giovedì 4 febbraio 2010

Mio padre era bellissimo. Recensione e intervista a Francesco Savio, di Raffaello Ferrante. Su BooksBrothers.it

Siamo a metà anni ottanta. Nicola ha nove anni. Ha una famiglia unita attorno a sé, eppure trascorre la maggior parte del tempo da solo. Fantastica Nicola, sogna, gioca con il suo mondo d'infanzia. Papà Guerrino, mamma Leonilde e la sorella Camilla sono accanto a proteggerlo, tutti insieme nella bella e dignitosa casa del popoloso quartiere Carmine, a Brescia. La felicità per Nicola è lì a portata di mano, nei cinque metri di corridoio di casa dove instancabile disegna con la sua palla di spugna le stesse parabole che vede dipingere a Le Roi Platini la domenica in tv. Oppure è in sella alla sua Bmx rossa, sfrecciando sul pavé del Carmine, sognando un giorno di tagliare il traguardo con la mitica maglia rosa indosso. Eppure qualcosa in quella casa lo costringe a fare i conti con se stesso troppo presto. La strana epatite che ha colpito suo papà e che obbliga ormai l'uomo a vivere pressoché recluso nella sua stanza da letto perennemente in penombra, non lasciano molto spazio all'immaginazione. Anzi. L'evolvere negativo della malattia incancrenisce l'aria attorno a quella stanza sempre più buia e sempre più in ombra, fino a che nel corridoio antistante nemmeno Nicola può più fingere di non sapere. I calci al pallone, le punizioni, i palleggi devono cedere il posto a parenti e conoscenti accorsi in casa per consolare lui, la mamma Leonilde e sua sorella Camilla, in un fastidioso crescendo di pacche consolatorie sulle spalle, di sguardi compassionevoli di odiosa misericordia e nauseanti frasi commemorative di Guerrino, oramai tutte rigorosamente coniugate al passato. Che ne sarà dunque adesso della sua sfavillante carriera alla Juve? Come potrà mai allenare gambe, braccia e cervello se dovrà fare i conti d'ora in poi con l'azienda di materassi di famiglia? Che ne sarà dei suoi sogni ciclistici iridati? E quel maledetto ricordo di quando Guerrino l'aveva sgridato e lui per lo spavento aveva sperato che il padre morisse, come farà ora a non tormentargli per sempre la coscienza?Francesco Savio, qui alla prova d'esordio con un romanzo firmato Italicpequod (in precedenza due partecipazioni alle antologie Dylan revisited per Manni e Frammenti di cose volgari, targata BooksBrothers), affronta un tema - il rapporto padre-figlio osservato per altro nel momento drammatico della perdita -, in teoria ad alto rischio retorica, sopratutto per un esordiente. Invece Savio costruisce un'opera carezzevole, delicata ma al contempo solida, e assolutamente priva di scivoloni stilistici melodrammatici. La narrazione affrontata con gli occhi infantili del protagonista è fluida e diretta, a volte quasi sussurrata ed è capace di raccontarci in maniera coinvolgente quell'intima, timida e pudica soggezione che solo il rapporto figlio-padre a volte sa regalare. I personaggi sono ben tratteggiati e delineati – molto bella la figura della madre, vero collante e fortezza di amorosa dignità familiare –, mai sopra le righe. Insomma una prova davvero convincente, quest'opera prima di Savio, capace, nonostante il doloroso tema della lacerazione famigliare, alla fine di lasciare al lettore in eredità una commovente e delicata serenità d'animo.
Francesco Savio, classe '74, bresciano di nascita e milanese di adozione, oltre all'indubbio merito di essere uno degli autori della booksbrothersiana antologia Frammenti di cose volgari (con lo splendido racconto Il cornicione), è sopratutto uno juventino doc! Proprio da qui vorrei partire nello scambiare quattro chiacchiere con lui.
Nel tuo romanzo “Mio padre era bellissimo” lo sport – e il calcio in particolare – hanno un peso rilevante nelle fantasie del piccolo protagonista Nicola. Qual è la forza dirompente di questo sport secondo te?
