domenica 29 giugno 2014

Maracanazo: Olanda-Messico. Berto non Robben


Brescia - Compro il giornale solo la domenica perché non vado più a messa da quando sono bambino, l'edicola era ed è vicino alla chiesa moderna degli anni cinquanta del quartiere dove sono nato, mi è rimasta con ogni evidenza solo una forma d'abitudine, quando torno a Brescia. La domenica può anche capitare di leggere qualcosa di normale o di quasi divino, sul quotidiano, un articolo di Gianni Clerici ad esempio, o un’intervista a Corrado Ferlaino a trent’anni dall’acquisto di Diego Armando Maradona in cui l’ottantenne ex-presidente del Napoli ricorda e spiega l’Italia degli anni ottanta e di sempre meglio di bianchi e barbosi editoriali, delle inutili pagine recitate della politica europea e romana. Poi certo, devi far finta di niente e contenere il moderato fastidio notando il nome dei giornalisti inviati in Brasile, amorfe riproduzioni di quando un tempo a seguire le grandi manifestazioni sportive internazionali venivamo spedite grandi firme del giornalismo e addirittura della letteratura italiana, mentre invece ora. Così, a proposito della fortunata vittoria del Brasile contro il Cile ai calci di rigore, uno dei cronisti comincia “Il vecchio Julio ha iniziato a mangiare le sue lacrime prima, senza sapere quale gusto avrebbero avuto dopo”, l’altra risponde “Il Cristo Redentore si china sul milione di persone che trattengono il respiro a Copacabana, si ricorda delle preghiere della madre di Neymar, della vecchia in carrozzella…” Della vecchia in carrozzella, ma vai a Biella, vai a Biella, smettila ti prego Concita, perché hanno inviato te a Rio De Janeiro invece che Savio e Gurrado, questo è davvero un mistero ma soprattutto un problema relativo che riguarda me e Antonio, seduti a gustare due ottimi cornetti alla crema da Piccinelli in via Santa Maria Crocifissa di Rosa numero 19, pasticceria dal 1862. Già mentre stavamo presentando i nostri romanzi alla Feltrinelli in corso Zanardelli, ci osservavi beffarda De Gregorio dal tuo ritratto quadratino-fotografia appeso alla parete della libreria, sentenziando: “Bisogna distinguere il bene dal male, il bianco dal nero”, noi abbassavamo lo sguardo stremati Concita di fronte a tanta saggezza molle e disciplinata, tornavamo a parlare al pubblico attento che ci stava miracolosamente ad ascoltare e terminavamo soddisfatti il nostro pacato canto a noi stessi ritrovandoci poi il mattino dopo con due cornetti alla crema in mano da accompagnare a un cappuccio da Piccinelli, dopo l’Italia anche l’Uruguay era stato eliminato dalla Colombia e adesso per chi parteggiare? Sfogliando la margherita delle squadre rimaste, dal mio punto di vista restavano Argentina, Francia e Olanda che in serata tuttavia aspettava il minuto ottantotto per pareggiare il conto con il meritevole Messico grazie a un rabbioso tiro appena dentro l’area di Wesley Sneijder, potente e discendente nell’andare a beffare l’ormai noto seppur disoccupato portiere dei tricolori Ochoa, un po’ Claudio Garella un po’ Caparezza. Ero comunque pronto per i supplementari quando il migliore in campo Robben, al 90+3, puntava nuovamente Marquez, bravo ma trentacinquenne, che infatti lo atterrava in ritardo in area di rigore. Klaas-Jan Huntelaar veniva incontro all’autore di questo dimenticabile pezzo che anni fa, ai tempi dell’Ajax, lo immaginava tra i potenziali centravanti migliori del mondo e segnava il penalty pesante come un macigno, prima di correre verso la bandierina del calcio d’angolo e ammazzarla con un colpo di Kung-fu: Olanda 2, Messico 1. Io facevo i bagagli, come del resto il Messico, ma per tornare a Milano, e mentre caricavo l’automobile pensavo con stanchezza cerebrale al mio eventuale futuro da narratore: cos’avrei scritto adesso? Come avevo fatto a scrivere i precedenti? Perché passavano gli anni ma romanzi come L’Integrazione, La vita agra e Il male oscuro mi apparivano nascondere al loro interno l’unica chiave da interpretare per andare avanti in modo dignitoso? A questo punto il Brasile si sarebbe trovato in semifinale contro la Germania, dall’altra parte del tabellone Olanda-Argentina. Finale quindi Germania-Argentina, con i tedeschi campioni del mondo.

venerdì 27 giugno 2014

Ritorna "L'integrazione" di Luciano Bianciardi

Torna disponibile in libreria L'integrazione di Luciano Bianciardi, seconda tappa della fondamentale trilogia che comprende Il lavoro culturale e La vita agra.


