giovedì 18 febbraio 2010

75 minuti di Sanremo come non ve li hanno mai raccontati

Guardavo Antonio Di Pietro con il braccio al collo, seduto sulle poltrone di Ballarò, consolare Bertolaso, con il suo italiano stentato ma passionale. Mi sembrava di scorgere lealtà in quella mano (l’unica libera) che il leader dell’Italia dei Valori posava quasi con dolcezza su quella del capo della Protezione Civile. Se non erano innamorati, per una volta forse un talk show politico non sarebbe finito a parlarsi sopra e a insultarsi. Ma nonostante il canone, improvvisa giunse la pubblicità.
Non potendo costringere M. a guardare Milan-Manchester Utd
“Non vorrai vedere anche questa??”
“Io?? Ma figuriamoci! A parte il fatto che si potrebbe discutere sull’anche questa, è Milan-Manchester, non proprio una partitella, ma no, non voglio vederla…” (mentre una lacrima bagna la mia guancia).
Allora giriamo sull’Uno, è c’è Sanremo.
Pochi secondi e Cutugno m’inghiotte come un buco nero. Brizzolato, orecchino, riesco ad indovinare in contemporanea a Toto i versi della sua canzone. Arriva il ritornello, e se prima c’era Tu, poi non potrà che esserci Blu. Conosco troppo bene le tue mosse, Italiano vero che volevi andare a vivere in campagna. Una volta non gridavi così tanto.
Antonella Clerici è vestita da Negronetto (nel senso del salame). M. mi svela che è dimagrita dieci chili, ma all’effetto salume Antonella non sfugge. Lo spago avvolge il suo corpo, a onor del vero privo di muffa, ma non so quanto potrà resistere. Il suo abito di un rosso natalizio che non c’entra niente, sembra pronto per esplodere. Per di più ad ogni entrata sul palcoscenico la conduttrice zoppica, tanto che mi permetto di chiedere a M. se la Clerici sia per caso storpia. No, mi dice M., questioni di tacchi e vestito lungo fino ai piedi.
Intanto, ha cominciato a cantare Marco. Lavorando in un negozio di dischi, ricordo quando restavo sorpreso alle richieste dei clienti. I cantanti italiani parevano avere perso il cognome. Mi domandavano di Marco, Denis, Noemi. Nessuno che avesse cognome. Restavo perplesso, meditando sull’antropologica mutazione nominativa delle ugole peninsulari.
Questo Marco non l’avevo mai visto (guado poca Tv, lo ammetto) ed ora mi si presenta sul palcoscenico dell’Ariston vestito da fantino. Sorprendente. Camicia bianca e nera, cioè metà bianca e metà nera. Il che potrebbe anche piacermi, se si trattasse di un messaggio massonico segreto per convincere tutti gli juventini d’Italia a non mollare in questi anni poco felici. Ma invece Marco deve semplicemente essere della contrada della Lupa.
Sotto la camicia dei pantaloni di pelle, a vita bassa, che lo ostacolano un po’ nei movimenti, nonostante il taglio di capelli aerodinamico che ha scelto (rasato sui lati, a spazzolone in centro). Marco canta un po’ come un castrato, già l’avevo notato in negozio, dove purtroppo siamo costretti ad ascoltare quasi ogni giorno il peggio della produzione sonora mondiale, per motivi che francamente ignoro. Marco si agita e urla mica male, tanto che nel primo piano all’acuto finale lo vedo veramente soffrire, come se qualcuno (facciamo ad esempio il terzino laziale Kolarov) gli avesse sferrato da pochi metri una pallonata nei genitali. Ma sopravvive.
Poi il Trio delle meraviglie, Pupo Principe Tenore, e qui si tocca la vetta. Pupo inizia al pianoforte dicendo cose tipo: “Ti hanno fatto andare via…” (concluderà dicendo: “Non ti volevano far rientrare…”). Quindi a turno Italia amore mio, il tenore fa la solita parte del lirico chiamato per nobilitare (alle orecchie degli stolti) e distruggere un brano pop, infine Emanuele Filiberto conclude avvicinandosi verso la platea con fare accorato. Applausi e fischi, sventolio di qualche bandiera tricolore. L’Italia è nuovamente Campione de Mondo.
Ogni tanto Antonio Cassano chiacchiera con la Clerici, scorrono sul teleschermo azioni e gol del genio calcistico di Bari vecchia, e dico a M. che purtroppo Cassano passerà alla storia come un esempio di enorme talento sprecato, per mancanza d’umiltà e voglia d’allenarsi, probabilmente. Lei mi chiede perché, io sottolineo che se avessimo guardato Milan-Manchester, avremmo visto all’opera Wayne Rooney, straordinario attaccante dei Red Devils, che a differenza di Antonio Cassano non si sente “arrivato”. Ma M. mi dice che tanto per me sono tutti forti quando davanti ad una partita mi chiede: “Ma quello è forte?”. Non ho tempo per spiegare le mie ragioni, e allora spegniamo la televisione.
Ah, dimenticavo. La Clerici avrebbe voluto Morgan al Festival, ma i vertici RAI hanno detto NO. Antonella ha potuto perlomeno leggere una strofa della canzone dell’ideologo di X-Factor. Luci basse, la presentatrice in rosso recita emozionata, pesando le parole come fossero quelle del Leopardi. Parte del pubblico dell’Ariston si alza e applaude. Tranquillo Morgan, ne uscirai. E alla fine se ti va bene ti faranno anche i funerali di Stato.