lunedì 28 luglio 2014

Futura Festival


Amici marchigiani, amici del centro Italia. Domani sarò a Civitanova Marche in compagnia di Antonio GurradoPaolo Di PaoloGiancarlo Liviano D'Arcangelo, Maurizio Compagnoni per parlare del futuro della letteratura, dopo i Mondiali. Sarà presente anche un campione del calcio italiano (che non sono io). Futura Festival, piazza della Libertà, ore 23.

lunedì 21 luglio 2014

Una recensione bellissima

Capita di ricevere recensioni bellissime, come questa di Gianvittorio Randaccio per Quasi Rete, blog letterario della Gazzetta dello Sport. Ti fanno quasi pensare che valga la pena scrivere. 



di Gianvittorio Randaccio
Se uno legge Il Fuorigioco sta antipatico ai bambini, a un certo punto, a pagina 114, succede che Francesco Savio, ormai alla fine di quello che che lui chiama un romanzo e invece non è un romanzo, ma undici romanzi brevissimi che dovrebbero avere a che fare con i mondiali di calcio e la letteraratura, e invece cambiano direzione continuamente e col calcio e la letteratura si bagnano un pochino e poi tornano fuori dall’acqua, si mette a raccontare di lui e di Pietro, suo figlio, e del fatto che lui, Francesco, vuole portare Pietro al cimitero, che per lui, Francesco, è un posto triste, mentre per il figlio, Pietro, no, anzi, è un posto come un altro dove passeggiare o correre senza avere niente a cui pensare, se non passeggiare o correre, per l’appunto. A questo punto di pagina 114 succede anche, ma questo Francesco Savio non può saperlo, che a me sgangherato lettore questa cosa del cimitero e dei bambini fa venire come un groppo in gola pieno di emozione e mi fa pensare a una scena simile vissuta da me con una bambina di tre anni che, entrando al cimitero maggiore di Milano, si guarda intorno stupefatta dicendo che questo parco è veramente grandissimo, entusiasta della contemporanea presenza di addirittura due ruspe gialle, purtroppo ferme, visto che è domenica. E questa cosa di pagina 114, che magari agli altri lettori del Fuorigioco sta antipatico ai bambini non dice niente, per me si trasforma nella rivelazione del senso di questo libro, nel quale i mondiali sono una scusa per proseguire un discorso cominciato con Mio padre era bellissimo e proseguito con Il silenzio della felicità, e anzi forse nel senso stesso della scrittura di Francesco Savio, che spesso trova il modo di farti vedere delle cose all’improvviso, come se svoltassi di colpo in una strada nuova e bellissima, costringendoti ad alzare gli occhi dalla pagina per cercare di guardare un po’ più in là, appena dopo quella svolta, alla ricerca di spazio, per permettere a tutti questi groppi di emozione di trovare dello spazio per stendersi un po’, che se no si accartocciano su se stessi e rischiano di scoppiare. E, per finire, questa benedetta pagina 114 ti fa pensare che tutto questo giro di tue emozioni così personali ha sicuramente a che fare con un cimitero, una bambina di tre anni e due ruspe gialle, ma anche con qualcosa di più profondo, misterioso e insondabile, che è la capacità di Francesco Savio di aggrapparsi con leggerezza alle cose che non si possono spiegare, lasciandoti la netta sensazione che, alla fine, spiegarle non serve a niente, basta raccontarle.

lunedì 14 luglio 2014

Maracanazo. Germania-Argentina: Nastassja Kinski e Johann Wolfgang Goetze.