Maracanazo. Portogallo-Ghana: Einaudi non twitta Luis Suarez


Torino – Arrivo a Torino e via twitter la casa editrice Einaudi ammonisce severa:
Se state per twittare una battuta su Suarez potreste chiedervi perché voi e altri milioni di persone lo stiate facendo nello stesso momento.” Accuso il colpo per addirittura qualche secondo, ho appena letto la notizia della squalifica per motivi disciplinari di Luis Alberto e, devo ammettere, stavo forse cadendo nella trappola anch’io, Cesare Pavese non l’avrebbe mai fatto, letta su La Stampa la decisione del giudice sportivo in merito ai cattivi comportamenti di Giampiero Boniperti o John Hansen avrebbe immediatamente chiuso il giornale per ridurre al minimo le cose frivole, non fare pettegolezzi, scrivere quella poesia in cui si ritrova in una stradina di campagna e. Mannaggia, non sono quindi uno scrittore impegnato e anzi risulto invero pure un uomo banale se la notizia relativa a Suarez mi spinge a pensare anche solo per un momento alla stessa cosa che invade il cervello di altre milioni di persone, pare volermi ricordare l’editore. Lungo via Roma apprendo da un maxi-schermo sforna informazioni che c’è stata un’esplosione, forse una bomba in un centro commerciale di Abuja, in Nigeria, almeno tredici i morti, sono uno scrittore impegnato perché mi fermo immediatamente a riflettere sull’accaduto anche se per pochi secondi, controllo i tweet della casa editrice Einaudi ma non se ne parla, male, mi viene ricordato invece che Parrella sarà ospite della IX serata di Letterature 2014 (allegata fotografia pensosa di Valeria in posa carina), quindi altro tweet di un lettore emozionato perché la sua casa editrice preferita (Einaudi) ha vestito la sua copertina con sua la stilista preferita, bene, infine è Carofiglio a essere ritwittato quando ricorda, con un certo fastidio:
“Un'ulteriore comunicazione in risposta a numerose richieste. Per le presentazioni bisogna rivolgersi all'ufficio stampa.”
Io dell’ufficio stampa invece faccio a meno, mi sto dirigendo alla Feltrinelli di piazza C.L.N. per la presentazione de “Il fuorigioco sta antipatico ai bambini” e “Ho visto Maradona” in compagnia di Antonio Gurrado, anche lui sta pensando alla squalifica di Luis Suarez (non è uno scrittore impegnato) e stabiliamo di comune accordo che per l’Uruguay, nostra squadra del cuore, adesso sarà dura vincere il Mondiale, e  che, probabilmente, lo schieramento di emergenza più utile a questo punto potrebbe essere quello con Cavani unica punta e Lodeiro appena dietro, a meno di non rischiare dal primo minuto a fianco del centravanti parigino uno tra il vecchio Forlan o il giovane Hernandez. Dopo un Pastis e un Vermut da Fiorio siamo soddisfatti o rassegnati, non saremo mai degli scrittori affermati, arriva la pioggia, scompare il sole, non siamo per niente di buonumore. Ci sono tutti i presupposti per fare male, invece arriviamo in libreria e Darwin Pastorin ci sta aspettando, faremo una buona presentazione, ritorneremo verso Porta Nuova chiacchierando di Giuseppe Berto, quanto ha fatto il Portogallo? Due a uno sul Ghana con rete di Ronaldo, ma non sufficiente per passare il turno, agli Ottavi andranno Germania e Stati Uniti. Sulla locomotiva gli eroi son tutti giovani e belli, gli uomini son tutti uguali, un pazzo si è lanciato contro il treno. Suarez non temere, che corro al mio dovere, trionfi la giustizia proletaria, trionfi la giustizia proletaria, trionfi la giustizia proletaria.

martedì 24 giugno 2014

Maracanazo: Italia-Uruguay. Mario Benedetti, morsi, gomitate e Godin



Milano - Lo sa anche Mario Benedetti che Diego Godin bisogna marcarlo sui calci d’angolo, voi direte chi è Mario Benedetti. Procedendo per esclusione non è Mario Balotelli, o forse lo conoscete meglio come Mario Orlando Hamlet Hardy Brenno Benedetti-Farugia, figlio di Brenno e Matilda, immigrati italiani in Uruguay. In ogni caso è stato un poeta, saggista, scrittore e drammaturgo. Ma Diego Godin bisogna marcarlo sui calci d’angolo, possibilmente tirargli una gomitata mentre salta o pestargli un piede prima che stia saltando, specie quando l’arbitro ha espulso ingiustamente un giocatore della tua squadra e di certo non è nella condizione psicologica ideale per valutare correttamente un’azione scorretta e confusa che accade dentro l’area di rigore. Ma è il trentaseiesimo del secondo tempo e sugli sviluppi di un calcio d’angolo saltano in quattro uruguagi contro Chiellini che, pur solitamente abile nel far roteare i gomiti, non può l’impossibile sovrastato nella circostanza dall’autore del gol, da Caceres, da Rios e da un altro: Uruguay 1, Italia 0. Chiedo a Mario Benedetti se lo sa che Diego Godin bisogna marcarlo sui calci d’angolo e il poeta, saggista, scrittore e drammaturgo uruguaiano mi risponde Ma certo che lo so, anche se sono morto a Montevideo nel 2009 dopo che ero nato a Paso de los Toros nel 1920. Godin bisogna marcarlo sui calci d’angolo, continua Mario, possibilmente tirargli una gomitata mentre salta o pestargli un piede prima che stia saltando, e lo dico contro il mio interesse perché sono celeste, ma specie quando l’arbitro ha espulso ingiustamente un giocatore della tua squadra e di certo non è nella condizione psicologica ideale per valutare correttamente un’azione scorretta e confusa che accade dentro l’area di rigore, bisogna alzare il gomito o pestare il piede. Godin invece balza indisturbato e fate conto che è già alto un metro e ottantasei anche se in televisione sembra addirittura più lungo. Balza Godin e per sicurezza si tira dietro in aria Caceres, Rios e un altro tanto che Chiellini non alza nemmeno i piedi da terra e l’Italia subisce uno dei goal più banali da quando esiste il calcio ovvero un corner calciato in mezzo all’area di rigore e uno spilungone (nemmeno esagerato, un metro e ottantasei) salito dalla difesa per cercare il colpaccio lo trova senza neanche ricevere una gomitata o almeno un piede pestato. E’ finita, torniamo a casa dopo aver vinto con l’Inghilterra e aver perso con la Costa Rica e l’Uruguay. Abete e Prandelli si dimettono (il primo con qualche anno di ritardo, il secondo perché scaduto il prestito stabilito a suo tempo con la parrocchia di Orzinuovi). Chiellini controlla i segni che Luis Alberto Suarez gli ha lasciato con un morso sulla spalla e trova conferme alle voci che dipingono il fenomenale attaccante del Liverpool talvolta come Dracula, come un cane senza museruola, come Hannibal Lecter. In famiglia non ci perdiamo d’animo e ceniamo con un risotto allo zafferano spesso confuso con il risotto alla milanese e del vino bianco. Abbiamo altri motivi per festeggiare. E Mario Benedetti? Non è Mario Balotelli, sostituito mestamente dopo aver fallito l’ennesima partita in cui avrebbe dovuto dimostrare di essere quello che non sarà mai, ma un figlio di immigrati italiani, Brenno Benedetti e Matilde-Farugia, i quali lo battezzarono con cinque nomi: Mario Orlando Hamlet Hardy Brenno. Forse lo conoscete meglio così. 

