(Savio per Quasi Rete Gazzetta dello Sport)
Incontrò se stesso due volte nel compiere il tragitto che lo separava dal centro del campo al dischetto, dove gli sarebbe capitato di calciare il rigore decisivo per l’assegnazione del mondiale sudafricano. Incontrò se stesso la prima volta dopo pochi passi, sudato e già con gli occhi grandi che sognavano di diventare come Gary Lineker, ed era un sogno strano per un bambino di Volta Redonda, città dello Stato di Rio de Janeiro. E poi di nuovo appena prima di prendere la rincorsa definitiva.
Pensò a quante cose gli erano successe nell’ultima stagione, dal passaggio ad una grande squadra di club, all’inizio di stagione confortante, al crollo psicologico che l’aveva portato a commettere errori clamorosi a ripetizione, i più frequenti dei quali consistevano nel tentare di saltare l’avversario di turno al limite della propria area (magari affrontandolo con il pallone sotto la suola), nell’effettuare passaggi surreali che finivano per lanciare micidiali contropiedi della squadra nemica, nel rendersi protagonista di interventi fallosi che avevano più di una cosa da spartire con dei colpi di Vale Tudo, l’arte marziale brasiliana che aveva praticato con successo da giovane.
Ma ora si trattava solamente di colpire bene la palla, e di scegliere l’angolo giusto. Poi ci sarebbe stata la fila per chiedergli scusa. Allora asciugò il pallone nella sua maglietta oro e verde, lo sistemò con cura sul piccolo cerchio bianco scolorito. Non guardò negli occhi il portiere che per tutto il campionato era stato suo compagno di squadra, prese una breve rincorsa come gli avevano insegnato da ragazzo nel Flamengo, e calciò.
Pensò a quante cose gli erano successe nell’ultima stagione, dal passaggio ad una grande squadra di club, all’inizio di stagione confortante, al crollo psicologico che l’aveva portato a commettere errori clamorosi a ripetizione, i più frequenti dei quali consistevano nel tentare di saltare l’avversario di turno al limite della propria area (magari affrontandolo con il pallone sotto la suola), nell’effettuare passaggi surreali che finivano per lanciare micidiali contropiedi della squadra nemica, nel rendersi protagonista di interventi fallosi che avevano più di una cosa da spartire con dei colpi di Vale Tudo, l’arte marziale brasiliana che aveva praticato con successo da giovane.
Ma ora si trattava solamente di colpire bene la palla, e di scegliere l’angolo giusto. Poi ci sarebbe stata la fila per chiedergli scusa. Allora asciugò il pallone nella sua maglietta oro e verde, lo sistemò con cura sul piccolo cerchio bianco scolorito. Non guardò negli occhi il portiere che per tutto il campionato era stato suo compagno di squadra, prese una breve rincorsa come gli avevano insegnato da ragazzo nel Flamengo, e calciò.