Milano - Ricordo che ero molto giovane e guardavo i film di Wim Wenders chiuso in camera da solo, astioso nei confronti di chiunque avesse l’idea di disturbarmi, mia madre un amico una corteggiatrice il telefono fisso, non possedevo ancora il cellulare. Falso movimento in particolare, il ragazzo biondo che procede lungo una stradina di campagna così almeno mi pare, alla ricerca della sua vocazione artistica, pellicola sceneggiata da Peter Handke liberamente tratta dal romanzo Gli anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister di Johann Wolfgang von Goethe, avevo scritto anche una poesia intitolandola con influenze germaniche appunto Falsche Bewegung. Certe ragazze innamorate suonavano il campanello, io rispondevo al citofono:
“Ma per favore, sto guardando i film di Wim Wenders chiuso in camera da solo, passa più tardi o meglio non farti più vedere.”
Loro non se ne facevano una ragione e insistevano a suonare con il dito appiccicato al pulsante. Del resto in quel tempo m’innamoravo di tutto, m’innamorava di altre, di Nastassja Kinski incontrata sul treno con la frangia quasi fino dentro agli occhi, leggeva un libro con il ragazzo biondo la figlia dell’attore Klaus, non vorrei sbagliarmi ma si trattava della Vita di un perdigiorno di  Joseph Freiherr von Eichendorff, anche tra i miei romanzi preferiti di allora, e non poteva certo trattarsi di un caso Nastassja.
Invece troppi anni dopo, una sera di metà luglio Germania contro Argentina per diventare campioni del mondo in diretta da Rio de Janeiro, Wim Wenders aveva imboccato da tempo la strada del declino creativo ma buon per lui viveva di rendita tra Berlino e New York mentre io faticavo ad arrivare alla fine del mese, inquadravano le tribune e l’infantile bellezza della Kinski era stata sostituita dalla sgradevole e sgraziata Angela Merkel in giacchetta rossa con le braccia corte, peccato, poi in campo la finale non era scontata come la maggioranza dei pronostici aveva cercato di prevedere. Anzi Gonzalo Higuain al ventunesimo, a causa dell’imprevisto e maldestro assist di testa dell’avversario Kroos, si trovava al limite dell’area solo davanti a Neuer, ma calciava in modo ignobile schiacciando il tiro d’interno destro con il pallone che rantolava qualche metro distante dal palo. Dieci minuti dopo, ancora l’attaccante del Napoli mostrava le stigmate dell’uomo non scelto dal destino, esultando incontenibile per qualche secondo in seguito a una rete realizzata tuttavia in fuorigioco. I tedeschi reagivano e concludevo la prima frazione con un paio di chance, la più clamorosa un palo colpito di testa da Howedes sugli sviluppi di un calcio d’angolo. Leo Messi intanto si metteva a vomitare, probabilmente stufo dei noiosi commenti di chi non perdeva azione o movimento per confrontarlo con Maradona, si andava al riposo e al risbucare delle squadre in campo il tranquillo ma sofferente Sabella sostituiva Lavezzi con il baricentro basso Aguero. Messi sfiorava il goal con un bel diagonale, Neuer cercava di decapitare Higuain con un’uscita kamikaze non venendo sanzionato, si andava ai supplementari e Schurrle aveva un’occasione, Palacio quella della vita ma stoppava male un pallone proveniente dalla sinistra per poi stortare un tentativo di pallonetto. Calci di rigore? No, perché a sette dalla fine il paffutello Mario Goetze, entrato da un quarto d’ora al posto del buon vecchio Miro Klose, seguiva un’accelerazione del butterato Schurrle sulla fascia facendosi trovare puntuale allo spiovente che giungeva all’altezza del vertice dell’area di porta. Johann Wolfgang Goetze stoppava geometricamente il pallone sul morbido petto prima di direzionarlo in girata al volo nell’angolo opposto, con una linea collinare letale per tutta la nazione argentina. La Germania era campione del mondo per la quarta volta nella sua storia e mentre i commentatori impiegati nostrani si affrettavano a giudicare, sentenziare, banalizzare, Leo Messi guardava il vuoto, non vomitava solo per educazione, vinceva il premio come miglior giocatore del Mondiale brasiliano, posava assente per le fotografie, aspettava i compagni distrutti per indossare senza voglia la medaglia d’argento, si faceva abbracciare dal picchiato e sanguinante sotto l’occhio Schweinsteiger. Io spegnevo il televisore con leggero rammarico, altri quattro anni erano passati e ne avrei dovuti attendere altri quattro, era la mezzanotte italiana del tredici luglio duemilaquattordici, Nastassja Kinski non avrebbe suonato alla mia porta. 