lunedì 23 giugno 2014

"Il fuorigioco sta antipatico ai bambini" su Alto Adige e Trentino

Oggi, nella pagina dedicata ai libri dei quotidiani Alto Adige e Trentino, Carlo Martinelli scrive de Il fuorigioco sta antipatico ai bambini e di Ho visto Maradona. Io nella circostanza sono Michel Platini, Gurrado ovviamente è Diego Armando Maradona.



domenica 22 giugno 2014

Maracanazo: Belgio-Russia. Le figlie di Van Gaal e Nanni Moretti

 Stradella – A un matrimonio in un cui il fotografo ufficiale era Louis Van Gaal giovane mentre io invece ero vestito benissimo (non mi metto sempre camicia bianca e cravatta azzurra di Marinella altrimenti francamente divento irresistibile) mi è tornata in mente come ogni volta che penso all’allenatore olandese quella faccenda delle figlie che erano obbligate a dargli del lei, che forse tuttora sono obbligate a dargli del lei, le cose folli tendo a non dimenticarle. Comunque Louis Van Gaal da allora me lo immagino in ciabatte di plastica con le calze bianche mentre si rilassa a questo punto presumo ospite delle figlie (si sono sposate, hanno forse scelto uomini che continuano a pretendere dalle mogli del lei) e ordina:
“Anneke! Mi porti un caffè per favore!”
Anneke corre alla macchinetta timorosa e cerca di fare il meglio, si sa mai che sbagli la diagonale dal salotto alla cucina, Louis frena i pensieri che lo portano a visioni di sovrapposizioni, pressing e soluzioni alternative al pensato del mister avversario, che diamine sta riposando.
Quindi sono andato dal fotografo, gli ho detto Sai somigli a Louis Van Gaal da giovane, lui ha tentennato e mi ha risposto in tedesco, era tedesco perbacco, ma io la lingua di Goethe l’ho studiata cinque anni seppur male e non è detto che mi torni utile se un giorno mi ritroverò disoccupato e dovrò trovar lavoro in Sud Tirol. Quindi ho capito, Tu piuttosto sembri Pirlo mi ha detto, ci siamo presi uno spritz ed è finita lì. Si sposavano un siciliano e una germanica, amici conosciuti al corso pre-parto un paio d’anni fa, e i tedeschi mantenevano come da copione un cerco distacco dalla partita che andava in contemporanea alla cerimonia: Germania-Ghana. La loro indifferenza ai fatti sportivi era evidente, mangiavano e bevevano, una cantante sola sul palco della sua sopravvivenza economica tirava avanti a campare con buona professionalità mischiando danze italiane e teutoniche, qualche invitato ubriaco chiedeva il microfono per eseguire la sua canzone (composti i merkeliani, sbracati i nostri). Io controllavamo ogni tanto il risultato e lo comunicavo ai presenti, uno a zero, uno a uno, due a uno due a due, è finita. La cantante intonava le temibili Dieci ragazze e Volare per portare a casa la pagnotta e io mi sentivo come Nanni Moretti in Bianca quando sale sul pullman e trova gli altri professori della scuola Mariliyn Monroe pronti a partire per una gita fuori porta. Per fortuna Laura Morante, il collo di Laura Morante, ottima occasione per gridare all’autista Si fermi! Voglio scendere!
Ho visto invitati tedeschi passare davanti a italiani in coda al buffet sopportati da camerieri istruiti, pronti a ribattere:
“Tanto quando c’è Italia-Germania perdono sempre.”
Quasi sempre, mi sono permesso in camicia bianca e cravatta azzurra, cominciamo intanto a pareggiare martedì con l’Uruguay, faccia un passo avanti chi se la sente di marcare Luis Alberto Suarez. Per rientrare a casa all’una di notte abbiamo percorso una stradina tra i campi, poi la tangenziale e l’autostrada. Mi sono ricordato lungo il viaggio che a me toccava commentare Belgio-Russia e invece a Gurrado Germania-Ghana. Era troppo tardi. Ho pensato di far finta di niente e oltrepassare con disinvoltura il casello, Fabio Capello è riuscito a esportare il suo calcio soporifero anche ai Mondiali brasiliani, certo messo in scena nella circostanza da interpreti poco al di sopra della mediocrità. Il Belgio ha fatto poco di più, e solo nel finale grazie alle gambe storte e veloci di Hazard. L’uno a zero di Origi a pochi minuti dal termine ha fatto la felicità di una bella e bionda tifosa belga con le corna sugli spalti, quella vicino purtroppo era meno carina.

