giovedì 4 dicembre 2014

A passeggio con il campionato (13)


Milano – Provo una strana allegria a lavorare in libreria, talvolta qualcosa di mistico o per lo meno accettabile, dicevo a Teresa d’Avila alla fine dell’ordine alfabetico del settore Religione, perché i santi come avrete intuito non li mettiamo tutti alla lettera “S”, altrimenti sai che casino con Francesco e gli altri. A dire il vero Teresa ero allegro a intermittenza anche quando facevo i materassi, quando vendevo lavatrici o lavastoviglie, frigoriferi meno perché alla fine cosa vuoi dire dei frigoriferi, dopo un minuto avevo già terminato tutto quello che dovevo raccontare, no con i frigoriferi non provavo allegria, qualche cliente con problemi di comprensione o magari chissà  superiore solidarietà dialettica affermava:
“Allora questo è il congelatore. Ma due stelle o quattro stelle?”
Io rispondevo numericamente e la faccenda si chiudeva lì, refrigerati.
In libreria invece ero con Santa Teresa, verso la fine dell’alfabetico di Religione anche se adesso mi viene in mente che la “T” non è poi così distante dalla “S”, aveva ragione Emil Cioran quando scriveva dello stile narrativo che nei mistici, e in particolare in Teresa d’Avila, raggiungeva vette sorprendenti per scrittori non professionisti? No del tutto, a mio avviso, troppe ripetizioni, l’ossessivo e servile ringraziamento a Dio o Gesù scritto ogni poche righe, il richiamo ai presunti grandi peccati e alla spregevole vita, cosa mai aveva combinato Teresa pensavo consegnando all’interessato il libro richiesto che niente aveva a che fare con misticismo o santità, cosa mai poteva aver combinato la non ancora beata appena bambina per ritenersi così cattiva, prima della mia fine avrei dovuta leggerla questa Vita che a vent’anni non avevo studiato nemmeno nel periodo in cui mi occupavo con riservatezza convinta di Thomas Merton, arrivavo in bicicletta fino alla prima collina intorno alla città per guardare oltre le sbarre un monastero vero. Ma ora riponevo il volume Castelvecchi nello scaffale in basso ormai sapete dove, alla “T” dell’ordine alfabetico nel settore Religione, ci sarebbe stato tempo probabilmente per leggerti Teresa, l’allegria saltuaria del libraio corrispondeva alla medesima del venditore di lavatrici o lavastoviglie su questo non c’era dubbio, raffigurata sommariamente dal brillare occasionale e simile di elettrodomestici o pagine e copertine.
Quindi ho lavorato al mattino, passeggiato tanto e pensato poco nei pomeriggi, imbavagliato dalla non voglia di scrivere per manifesta inutilità personale e collettiva di fronte a un fatto tragico, luttuoso e infame. Non ho fatto caso alla pioggia sistematica nemica di ogni solitario camminatore, certo avevo l’ombrello, ma chi aveva parlato di tiro dell’Ave Maria descrivendo il calcio disperato all’ultimo secondo di Gesù Pirlo, capace di regalare ai bianconeri la vittoria nel derby della Mole, quando il pareggio in effetti pareva ai più la soluzione maggiormente idonea? Non riuscivo davvero a ricordarlo, il telecronista certo no e allora mi sa che me l’ero immaginato io tutto da solo, per colpa di Santa Teresa.