domenica 3 gennaio 2010

Mercoledì 6 gennaio presento “Mio padre era bellissimo” a Fahrenheit - Radio 3


E ieri mentre mi lavavo i denti per un attimo sono stato preso dal panico. Sono stati pochi secondi, spero non decisivi. Poi ho proseguito con lo spazzolino, tentando di moderare la forza, perché i denti vanno lavati con dolcezza, non c’è bisogno di sfregare, solo che spesso per far veloce e andare a dormire o a lavorare, uno ci casca.
Mentre il sapore del dentifricio come sempre mi dava una buona sensazione, ho messo un piede negli studi RAI di via Asiago, in Roma, e ho pensato: “E adesso? Che ci faccio qui? Ma soprattutto, cosa diavolo dico? E se mi pongono delle domande difficili e faccio una figura da scemo?” Gli ascoltatori di Fahrenheit potrebbero immediatamente pensare: “E questo chi è? Ma cosa sta dicendo? In che lingua sta parlando? Che poi parlando, insomma, esageriamo, boh, non si capisce niente. E ha pure scritto un libro?? Ah, siamo messi bene, povera Italia.” I problemi del Paese verrebbero riversati immediatamente sulle mie spalle.
Poi ho finito con i denti, e sono tornato parzialmente calmo. Ho pensato a Roma, a come ogni volta non mi abbia fatto capire più niente. Non la vedo da otto anni circa, ma tempo fa…
Partivo con il mio zaino e raggiungevo in treno la capitale, convinto che prima o poi (me lo sentivo) ci sarei vissuto.
Mentre camminavo a caso dalla Stazione Termini verso non so, addirittura mi accorgevo di sbagliare, io avevo vissuto a Roma, come a Lisbona, e Napoli. Si trattava di adolescenze parallele, prosecuzioni di infanzie altrettanto incapaci di toccarsi, ma che pure c’erano state, eccome. Camminavo e non capivo più niente di fronte a quella bellezza sottile e pure così sfacciata, e ridevo da solo per certe lacrime di felicità assoluta che dagli occhi scendevano giù, sotto il sole. Mi guardavo intorno stupito, e come una spugna assorbivo ogni cosa, avvicinavo a me i palazzi e le persone, due zingarelle anche, che appese alle mie braccia mi avevano detto Ciao signore, Dacci qualcosa signore…Care zingarelle, avevo pensato, quanti pregiudizi su di voi. Cinquanta metri dopo mi ero accorto di non avere più il portafoglio. L’avevo messo apposta nella tasca davanti per sentirlo con la gamba, ma insomma non c’era più, erano state quei due piccoli angeli tzigani. In retromarcia ero tornato sui miei passi, pronto ad affrontarle con estrema durezza, ma a pochi metri da loro avevo scorto la più piccola agitare vorticosamente il braccino e urlare: “Signore! Hai perso questo!” Possibile? Possibile, era il mio portafoglio, e non mancava nulla, mah.
Roma. Ero andato al cimitero inglese a trovare John Keats, e salutandolo gli avevo ricordato quello che gli dicevano gli amici quando stava per uscire di casa e c’era brutto tempo:
“John Keats, John Keats, John. Please put your scarf on!”
(John, mettiti la sciarpa per favore!)

Mi sono ricordato questo e tante altre cose di me e di Roma. Mi sono fatto forza, rammentando quel programma radiofonico che conducevo a Radio Brescia Popolare, prima che la chiudessero (la radio, non la trasmissione, e giuro che non fu colpa mia!) Non c’erano più soldi, e in ogni caso sono certo che non accadrà lo stesso con Radio Tre. Forza, mi sono detto, hai sempre amato la radio. Certo, ma un conto è fare il conduttore, un altro è essere intervistato, e per di più sul mio libro. Ma insomma, stiamo calmi. Io a Farehneit. Che, per chi non lo sapesse, è la trasmissione radiofonica più bella che c’è. E non lo dico per ottenere clemenza da parte dell’intervistatore. Ascolto sempre Radio 3, i miei colleghi sono testimoni. Quando al mattino ore 8 mi collego in magazzino per ascoltare Prima Pagina, intuisco la loro disperazione, ma sono spietato, almeno dalle 8 alle 9, col negozio chiuso, si ascolta Radio 3. I pomeriggi ognuno poi faccia ciò che vuole. Io ascolto Fahrenheit, tranne mercoledì.