venerdì 20 giugno 2014

Maracanazo: Italia-Costa Rica. Il bambino Miao e Frankenstein Junior Chiellini


Milano – Ma quale Italia, oggi pomeriggio dalle 17.30 alle 19.15 sono andato al parco di Pagano con Pietro a fare le scivolate e un po’ di altalena, quindi abbiamo giocato a calcio con un bambino cinese che si chiamava Miao, e cioè visto che i rispettivi eredi avevano iniziato a calciare l’uno in direzione dell’altro e a ripetizione, mi era sembrato il caso di socializzare e avevo detto:
“Ecco lui si chiama Pietro e invece tu…”
“Miao”
aveva risposto la mamma venendo in soccorso allo sguardo interrogativo che mi lanciava il piccolo gatto, e io avevo risposto:
“Ah” e per il resto dei palleggi non avevo avuto il coraggio di chiamare il bambino “Miao”, perché temevo di non aver capito bene, forse aveva detto “Ao”, certo che anche “Ao”, e allora avevo continuato a chiamarlo “Bambino”, supplendo a questa decisione linguistica interpretabile come freddezza con una serie quasi eccessiva di complimenti riferiti a Miao (ma anche a Pietro) ogni volta che questi due si passavano il pallone:
“Hai visto che bravo il bambino che te l’ha passata?” “Bravo Pietro!”
Poi Miao era caduto e si era sporcato le mani di sabbia, la madre aveva detto Andiamo alla fontanella, Pietro aveva detto dispiaciuto Dove vanno? Io gli avevo risposto Vanno alla fontanella.
Non erano più tornati, così Pietro aveva inforcato la bicicletta Strider e avevamo percorso la pista ciclabile che dal parco portava più o meno a casa nostra, erano le 19 quindi ora di cena, varcata la soglia avevo messo su l’acqua a scaldare, gettato gli spätzle nel trasparente bollente, grattato il parmigiano sopra dopo aver scolato e acceso la radio, non prima di aver soffiato sul piatto del figlio prima che si scottasse la lingua. Prima intorno, poi in centro. A due anni e mezzo lo sapeva ormai anche Pietro come bisognava comportarsi con le pappe che scottavano quindi tutto era andato per il verso giusto, Miao, mentre il radiocronista diceva Buffon (e Pietro rideva) diceva Pirlo (e Pietro rideva) diceva Balotelli (e Pietro rideva). Non rideva invece quasi nessuno a Milano, perché la Nazionale perdeva uno a zero dal quarantaquattresimo del primo tempo a causa della rete di testa subita da Bryan Ruiz, e mostrava sul terreno di gioco la stessa reazione di una trota pescata e lasciata a finir di vivere sul prato vicino a un lago di montagna, senza nessun pescatore moderno ed ecologico che si decidesse a rigettarla in acqua per provare a pareggiare. In tutto il secondo tempo infatti l’Italia riusciva ad impensierire la Costa Rica solo con un tiro debole di Cassano, con una botta di Darmian che Navas deviava sopra la traversa e con una punizione di Pirlo respinta di pugni dall’estremo difensore costaricano. Fine della programmazione, non prima di aver rischiato il secondo goal con un contropiede del neo entrato Urena fermato casualmente da un non deambulante Chiellini, per tutta la partita preoccupante sosia dell’attore statunitense Peter Boyle, splendido interprete del Frankenstein Junior di Mel Brooks. Pietro beveva l’ultimo sorso dalla borraccia del papino e pensavamo di concludere il venerdì con una breve seduta defaticante in corridoio: qualche azione dalla porta d’ingresso a quella dello sgabuzzino, un paio di tuffi sul pavimento al grido di “Parata Buffon!” per abbrancare il pallone. Poi scendeva il buio e Pietro s’addormentava, io leggevo altre pagine del bello proprio perché inadeguato giro sentimentale in bicicletta di Antonio Pascale e immaginavo Zdenek Zeman affermare che la Costa Rica doveva uscire dalle farmacie, me stesso recriminare che giocando all’una a Recife si sarebbe dovuta pretendere almeno l’aria condizionata in campo, Cavani e Suarez sfregarsi le mani al pensiero di come avrebbero fatto a pezzi la difesa azzurra nella partita decisiva di martedì prossimo a Natal, quando a noi sarà sufficiente non perdere per passare il girone come seconda, mentre l’Uruguay invece sarà costretto a vincere senza troppi ragionamenti, quindi.

mercoledì 18 giugno 2014

Maracanazo: Spagna-Cile. Annie Hall, Vargas e Aranguiz


Milano – In una famosa scena di Annie Hall, Alvy Singer non si sente bene poche ore prima di un appuntamento televisivo in diretta al quale dovrebbe partecipare consegnando un premio. Ha lo stomaco rovesciato fin dal mattino. Allora torna a casa, e mentre sullo sfondo Diane Keaton discute telefonicamente con gli organizzatori della trasmissione, si sdraia sul letto e ascolta le parole del medico giunto a visitarlo:
“Perché non prova a mandar giù un po’ di questo? E’ solo pollo lesso.”
“No, non posso mangiarlo, ho la nausea. Se potesse darmi qualcosa per tirarmi su perché sa, tra due ore devo andare a Burbank a consegnare un premio a uno show televisivo…”
“Per quello che posso dire io lei non ha niente: insomma non ha febbre, neanche sintomi di qualcosa di grave, non ha mangiato né insaccati né frutti di mare…”
Il dialogo tra malato e dottore è interrotto da Diane Keaton che ha finito la telefonata:
“Alvy, era la Tv, hanno detto che è tutto a posto, hanno chi ti sostituisce e possono fare senza di te.”
“Gesù, allora non devo andare alla televisione?”
La Keaton e il medico si mettono quindi a parlare tra loro cercando di capire cosa possa avere Alvyn, interrotti da quest’ultimo che intanto ha provato ad assaggiare il pollo lesso, chiede al dottore di passargli il sale, lo sparge sul piatto e dichiara:
“Non è mica male questo polletto.”

