“Considero lo scrittore come un personaggio ridicolo. La mia vocazione era quella di non identificarmi. La mia generazione che ha vissuto il fascismo e l’arco democratico è assai curiosa. L’idea della vita con cui siamo nati noi abbiamo dovuto cambiarla in ogni momento. Il successo era una cosa ignobile. Scrittori di successo erano Guido da Verona, Pitigrilli e Luciano Zuccoli. Scrivere un romanzo era ridicolo. Era una cosa indecorosa. Non stava bene, insomma. Il successo era temuto: che uno scrittore piacesse era la prova che non valeva niente. Dire “io scrivo” mi pareva sospetto. Per questo le mie tendenze sono andate alla satira. Ma scrivere è una fatica laboriosissima. Bisogna che la inventi ogni volta. E ora il ridicolo colpisce con forme diverse da quelle di una volta quando si rideva di una persona. Oggi colpisce l’indifferenza. Ogni giorno nel mondo si danno tanti giudizi che finiscono colla loro stessa imponenza a diventare ridicoli. Ma io sono uno scrittore perché non ho saputo realizzarmi in nessun’altra maniera, e tutto quello che ho fatto certe volte lo guardo con sospetto…”.
(E. Flaiano dal primo volume delle Opere, Bompiani. Tratto dall’articolo di Alberto Arbasino per il centenario della nascita di Flaiano, su Repubblica del 15/2/2010)
(E. Flaiano dal primo volume delle Opere, Bompiani. Tratto dall’articolo di Alberto Arbasino per il centenario della nascita di Flaiano, su Repubblica del 15/2/2010)