata una tappa indimenticabile. Ho chiamato il direttore
del giornale per comunicargli che stavo seguendo la tappa, visto che non perde
occasione per ricordarmi che se mi ha inviato al Giro è per ricevere alla sera
una cronaca della corsa dettagliata adatta al nostro lettore tipo. Ne ho
approfittato per chiedergli se domani dopo la salita di Oropa posso prendere
l’aereo e andare a Lisbona per seguire da vicino la finale di Champions League
tra Real Madrid e Atletico Madrid. Come figlio di materassaio e superbo
materassaio mancato non posso che tifare per la squadra di Simeone.
Parcheggiamo il pullman davanti alla porta e stiamo a vedere: maledette
Merengues non passerete! Che a dire il vero trovo le meringhe adorabili. Con
panna montata, con cioccolato. Ma le meringhe intese come Real Madrid lasciano
il tempo che trovano. I materassi invece. Il direttore del giornale ha detto
che per Lisbona me lo posso scordare, è troppo tardi. E poi se domenica alle
dieci del mattino devo essere in libreria per lavorare otto ore la vede
difficile. Così, ho finito di seguire la tappa Fossano-Rivarolo Canavese che
tuttavia non è stata una tappa indimenticabile. Anche i ciclisti sembravano pensare
ad altro, alla frazione di domani. Sembravano avere in mente Marco Pantani che
nel 1999, in maglia rosa, è costretto a fermarsi a dieci chilometri dall’arrivo
al Santuario a causa del salto della catena. Marco che riesce a recuperare, da
solo, sugli avversari fino a vincere la tappa addirittura per distacco. Questa
digressione abbiamo deciso di metterla oggi così anticipiamo tutta la
concorrenza che penserà a un ricordo di Pantani negli articoli di domani sera. Comunque
non è stata una tappa indimenticabile. Tutti a credere che il gruppo prima o
poi avrebbe risucchiato nel suo avanzare ferroviario i fuggitivi (prima sei,
poi tre) ma poi niente di tutto questo. I vagoni del treno a pedali non si
decidevano, chi per paura di perdere ancora contro Bouhanni, chi per noia o
sazietà di aver già trionfato tre volte (sempre Bouhanni). Andava a finire che
i tre corridori rimasti soli senza quasi nemmeno esserne convinti si
ritrovavano a sprintare e vinceva l’italiano Marco Canola davanti a Rodriguez e
Tulik. Bouhanni per ripicca vinceva la volata del gruppo precedendo come da
tradizione Nizzolo e Viviani. La maglia rosa restava sulle spalle di Uran Uran
da Urrao. Non una tappa indimenticabile, ma almeno questa volta l’ho vista.