Ecco, più o meno è così che talvolta mi sento quando devo andare a presentare un mio romanzo in una libreria, non sempre a dire il vero, mi sentivo così lunedì ad esempio quando viaggiavo seduto scomodo sopra un vecchio treno regionale in direzione Pavia, anche se a dire il vero l’appetito non mi era mancato e la nausea non esisteva. Tuttavia una certa pressione negativa sì, risultante della consapevole inutilità di essere obbligati a spiegare quel che si è già scritto, alla mia timidezza, comunque spazzata via questa nuvola nera dalla calma non mortale solo perché temporanea della città pavese, da una coppa crema e stracciatella presa in una gelateria ferma agli anni cinquanta, in seguito dalle prime riuscite battute verbali alla Libreria Il Delfino nella circostanza piena di persone venute ad ascoltare non si sa perché me e Antonio Gurrado, autori Ediciclo ma di stampo calcistico. Martedì invece nessuna sensazione opprimente, un buonumore anzi consistente, il caos tribale in movimento di corso Buenos Aires a Milano incapace di turbarmi più di tanto, eppure l’impatto con un’altra libreria questa volta con poche persone presenti, le prime battute poco indovinate e balbettate, il Belgio che vince a fatica sull’Algeria per due a uno (ma non è di questa partita che voglio scrivere), dopo la presentazione per fortuna un piacevole prosecco in compagnia di Antonio, Gino, Sergio e Silvano. Poi la cena al ristorante pugliese, le bistecche di cavallo e Pippo Baudo, Il Brasile che non mangerà il panettone, il portiere del Messico un po’ Garella un po’ Caparezza (ma non è di questa partita che voglio scrivere), un turno lavorativo che mi porta a mercoledì pomeriggio pensando a lunedì-martedì e al polletto che per Alvy Singer prima non era buono e poi invece sì, a Paolo di Paolo che senza conoscermi mi ha invitato il prossimo ventinove luglio a parlare del mio romanzo a Civitanova Marche durante il Futura Festival, a Mia Farrow che ho sempre trovato più attraente di Diane Keaton, ecco è di Spagna-Cile che volevo scrivere. Della Roja che incontra l’altra Roja, del pubblico del Maracana che canta tutte le sei strofe dell’inno cileno ma non può fare altrettanto con quello spagnolo, perché senza parole, della nazionale di Arturo Vidal che per festeggiare questa supremazia canora vince due a zero con reti di Vargas e Aranguiz. La Spagna detentrice del titolo esce dal Mondiale e stavolta non troverà nessuno a consegnarle il premio in diretta televisiva, nemmeno il cagionevole Alvy Singer.

martedì 17 giugno 2014

Maracanazo: Germania-Portogallo. Bianciardi e Mastronardi, il nuovo sindaco di Pavia in bicicletta


Pavia - Tutto sommato io darei ragione ad Antonio, a Vigevano devono smetterla di non ammettere che Lucio Mastronardi si è buttato nel fiume perché non ce la faceva più, a vivere generalmente, a vivere a Vigevano nel particolare. Il calzolaio di Vigevano, Il maestro di Vigevano, Il meridionale di Vigevano. Vigevano come una forma d'ossessione, dicevo ad Antonio, c'era quel brano dentro A casa tua ridono nel quale Mastronardi raccontava di quel tizio che andava a buttarsi nel fiume, anticipo letterario di ciò che sarebbe successo, in un racconto di Beppe Fenoglio invece era un figlio di nove anni a salvare il padre contadino dalla soluzione del gorgo inseguendolo per i campi, lo recitava anche Giovanni Lindo Ferretti in una finta canzone, in ogni caso a scanso di equivoci secondo me e Antonio era meglio abitare in una città senza fiume. Nonostante questo avevamo deciso di organizzare una presentazione dei nostri due nuovi romanzi sportivi (Il fuorigioco sta antipatico ai bambini, Ho visto Maradona) alla Libreria Il Delfino di Pavia, pur consapevoli della coincidenza tra l’orario dell'appuntamento letterario e la programmazione televisiva anche Rai dell'incontro mondiale Germania-Portogallo, valido per il primo turno del gruppo G. Prima un gelato poi un aperitivo, parliamo del nuovo sindaco a sorpresa ex professore di liceo catapultato al governo della città, ed ecco che il sindaco appare stanco e pedalante lungo una via in leggera ma lunga salita del centro, il suo volto è chiuso e cupo nello sforzo ciclistico, pare che le sopracciglia giungano fino alle labbra: scoperta del gravoso compito? Senso d'inadeguatezza? Rimpianto per la professione d'insegnante? Da che parte è il fiume? Non ci diamo per vinti e visto che è ancora presto con Antonio visitiamo collegi, chiese e biblioteche, quanti collegi a Pavia, dentro statue quadri e tante ragazze, a Pavia ci sono più ragazze che donne, in libreria più uomini che femmine ma anche queste (eroiche) non mancano. Diciamo quello che dobbiamo dire sul fuorigioco e su Maradona, sulla Democrazia Cristiana e su Giulio Andreotti, sul valore umano dei vinti e su quello dei vincitori, al termine della presentazione tuttavia qualche spettatore alza la voce, gli abbiamo fatto perdere la Germania che alla fine del primo tempo ha già segnato tre volte. Finirà quattro a zero, con tripletta di Thomas Muller (il primo su rigore, il secondo con un tiro rapido da dentro l’area, il terzo di ribattuta a una corta respinta del portiere portoghese) e gol di testa sugli sviluppi di un calcio d’angolo del difensore pensante Mats Hummels. Riusciamo comunque a fuggire dagli assalitori e a metterci in salvo in un'ottima pizzeria che regge il sole di fronte a un duomo fatto di mattoni. Un uomo ubriaco e abbronzato, dalla grande pancia per l’occasione nuda e sbucante da una camicia allacciata solo al primo bottone sotto il colletto, ci chiede trenta centesimi perché ha provato con il bancomat all’Unicredit ma non funziona. Lui è correntista dell’Unicredit, non se lo spiega. Poteva in ogni caso osare di più con la richiesta, penso, non li avremmo avuti comunque perché a breve potremmo essere disoccupati pure noi. Si libera una tavolo all’aperto e parliamo di Lucio Mastronardi, parliamo di Luciano Bianciardi, di quel passaggio televisivo di fine anni sessanta che li aveva visti insieme chiacchierare di letteratura a bordo di un tram milanese per promuovere un’iniziativa culturale, nella circostanza Bianciardi era meno disperato di Mastronardi. Non sarebbe male come ipotesi per il futuro scrivere due romanzi capaci di tirar fuori la sofferenza più preziosa e utile che abbiamo, farli iniziare con la frase "Tutto sommato io darei ragione a…" e terminare con "Poi il sonno è già arrivato e per sei ore io non ci sono più". Tanto chi vuoi che se accorga, anzi.

