(Savio per Quasi Rete Gazzetta dello Sport)
Ci sono cerchi che non si chiudono per un soffio, altri che lo fanno, alcuni che stupiscono per la perfezione del loro girare.
Quando il 28 maggio del 2010 Ivan Basso ha indossato la maglia rosa, erano trascorsi quattro anni esatti dall’ultima volta che l’aveva fatto. Dio non avrebbe potuto essere più preciso nel lanciare i suoi dadi.
Durante il Giro del 2006 mi ero entusiasmato per le imprese di Ivan. Così diverso dal trascinante Marco Pantani, dai suoi scatti ondeggianti e affilati che facevano inumidire gli occhi degli amanti del ciclismo, Basso affrontava anche le salite più impervie restando seduto, una pedalata dopo l’altra, fedele al suo passo.
“Sono Ivan Basso, e salgo sempre col mio passo”.
Altri ciclisti avevano imitato questa sua dichiarazione, risultando però meno credibili. Nessuno infatti poteva vantare la rima baciata tra Basso e passo. Doveva esserci una ragione. Poi la squalifica, durante mesi per chi scrive particolarmente sfortunati, mesi in cui vittorie sul campo venivano cancellate da tribunali improvvisati. Per giorni era corso da un telefonino all’altro il messaggino che vedeva assegnare la vittoria del Giro 2006 da parte di Guido Rossi all’Inter di Moratti.
Due anni di squalifica, la confusione degli appassionati che, come per Pantani, non capivano se il loro eroe li aveva traditi o se invece, come per Pantani, essere troppo forti poteva dare fastidio a qualcuno.
Venerdì 28 maggio mi sono messo davanti alla Tv, sperando che Basso riuscisse a vestirsi nuovamente di rosa. L’ho ammirato attaccare il Mortirolo aiutato dal giovane compagno Vincenzo Nibali, così leale da saper rinunciare a qualcosa nel presente, immaginandosi campione in un futuro sempre più vicino. Insieme a loro Scarponi. Sembrava fatta.
Dopo la cima però, mentre Basso, Nibali, Scarponi e il primo inseguitore Vinokourov scendevano con lenta paura, la maglia rosa David Arroyo si è messa a disegnare traiettorie splendide sull’asfalto bagnato, talmente coraggiose da meritare di restare dipinte lungo i tornanti. Mi sono sorpreso a desiderare che Arroyo non perdesse la maglia. La sua disperata difesa solitaria era da applausi. E poi si era fatto colorare pure la bicicletta di rosa...
Ma le grandi corse a tappe non si vincono senza una squadra forte, e Basso nel tratto finale verso l’Aprica ha imposto il suo ritmo superiore, cambiandosi in continuazione con Nibali e Scarponi (cedendo in cambio a quest’ultimo il successo di tappa) alla guida di un terzetto veloce e matematico.
Arroyo ha tagliato il traguardo tre minuti dopo, con i suoi denti storti e il completo rosa sporco di fatica. È tornato indietro, costeggiando le transenne in evidente contromano, mentre altri corridori continuavano ad arrivare. Come se questa inversione gli permettesse di non perdere quel colore che aveva difeso con tutta la classe in suo possesso. La gente del ciclismo lo applaudiva, facendo brillare la civiltà di una passione sportiva diametralmente opposta a quella che, in Italia, rovina troppi tifosi del calcio o della vittoria.
Ivan Basso ha risposto alle domande dei giornalisti con la solita calma. Ha pensato a quanti giri avevano fatto in quattro anni le ruote della sua bicicletta. Si è meravigliato nell’accorgersi che avessero deciso di fermarsi per ritornare a quattro anni prima con tanta esagerata precisione.