Johann Wolfgang Goetze


mercoledì 9 luglio 2014

Maracanazo: Brasile-Germania. Il muratore jugoslavo e il Cacao Meravigliao


Milano – Al bar del mattino un muratore jugoslavo batteva il pugno sopra il bancone e imprecava per un lavoro che aveva già fatto e gli toccava adesso rifare, non per colpa sua ma a causa di un cliente o del capo stronzo o di un altro muratore che aveva messo le mani dove non avrebbe dovuto e adesso insomma gli toccava rifarla da capo, la parete, porca puttana quanto tempo perso e il tempo erano soldi. Poi aveva da finire quell’altro lavoro in quell’altra casa, e ci sarebbe pure stato da trattare sul prezzo come al solito perché quando c’era da pagare diventavano tutti uguali, lo jugoslavo azzannava la briosche e tirava una Madonna prima di immergerla nel cappuccio. Io approfittavo del mio, di cappuccio, per poi entrare nell’ex-libreria come ex-libraio, adesso cassiere in virtù di un’indubitabile meritocrazia, quanti nuovi romanzi orrendi mi spiavano dagli scaffali, la folla italiana in lacrime per la scomparsa dello scrittore famoso un tempo comico, era una lotta tra lui e il Premio Strega Francesco Piccolo, per una volta non c’erano dubbi meglio il Premio Strega anche se Il desiderio di essere come tutti io avevo smesso di leggerlo dopo cento pagine, senza una precisa ragione o forse sì. Avanzavano scontrini e mattinata e le condizioni per l’isteria collettiva c’erano tutte, del resto pioveva, in Brasile un’infermiera era stata licenziata per aver filmato con il telefonino Neymar trasportato in barella dentro l’ospedale, la notizia campeggiava su tutti i giornali insieme al Papa che scomunicava i camorristi che allora non andavano più a messa e al commento all’accaduto dell’autore milionario specializzato in anti-camorra. Le condizioni per l’isteria collettiva c’erano tutte: il muratore jugoslavo, l’infermiera impiccata negli scantinati dell’ospedale per aver filmato sorridente il Dio del pallone, altro che Maracanazo, i giocatori del Brasile durante l’inno nazionale sembravano donne sull’orlo in un film qualsiasi di Pedro Almodovar, la Germania entrava sul terreno di gioco dello stadio Mineirao indossando a sorpresa e con genialità la maglia del Flamengo al posto dell’abituale casacca bianca e questa mossa sparigliava gli equilibri, in ventinove minuti i tedeschi ne facevano cinque con Mueller, Klose, Kroos due volte e Sami Khedira, migliore in campo. Cacao, meravigliao. L’Onu decideva d’intervenire solamente tra il primo e il secondo tempo e al risveglio, di fronte alla popolazione verdeoro attonita, Scolari sostituiva la macchietta verde Hulk con Ramires e Fernandinho con Paulinho. La risultante era un Brasile all’arrembaggio nei primi minuti che tuttavia sbatteva contro il consueto, insuperabile Neuer. Qualche giocatore del Brasile cominciava a tuffarsi in area di rigore alla ricerca del disperato goal della bandiera, con attaccanti come Fred e Bernard (un Giovinco meno decisivo) in effetti non si poteva certo sperare di segnare su azione. Verso la mezzanotte italiana pareva evidente che la Seleção non avrebbe mai gonfiato la rete e che anzi sarebbe toccato nuovamente ai tedeschi arrotondare con una  doppietta dello spettinato Schürrle, ma all’ultimo minuto disponibile invece il magrolino Oscar riusciva a compiere il prodigio trafiggendo sul primo palo un arrabbiato Neuer e fissando un risultato che nessuno avrebbe pronosticato alla vigilia: Brasile 1, Germania 7. Al triplice fischio le lamentele del pubblico brasiliano non erano neppure esagerate considerata la situazione, prevaleva lo sconcerto, Thiago Silva con il cappellino bianco di Neymar raggiungeva il campo per consolare i compagni e in particolare proprio il giovane Oscar, mentre i tedeschi salutavano i pochi sostenitori saltellando ubriachi e festosi verso la finale del Maracanã. Argentina oppure Olanda? Domani sera tutti ne avremmo saputo di più.