domenica 15 giugno 2014

Maracanazo: Inghilterra-Italia. Al Dio degli inglesi, non credere mai



Chiavari – Non faccio in tempo a tornare a Milano che il verbalizzante S.G., matricola xxxx, in servizio presso l’Ufficio Varchi della Polizia Locale in data 5/5/2014, dalla quale decorrono i termini di notifica del presente verbale, ha accertato che il conducente del veicolo targato xxxxxxx (autovettura) in data 20/3/2014 alle ore 22.28 in Milano, CAV DEL GHISALLO, TRATTO SOVRASTANTE VIALE CERTOSA in direzione di LC CENTRO CITTA’, ha commesso le seguenti violazioni: DOPO LE ORE 22 E PRIMA DELLE ORE 7, SUPERAVA IL LIMITE MASSIMO DI VELOCITA’ DI NON OLTRE 10KM/H. VELOCITA’ EFFETTIVA 79, CONSENTITA 70 KM/H. Euro 65,67. Grazie. Ripongo con delicatezza la multa sulla scrivania, tanto sono passati i primi cinque giorni utili a pagare meno (perché?), e rammento la sorprendente bellezza di Chiavari che ho salutato per continuare il mio lavoro d’inviato ai Mondiali brasiliani appena cominciati dalla mia base milanese. Ho ancora nello zaino Tutto quel che è la vita, romanzo di James Salter che leggevo in spiaggia quando non ero impegnato a costruire laghi, fiumi e condomini di sabbia con Pietro (il futuro è nel mattone). Ma il tempo a disposizione per la cultura era poco, c’erano da tirar su palazzi e quartieri con paletta e secchiello, mi restava però in mente la storia di quell’editore che si occupava di alta letteratura solo per necessità, che teneva incorniciata su una parete dell’ufficio la lettera di un collega e amico, editor più anziano di lui, al quale era stato chiesto di leggere e valutare un manoscritto: “Si tratta di un libro molto banale, con personaggi privi di spessore descritti in uno stile che fa venire i nervi. La storia d’amore è squallida è di scarso interesse, e chi legge, di fatto, la trova respingente. All’immaginazione rimangono soltanto le oscenità. Un romanzo totalmente privo di valore.” Aveva venduto duecentomila copie (nel secondo dopoguerra) e ne stavano facendo un film. Comunque a Milano rimpiangevo Chiavari, i portici le librerie le panetterie i negozi di calzature, quanti negozi che vendono scarpe a Chiavari, tanti sandali, che belle le ragazze che indossano i sandali Birkenstock miei preferiti, trovare un modo per trasferirmi a Chiavari. Stare alzati fino probabilmente alle due di notte per guardare Inghilterra-Italia è una cosa che fa parte del duro mestiere d’inviato in contratto di solidarietà, abbasso le zanzariere e arrivo al fischio d’inizio di mezzanotte già vittorioso perché sono riuscito a resistere mentalmente vivo all’introduzione Rai alla partita, è incredibile quello che riescono ad affermare presunti giornalisti, vecchi campioni o più frequentemente appena buoni giocatori, opinionisti che tifano come scimmiette invece che fare normale informazione. L’apocalisse è quello che c’è già. Non ci sono dubbi che l’Italia trionferà, l’Inghilterra l’allena Roy Hodgson anche se gli Azzurri schierano titolare Paletta. Fra le due condizioni non sufficienti sarà la prima a vederci sorridere, e infatti al trentacinquesimo battiamo un corner all’indietro, Pirlo sposta l’equilibrio difensivo inglese con un velo fondamentale per consentire a Marchisio di stoppare e calciare rasoterra angolato dai venti metri: 1-0. Il tempo di abbracciarci e Rooney in contropiede crossa alla perfezione da sinistra pescando il veloce Sturridge che mette in rete al volo, osservato con pigro distacco dalla difesa azzurra. Dopo l’esultanza sbuca una barella, il telecronista afferma che forse Sturridge si è infortunato nell’esultanza, il commentatore tecnico per modo di dire conferma, poi veniamo a sapere che lo sdraiato è invece il fisioterapista di Gerrard e compagni. Bisogna approfittarne. Jagielka salva sulla linea un pallonetto di Balotelli che aveva scavalcato Hart e Candreva centra il palo a portiere inglese battuto, fine primo tempo. Sotto casa un gruppo di adolescenti inganna l’attesa suonando e cantando a squarciagola le prime stantie canzoni di Lucio Battisti, non mi pare il caso e resto concentrato, perché di Battisti la maggioranza predilige bionde trecce e occhi azzurri? Ma cantate Il nostro caro angelo, cantate Anima latina, per favore. Al cinquantesimo Balotelli porta l’Italia sul 2 a 1 appoggiando di testa una determinante parabola mancina di Candreva dalla destra, l’inaffidabile Paletta rischia un penalty colpendo d’anca Gerrard in area di rigore, infine al novantesimo Pirlo calcia una punizione cambiante direzione in cielo che si stampa sulla traversa a portiere inglese battuto. E’ finita: l’Italia vince DOPO LE ORE 22 E PRIMA DELLE ORE 7, gli euro da pagare sono 65,67. Mi affaccio alla finestra notturna del mio appartamento da inviato ritornato dal mare e grido agli adolescenti felici con le loro chitarre spente di alzare la voce e di cantare, abbiamo visto una buona Italia: al Dio degli inglesi, non bisogna credere mai.

