sabato 12 giugno 2010

Mondiali: Uruguay-Francia (Perso nella bellezza celeste)

Un esperimento interessante: inviati senza esserlo. Su Quasi Rete le partite dei Mondiali raccontate da luoghi diversi che non sono però mai il Sudafrica. Ogni giorno, o quasi, su
Perso nella bellezza celeste
Se i francesi sono gli italiani di cattivo umore, come sosteneva Jean Cocteau, gli uruguagi, che hanno qualcosa da spartire con gli italiani quantomeno per aver regalato a Giuseppe Garibaldi il grande amore di Ana Maria de Jesus Ribeiro, come si pongono rispetto ai francesi?Con questa domanda in testa mi sono seduto sul divano, pronto per la seconda partita del mondiale.
Perso nella bellezza delle maglie celesti, ho resistito per novanta minuti ad un match noioso, messo in scena dagli undici Blues scesi in campo (i migliori, Raymond Domenech tende a lasciarli in panchina o a casa, seguendo rigidi quanto inesplicabili leggi di selezione) e dai parenti lontani di Ghiggia e Schiaffino.
La Francia non ha mai battuto l’Uruguay ai mondiali, e nonostante la cifra tecnica superiore di Ribery e compagni, ho avuto quasi subito la sensazione che non sarebbe stato l’incontro di Città del Capo a cambiare questa statistica. I transalpini danno l’impressione di autogestirsi, come già a Germania 2006, e Mister Domenech come allora rinuncia ad un po’ di orgoglio per far quadrare il gruppo. L’elegante Gourcouff è un principe di evidenti qualità, schiacciato dall’eredità di un re stupendo che fatica a farsi dimenticare. Forse sarà solo questione di tempo, molto più probabilmente no.
Anche Washington Tabarez ha le sue fissazioni, insiste su un Suarez non all’altezza come sempre di un palcoscenico che non sia l’Amsterdam Arena, lasciando dormicchiare in panchina l’Edinson Cavani. Si va verso lo zero a zero. Il neoentrato Lodeiro cerca di rinverdire la fama di picchiatori celesti cercando di portarsi a Montevideo un pezzo della tibia di Bacary Sagna, ma il souvenir resta al terzino francese e il centrocampista uruguaiano viene espulso.
Un colpo di testa di Henry sfiora il palo. David Trezeguet, sprofondato in una poltrona in Argentina, in Francia o chissà dove, pensa: io, quella palla l’avrei girata dentro.