lunedì 8 febbraio 2010

La testa lunga di Francesco Moser

(Savio per Quasi Rete Gazzetta dello Sport)

Mio padre e mio zio Francesco Moser non lo sopportavano proprio. Quando la scuola finiva certi pomeriggi andavo a trovarli nel laboratorio dove facevano i materassi, riuscendo tuttavia a capire solamente come si poteva cucire qualche cuscino. I materassi sembravano decisamente più difficili da creare. Erano fatti di colline di tessuto ripiene di lana, spago e bottoni bianchi di cotone.
Radio Rai in sottofondo raccontava le tappe del Giro e del Tour, e i due fratelli materassai con le dita lavoravano, ma con le orecchie ascoltavano. E il campione di Palù di Giovo proprio non lo digerivano.
Da tifosi di Beppe Saronni, non perdevano occasione per sottolineare come a Moser quel Giro d’Italia del 1984 gli organizzatori glielo avessero disegnato su misura, con assai poche montagne da scalare, da sempre il punto debole del campione trentino, e tante, troppe tappe di pianura.
“Gli hanno fatto il Giro in autostrada…” malignavano i fratelli Savio, mentre io mi chiedevo che significava di preciso, e se i ciclisti fossero obbligati per questo a fermarsi ogni volta al casello per pagare il biglietto.
E poi Francesco Moser mi faceva paura. Quando si vestiva per fare il record dell’ora mi sembrava un po’ E.T., con la testa lunga e all’indietro, come il casco aerodinamico che indossava per andare più veloce. Speravo non se lo togliesse mai, altrimenti avrebbe svelato al mondo il suo cranio deformato come la coda di una stella cometa. Era un mostro questo Moser. Per questo tifavo Saronni che era anche più piccolino e quindi mi pareva svantaggiato. Ma non c’è dubbio che la scelta di Saronni era pure quella più comoda, per non contraddire mio padre e mio zio.