domenica 6 luglio 2014

Maracanazo: Argentina-Belgio. Auto-Outing con piscina


Padenghe sul Garda – Sorseggiavo il mio drink disteso sul bordo della piscina mentre il ragazzo addetto alla pulizia della vasca mi rivelava fatti inediti e nascosti relativi alla fine dell’avventura azzurra ai Mondiali brasiliani.
“Stavano tutti da una parte, e Balotelli e Cassano dall’altra.“
“Cassano un giorno ha fatto una scenata cafona a una dipendente dell’albergo, colpevole di averlo disturbato…”
Chiudevo gli occhi e mi rilassavo sotto il sole del lago di Garda, le informazioni dell’abbronzato pulitore non facevano che confermare le mie tesi: Marcello Lippi aveva sempre ragione, Cassano e Balotelli non erano sicuramente la coppia sulla quale fondare una squadra di calcio, figuriamoci la Nazionale. Tornavo al drink e ammiravo lo specchio blu, leggermente increspato della piscina. Lo straordinario successo dei miei ultimi due libri aveva aggiunto alla notorietà ulteriore ricchezza e come prima cosa avevo acquistato questa villa degli anni sessanta con piscina e ampio giardino con ulivi dove trascorrere parte delle mie giornate sempre libere, giacché mi ero licenziato e come talvolta accadeva nelle biografie di alcuni scrittori adesso potevo anche io “dedicarmi a tempo pieno alla scrittura”. Era bello chiacchierare di retroscena mondiali con il ragazzo addetto alla pulizia della vasca, chissà da dove gli erano arrivate certe sicure informazioni, a questo punto del Mondiale il mio principale desiderio era quello di fare outing in favore di una vittoria del Belgio, generazione speciale ricca di talento dove spiccavano Hazard, Courtois, Fellaini, Mirallas, De Bruyne, Lukaku. Ma acceso il maxi-schermo che avevo fatto montare dai tecnici sul prato alla destra della piscina, lo spettacolo che mi offriva la squadra pronosticata era pessimo, lontano parente di quello messo in scena dai ragazzini di Marc Wilmots nelle gare precedenti, e già dopo otto minuti quando Gonzalo Higuain, approfittando di un rimpallo, dal limite dell’area scagliava in rete un diagonale a mezz’altezza forte e preciso nell’angolo alla destra del portiere belga, avevo la conferma che quando il gioco si faceva duro, le nazionali senza storia si facevano cortesemente da parte. La partita sarebbe terminata uno a zero, con impalpabile reazione dei belgi in particolare nei minuti finali, e qualche contropiede argentino incapace di mettere il risultato al sicuro, nemmeno con Leo Messi che oltre il novantesimo si trovava in campo aperto solo davanti a Plastic Man Cortouis ma non riusciva a superarlo, centrandolo in pieno invece di scartarlo. Il lungo portiere esultava, per ora restava uno dei pochi a non aver subito goal dalla pulce, io gli rammentavo che c’era poco da stare allegri visto che il Belgio stava comunque uscendo dai Mondiali, lui insisteva con il pugno anteponendo il successo personale a quello collettivo, io tornavo al drink e controllavo il risultato dell’ultimo Premio Strega: primo Piccolo, secondo Scurati, terzo Pecoraro. Anche quest’anno niente da fare, ancora una volta non avevo vinto, ma il successo commerciale de Il silenzio della felicità e de Il fuorigioco sta antipatico ai bambini almeno mi faceva consolazione. Giunti a questo punto della manifestazione allora, il mio principale desiderio sarebbe stato quello di fare outing in favore di una vittoria dell’Olanda.