Pur essendo nato in una terra di cacciatori, ho sempre pensato che l’uomo italiano non nasca cacciatore, ma calciatore. Nel bene e spesso nel male, il calcio è una parte importante dei pensieri del maschio italico. Ricordo Pasolini restare affascinato dalla partita domenicale allo stadio, a suo avviso l’ultimo rito pagano collettivo capace di attirare migliaia di persone in un determinato luogo, per assistere alla cerimonia dei novanta minuti. Personalmente amo il calcio fin da piccolo. Mi emoziona certamente di più quando gioca la mia squadra, ma in generale sono in grado di seguire come ipnotizzato qualsiasi incontro. Certi gesti tecnici, alcune variazioni tattiche riescono a tenermi incollato allo schermo (perché allo stadio vado molto raramente). Se guardare le partite fosse un lavoro (ed è vergognoso che non lo sia!) diciamo che avrei probabilmente il posto fisso. La forza del calcio per me sta nel fatto che è uno sport popolare, che tutti possono provare a praticare indipendentemente dalla loro costituzione fisica ad esempio. Non costa nulla giocare a pallone, puoi giocare in un prato o per strada, ti basta un palla e sei a posto.
Quanto c'è della tua infanzia nella rappresentazione narrativa?
C’è molto, ma non tutto. L’idea era di romanzare la mia infanzia. Per confondere però anche il lettore più attento ho cambiato il nome del piccolo protagonista, che infatti non si chiama come me. In generale volevo parlare dell’infanzia. Mi sono chiesto: cosa rende un’infanzia interessante e un’altra no? Il modo in cui viene raccontata, mi sono risposto. Parlo spesso da solo. Per questo poi mi sono domandato: quando finisce l’infanzia? Nel caso di Nicola in un certo senso quando muore il padre. Ma per un altro bambino può essere, che so, quando i genitori si separano. Ho cercato di sprofondare nell’infanzia, ho immaginato che Nicola decidesse di investigare sulla “scomparsa” del padre. Alla fine mi è venuto in mente che, forse, una persona prima o poi sceglie di vivere nel posto dove stanno i ricordi della sua infanzia.
In genere il rapporto figlio-madre rappresenta il basamento dell'intera attività formativa di un individuo. Perché invece ti è venuta voglia di raccontare il rapporto figlio-padre?
Figlio-madre e figlia-padre sono in effetti gli schemi più consueti, nel mio caso il desiderio di raccontare il rapporto figlio-padre nasce dal lutto. L’improvvisa assenza del padre spinge il figlio a cercarlo. Dove diavolo è andato a finire? Personalmente però credo che in “Mio padre era bellissimo” sia molto presente anche la rappresentazione del legame tra la madre e il figlio. Se Nicola non crolla è per via delle donne che lo circondano e proteggono. E non è un caso che il libro sia dedicato a tre donne.
La storia è ambientata negli anni ottanta, come mai questa scelta?
Perché sono gli anni della mia infanzia, ma anche perché sono stati anni cruciali per l’Italia che in quella decade ha vissuto l’inizio di un grande cambiamento sociale. Gli anni ottanta suonano in sottofondo come un brano musicale, però non ritengo determinante la collocazione temporale dei fatti (credo che il tema trattato non sia soggetto a particolari variazioni se immerso negli anni sessanta, oppure nei novanta). Semplicemente mi piaceva tornare negli anni ottanta, senza esprimere giudizi più o meno soggettivi sul periodo, ma solo per il piacere di tornarci, come con una macchina del tempo, che nel mio caso era formata da una sedia e da una scrivania.
Che bambino sarebbe Nicola se l'ambientazione fosse stata invece ai giorni nostri?
Beh, tecnicamente sarebbe ancora molto forte. Il più bravo della sua età sul campetto dell’oratorio, e il secondo a livello assoluto, nelle giornate in cui Fabio Ferrari (di un anno più vecchio) era in grande spolvero. Difetterebbe come allora per cattiveria agonistica e grinta, ma il pallone canterebbe tra i suoi piedi. A casa avrebbe la Playstation 3 comperata da Leonilde con tanti sacrifici, e non l’Msx della Philips. Ci sarebbe rimasto molto male per Calciopoli, perché la Juventus in quel periodo era la più forte e basta. Sarebbe rimasto stupito davanti a un processo sportivo durato venti giorni e con le sentenze scritte sulla Gazzetta dello Sport giorni prima della lettura in aula. Sarebbe tornato comunque sereno nel rendersi conto del privilegio di non avere come Presidente un petroliere sventolatore di ipocriti “Scudetti dell’Onestà”. E mi fermo qua, povero bambino.
Qual è la genesi di questo libro? Come è maturato dentro te?
