Trieste – Pensavo quasi di non
scrivere nulla su questa ultima tappa, in fondo il novantasettesimo Giro
d’Italia è finito ieri mentre sul Monte Zoncolan aspettavo Juan Rodolfo Wilcock
in compagnia di Alfred Attendu, suo sublime gregario autore dell’opera divenuta
un classico “Il fastidio dell’intelligenza”. Ma poi mi sono detto: sarebbe
brutto fare venti e non fare ventuno, potrei essere colto da un certo non nuovo
senso d’incompiutezza, mi resterebbe qualcosa da riparare. Perché avevo cominciato
a scrivere questo diario? Come Vasco Pratolini per cercare di risolvere dei
disturbi leggeri, ma noiosi? Andare dietro al Giro era forse la medicina più
sicura? A Trieste ero già stato più di una volta, l’ultima nel maggio del 2012
per guardare Cagliari-Juventus e per incontrare Emilio, protagonista di Senilità. Allora aveva trentacinque
primavere e aveva dato alle stampe qualche anno prima un romanzo lodatissimo dalla stampa cittadina però ingiallito
nei magazzini dei librai e utile solo a trasformarlo in un letterato rispettato
nel piccolo bilancio artistico della città. Emilio in quel tempo innamorato di
tale Angiolina, bionda dagli occhi azzurri grandi, alta e forte, snella e
flessuosa, con il volto illuminato dalla vita, a sentir lui. Nella
difficile condizione del confidente che sapeva quello che Trieste urlava di
tale donnina (una zoccoletta, che se la faceva un po’ con tutti, che appendeva
alle pareti della camera le fotografie dei suoi svariati uomini) ma che non
trovava il modo meno indolore per comunicarlo all’amico caro, ero riuscito a
convincere Emilio a rimandare di qualche ora l’appuntamento con la bionda,
per accompagnarmi allo stadio. Trovata un’osmizza aperta, avevamo litigato con
l’oste pancione che ci aveva negato un bicchiere di vino tre ore e cinque
minuti prima dell’inizio della partita, quando la Polizia municipale di Trieste
aveva emesso un’ordinanza che vietava la vendita di bevande alcoliche ma da tre
ore prima, e intorno negli altri tavoli tutti andavano per frasche.*
Costretti a una nevrotica resa bagnata di coca-cola, avevamo chiacchierato dello
scrittore Roberto Bazlen che durante la sua vita non aveva pubblicato nulla e
aveva scritto esclusivamente sequenze di note senza testo, leggibili tutte come
appunti per un’immaginaria scienza dell’autotrasformazione. Il nulla raggiunto troppo presto. Ciò che non vuole morire deve crepare. Italo
Svevo era uno scrittore della domenica, che in settimana vendeva vernici
sottomarine. Le ho usate per scrivere sulla strada W il Giro! usando soprattutto il colore rosa. Ho fatto una
fotografia con il telefono e l’ho mandata al mio direttore di giornale, ma sì,
quello che non legge libri. Anzi quello che il suo libro preferito è Il gabbiano di Jonathan Livingston. Ho
aggiunto come didascalia che il colombiano Nairo Quintana ha vinto la
novantasettesima edizione del Giro d’Italia davanti al connazionale Rigoberto Uran
e al sardo Fabio Aru. L’ultima tappa invece se l’è aggiudicata in volata lo
sloveno Luka Mezgec davanti al sempre secondo e una volta terzo Giacomo Nizzolo.
Vrranno tempi più fortunati. Roberto Bazlen, nato a Trieste nel 1902 da padre
tedesco e madre italiana, fu il primo a cogliere il genio che sino allora
nessuno aveva riconosciuto nei romanzi di Italo Svevo. Ne scrisse con entusiasmo
a Montale.
*A Trieste la frase “andar per frasche” significa
andare a bere il vino nelle osmize