venerdì 13 giugno 2014

Maracanazo: Brasile-Croazia – Il cattolicesimo calcistico e l’arbitro cornuto

Lavagna – “Ma sì, il tatticamente provvidenziale infortunio di Montolivo ci regalerà un'Italia quasi zemaniana, moderata dal cattolicesimo calcistico più conservativo e saggio di Prandelli. Pirlo e Verratti insieme possono fare meraviglie, e davanti io farei giocare Immobile al posto di Balotelli”. Pensavo questo mentre passeggiavo lungo via Roma a Lavagna che poi non è una via così lunga ma certamente la principale di questo comune di 12.510 abitanti in provincia di Genova, Liguria. Camminavo alle sei e mezza di mattina pur essendo in ferie, vai a sapere gli scherzi della mente e del destino, gli unici aperti erano l’edicolante, il fruttivendolo il panettiere, quindi per prima cosa comperavo il giornale e per seconda una brioche, ma niente frutta. Dopo la brioche aspettavo che aprisse il bar che faceva il cappuccio buono ma non altrettanto le brioches (per questo l’avevo presa dal panettiere) quindi mi mettevo a sfogliare i due quotidiani che avevo deciso di acquistare: gli inserti relativi al Mondiale avevano la meglio sui miei pensieri, perché svegliarsi così presto in vacanza? Perché è bello, avrebbe detto mio figlio Pietro bravo a giustificare le cose che non hanno razionalità, come quando ti punta con la bicicletta senza pedali Strider ottima per imparare a fare il ciclista quando hai due anni e ti colpisce improvviso le caviglie, gli stinchi, Tu gli dici “Basta Pietro! Fa male” e lui “Ma è bello!” e tu “Ma fa male” e lui “Ma è bello”. Fa male, ma è bello. E’ bello svegliarsi alle sei del mattino a Lavagna, il giornale di solito rosa oggi è azzurro e costa trenta centesimi di meno, fatelo sempre azzurro allora, è l’ultimo giorno di vacanza  dopo il cappuccio vado sul lungomare, incontro solo anziani alle sette del mattino, ma in prevalenza nessuno, Grazie Lavagna! Insieme abbiamo dato alla città dieci anni di buona amministrazione. Al nuovo Sindaco e alla sua squadra i migliori auguri di buon lavoro. Dopo il cartello di ringraziamenti elettorali ricordo che viene sera e iniziano i Campionato del mondo di calcio, la decisione del quotidiano un tempo rosa e adesso azzurro d’inviarmi in Liguria per seguire da vicino il Mondiale brasiliano inizialmente mi aveva sorpreso, poi ho capito le loro ragioni. Ho un figlio talmente bravo che anche con trentotto e mezzo di febbre si addormenta quattro minuti prima che cominci la partita inaugurale, tutto lo stadio del Corinthians è colorato di giallo ma è la Croazia a passare meritatamente in vantaggio con autorete di Marcelo su cross dalla sinistra di Olic leggermente deviato da Jelavic. Poi il Brasile reagisce, ma i balcanici a quadrettoni rossi e bianchi resistono facendo palleggiare i centrocampisti dai piedi buoni che si ritrovano: Rakitic, Kovacic e soprattutto Luka Modric, il migliore nonostante l’inaccettabile decisione di abbandonare i capelli lunghi (un po’ Cruijff, un po’ Pirlo) per un taglio più militare. Tuttavia la Seleção arriva al pari con un tiretto angolato da fuori area di Neymar, Pletikosa cade giù lento come un sacco di patate, e il primo tempo si conclude senza avvisare gli spettatori che il secondo sarà meno affascinante e più discutibile del già trascorso. Ci penserà infatti l’arbitro giapponese Nishimura a decidere la partita con un rigore inventato assegnato ai padroni di casa a venti minuti dal termine per misterioso svenimento di Fred in area di rigore. Neymar tirerà malino ma i guanti di Pletikosa schiaffeggeranno in porta. Da questo momento in pochi continueranno a seguire lo spettacolo con la medesima fiducia, alla Croazia verrà pure annullato un goal per dubbia carica di Olic su Julio Cesar, infine al novantunesimo in contropiede il magrolino Oscar trafiggerà di punta sul primo palo Pletikosa, nella circostanza apparentemente sorpreso del suo stato di portiere: Brasile 3, Croazia 1. Farà male, e non sarà nemmeno bello. La notte lungo le strade di Lavagna scoppia il caos, qualcuno si chiede ad alta voce se le partite del Brasile le arbitrerà sempre questo Nishimura, altri gridano compatti “No al Blatter moderno!” Io schivo le proteste di piazza, gli incidenti tra manifestanti e polizia e torno a casa lentamente un passo dopo l’altro contro il vento dell’ultima sera al mare.

giovedì 12 giugno 2014

Ma come inizia "Il fuorigioco sta antipatico ai bambini"?