mercoledì 2 luglio 2014

martedì 1 luglio 2014

Maracanazo: Argentina-Svizzera. Il polpo tiepido con patate e le monete d’oro


Milano – Mi sono svegliato di pomeriggio dopo una siesta resa necessaria da pesanti giornate lavorative e mi sono accorto che avevo sognato Gad Lerner che apriva il borsellino e mi regalava tre monete d’oro. Ero in cassa come ogni mattina (da quando a sorpresa qualcuno ha pensato di trasformarmi da libraio con quattordici anni di esperienza a cassiere) e resistevo a fatica, come ogni cassiere che rispetti, alle ondate di clienti che volevano pagare e sbuffavano in coda per la sola postazione aperta. I miei gesti chapliniani e moderni (sempre quelli) ripetuti per ore aggredivano i miei nervi, ma io restavo tendenzialmente calmo, al massimo un po’ assente in alcune circostanze, e qui era arrivato Gad Lerner che dopo aver pagato i libri con una delle sue carte di credito aveva aperto il borsellino e mi aveva regalato tre monete d’oro:
“So che è dura ragazzi lavorare in contratto di solidarietà e con la prospettiva, magari tra pochi mesi, di finire in cassa integrazione e successivamente disoccupati, per questo Francesco accetta da parte mia un piccolo dono, queste tre monete d’oro.”
Mettevo in tasca e ringraziavo il giornalista benestante e generoso, la sua era elemosina gradita, poi tornavo a schiacciare i tasti dello schermo della cassa numero 7 indovinando i tasti “Contanti”, “Eft”, “Altre forme di pagamento”, ”Subtotale”. Alla quarta ora consecutiva avevo un fastidio duro al centro del petto.
Mi sono svegliato, alle diciotto Rai Sport non trasmetteva Argentina-Svizzera ma Italia-Brasile del 1982, anzi un programma di Andrea Barbato che riproponeva la storica partita pochi anni dopo, commentandola nell’intervallo con Marco Tardelli, Claudio Gentile, Franco Causio, il tennista Fausto Gardini, il giurista Stefano Rodotà, un giornalista presente al Sarrià. Disposti a semicerchio nella scenografia dello studio, seduti su sedie di plastica con davanti un piccolo televisore sorretto da un paletto, gli ospiti rispondevano a turno alle interrogazioni del conduttore. Il giornalista presente al Sarrià aveva ricordato un certo tipo di smarrimento incredulo all’uscita dello stadio, e l’inviato settantaseienne del Corriere della Sera Mario Soldati che gli aveva detto di sentirsi come dopo aver fatto l’amore. Ma poi avevano mandato la pubblicità e al rientro dagli spot il secondo tempo non era cominciato, adesso c’era Pelè con la maglia del Santos in bianco e nero che palleggiava, si restava insomma sul 2 a 1 per l’Italia con doppietta di Paolo Rossi e rete di Socrates, allora avevo spento ed ero uscito per fare una passeggiata e sgranchirmi i nervi ritornati per fortuna intatti dopo la siesta. Il vento muoveva le foglie degli alberi, la cuoca Adele della mia gastronomia popolare di fiducia aveva cucinato un’eccellente insalata tiepida di polpo e patate e avevo pagato con i Ticket Restaurant, in attesa che arrivasse lo stipendio, ma non bastavano quindi mi ero messo a frugare nelle tasche e per fortuna avevo trovato le monete d’oro di Gad Lerner.
“Prendo anche una bottiglia di vino bianco allora Adele, tenga una moneta d’oro, sa mica quanto fa l’Argentina?”
Dopo aver consigliato di aggiungere dell’olio sul polpo con patate, Adele mi aveva rivelato che la squadra di Sabella aveva vinto per uno a zero al dodicesimo del secondo tempo supplementare, grazie a Palacio che aveva rubato palla a centrocampo, l’aveva servita a Messi che in serpentina velocità aveva saltato un difensore prima di appoggiare al limite di destra per Di Maria, il quale con un tiro a giro sul secondo palo aveva beffato il bravo Benaglio, già pronto per i rigori. Ma non era finita lì, all’ultimo minuto infatti lo stesso portiere svizzero era andato all’attacco e in rovesciata aveva contribuito alla confusione albiceleste necessaria a Dzemaili per colpire di testa il pallone e girarlo a colpo sicuro verso la porta. Palo. Peccato, avevo salutato pensoso ritirando l’insalata tiepida di polpo e patate, ancora due monete d’oro tinitinnavano nella mia tasca.