Ricordo di essere rimasto colpito da una frase di Ray Bradbury: “Quindi ho creato un personaggio che volesse qualcosa con tutto il cuore…”Ma cosa? Quale il sogno del mio personaggio? Cosa desiderava con tutto il cuore?Cosa si eredita da un padre che non si è conosciuto? L’eredità di avere dei sogni? Ho iniziato dalla necessità di recuperare l’infanzia, volevo scrivere una storia drammatica con ironia, una storia che facesse magari piangere, ma anche ridere (o quantomeno sorridere). Nascendo poeta, o per essere precisi pessimo poeta, era inevitabile che il mio libro fosse breve, come certe opere di Penna o Magrelli, poeti che adoro quasi di più quando scrivono in prosa. E’ stato proprio Sandro Penna a mettermi in guardia, qualche anno fa: “Almeno fa delle cose brevi, più adatte a questo tempo che, è tutto fatto di velocità”.
Anche nel racconto presente su “Frammenti di cose volgari” affronti il tema della morte. E' un caso o ti piace scandagliare l'animo umano alle prese con un evento tanto traumatico?
Per scatenare l’entusiasmo dei lettori di BooksBrothers potrei rivelare un mio pensiero ricorrente, specie quando una giornata non è andata troppo bene. Dentro di me penso: ma sì, tanto tempo cinquant’anni e siamo tutti in una cassa di legno. Allegria, direbbe Mike, con o senza Funerali di Stato. Però è così. Oppure penso a una frase dell’amico e scrittore Livio Romano il quale una volta, parafrasando Shakespeare, mi disse:“Ma sì, tanto anche questa giornata è passata come tutte le altre.” Credo che l’aver subito un’ingiustizia da piccoli paradossalmente possa spingere ad affrontare con ironia ogni avvenimento della vita. Per un bambino perdere un genitore è TUTTO. Dopo questo tutto, ogni cosa è relativa. La morte è un tema fondamentale, e non posso aggiungere altro perché risulterei banale. Cinematograficamente può essere affrontata con l’occhio di Bergman o con quello di Woody Allen, amo entrambi, ma mi sento più vicino al secondo, con le dovute proporzioni, lui infatti è un genio. Anche Bergman ovviamente. Ma ho risposto alla domanda?
Quali sono i tuoi capisaldi letterari di riferimento?
Oddio, sintetizzando, in ordine alfabetico: Berto, Bianciardi, Bioy Casares, Bukowski, Busi, Camus, Cappelli, Carver, Cheever, Cortazar, De Luca, A. Di Benedetto, Fante, Fitzgerald, Flaiano, Hornby, Huxley, Kafka, Kerouac, La Capria, Landolfi, Malamud, Manganelli, Magrelli, Mari, Mastronardi, Merton, Penna, Parise, Pessoa, Proust, P. Roth, Sabato, Salinger, Saramago, Svevo, Thoureau, Tondelli, Vila-Matas, Vonnegut, Walser, R. Yates, Platini, Boniek. Ho dimenticato certamente qualcuno, e non ho messo certi registi cinematografici che sono stati per me importanti come gli scrittori che ho citato sopra.
Hai già in cantiere il prossimo romanzo?Direi di sì. Si è sviluppato dal racconto “Il cornicione” apparso su BooksBrothers e credo di essere al 70% circa. Mi manca la parte finale, e un po’ di tempo per farmela venire in mente. Pensavo di chiedere al mio datore di lavoro due mesi estivi stipendiati da trascorrere in Alto Adige per terminarlo, ma temo non sarà d’accordo.
E per finire, premio Strega o trentesimo scudetto alla Juve?
Incredibilmente è più probabile che io vinca lo Strega che la Juve vinca il suo trentesimo scudetto. L’Inter è la squadra con i giocatori più forti, ha un bravo allenatore, anche se troppo pallone gonfiato per i miei gusti, e tendenzialmente poco corretto nei confronti degli avversari. Ma nella nostra epoca la sportività viene vista come sintomo di debolezza, e allora personaggi come Mourinho fanno il tutto esaurito a teatro. Il Milan gioca il calcio migliore dopo il Bari, è la squadra meno italiana del nostro campionato per tipologia di gioco, anche l’atteggiamento sul campo dei suoi giocatori è preferibile a quello maggiormente isterico dei nerazzurri, ma alla fine sarà l’Inter a vincere il suo quarto scudetto consecutivo. Milan secondo, Roma terza, Napoli quarto, Juve quinta, Fiorentina sesta. Quanto allo Strega, Savio se lo scorda.