Ecco, inizia così:

Thomas Bernhard scrisse Gelo in un anno, dopo che per cinque anni non aveva scritto nemmeno una riga, anche se è più corretto affermare che Thomas Bernhard scrisse Gelo in un anno e qualche mese, perché una volta che la casa editrice Insel ebbe accettato il manoscritto, Thomas Bernhard si accorse che non andava bene nulla, che l'opera era incompiuta e cominciò allora a riscrivere il libro capitolo per capitolo ogni mattino, dalle cinque a mezzogiorno, in una pensione tra le più economiche di Francoforte.

martedì 10 giugno 2014

Maracanazo, il diario dei Mondiali

Ricordate il Diario del Giro d'Italia? Dai è impossibile, è finito dieci giorni fa, lo trovate poi tutto qui sotto, tappa per tappa. Ebbene da giovedì sarà la volta di Maracanazo, il diario dei Mondiali, in compagnia di Antonio Gurrado. Anche su Quasi Rete, blog letterario della Gazzetta dello Sport.

lunedì 2 giugno 2014

Il diario del Giro. Ventunesima tappa: Gemona del Friuli – Trieste (172 Km). Andando per frasche con Bazlen e Svevo


Trieste – Pensavo quasi di non scrivere nulla su questa ultima tappa, in fondo il novantasettesimo Giro d’Italia è finito ieri mentre sul Monte Zoncolan aspettavo Juan Rodolfo Wilcock in compagnia di Alfred Attendu, suo sublime gregario autore dell’opera divenuta un classico “Il fastidio dell’intelligenza”. Ma poi mi sono detto: sarebbe brutto fare venti e non fare ventuno, potrei essere colto da un certo non nuovo senso d’incompiutezza, mi resterebbe qualcosa da riparare. Perché avevo cominciato a scrivere questo diario? Come Vasco Pratolini per cercare di risolvere dei disturbi leggeri, ma noiosi? Andare dietro al Giro era forse la medicina più sicura? A Trieste ero già stato più di una volta, l’ultima nel maggio del 2012 per guardare Cagliari-Juventus e per incontrare Emilio, protagonista di Senilità. Allora aveva trentacinque primavere e aveva dato alle stampe qualche anno prima un romanzo lodatissimo dalla stampa cittadina però ingiallito nei magazzini dei librai e utile solo a trasformarlo in un letterato rispettato nel piccolo bilancio artistico della città. Emilio in quel tempo innamorato di tale Angiolina, bionda dagli occhi azzurri grandi, alta e forte, snella e flessuosa, con il volto illuminato dalla vita, a sentir lui. Nella difficile condizione del confidente che sapeva quello che Trieste urlava di tale donnina (una zoccoletta, che se la faceva un po’ con tutti, che appendeva alle pareti della camera le fotografie dei suoi svariati uomini) ma che non trovava il modo meno indolore per comunicarlo all’amico caro, ero riuscito a convincere Emilio a rimandare di qualche ora l’appuntamento con la bionda, per accompagnarmi allo stadio. Trovata un’osmizza aperta, avevamo litigato con l’oste pancione che ci aveva negato un bicchiere di vino tre ore e cinque minuti prima dell’inizio della partita, quando la Polizia municipale di Trieste aveva emesso un’ordinanza che vietava la vendita di bevande alcoliche ma da tre ore prima, e intorno negli altri tavoli tutti andavano per frasche.* Costretti a una nevrotica resa bagnata di coca-cola, avevamo chiacchierato dello scrittore Roberto Bazlen che durante la sua vita non aveva pubblicato nulla e aveva scritto esclusivamente sequenze di note senza testo, leggibili tutte come appunti per un’immaginaria scienza dell’autotrasformazione. Il nulla raggiunto troppo presto. Ciò che non vuole morire deve crepare. Italo Svevo era uno scrittore della domenica, che in settimana vendeva vernici sottomarine. Le ho usate per scrivere sulla strada W il Giro! usando soprattutto il colore rosa. Ho fatto una fotografia con il telefono e l’ho mandata al mio direttore di giornale, ma sì, quello che non legge libri. Anzi quello che il suo libro preferito è Il gabbiano di Jonathan Livingston. Ho aggiunto come didascalia che il colombiano Nairo Quintana ha vinto la novantasettesima edizione del Giro d’Italia davanti al connazionale Rigoberto Uran e al sardo Fabio Aru. L’ultima tappa invece se l’è aggiudicata in volata lo sloveno Luka Mezgec davanti al sempre secondo e una volta terzo Giacomo Nizzolo. Vrranno tempi più fortunati. Roberto Bazlen, nato a Trieste nel 1902 da padre tedesco e madre italiana, fu il primo a cogliere il genio che sino allora nessuno aveva riconosciuto nei romanzi di Italo Svevo. Ne scrisse con entusiasmo a Montale.

*A Trieste la frase “andar per frasche” significa andare a bere il vino nelle osmize