Gli italiani sono fatti così. Prendono per buone le verità della televisione, e della Gazzetta dello Sport. Restare appassionati di calcio in questo Paese è difficile, penso sempre quando mi capita di guardare una partita del campionato inglese, o del Barcellona.
Da piccolo chi non tifava Juve mi diceva che l’Avvocato pagava gli arbitri, poi la squadra di Torino perdeva le finali di Coppa dei Campioni, e io mi convincevo allora che Gianni avesse dei problemi con il cambio della Lira all’estero. Cioè Agnelli gli assegni li preparava come al solito, ma per qualche ragione non finivano mai sui conti correnti delle giacchette nere.
Nell’estate del 1982 avevo 8 anni, e osservando Dino Zoff alzare la Coppa del Mondo restavo stupito dalla similitudine tra la formazione juventina e quella della Nazionale: Zoff, Gentile, Cabrini, Scirea, Tardelli, Rossi…Era chiaro, ciò che all’Avvocato non riusciva in Europa veniva facile invece nel mondo, certamente così si spiegava pure la vittoria della Coppa Intercontinentale del 1985.
Circa un decennio dopo sarebbero cominciate le vittorie della Juventus di Lippi, anch’esse viziate da furti di ogni tipo, oltre alla solita corruzione arbitrale non era da escludere il doping. Solo la squadra di Torino utilizzava probabilmente questi espedienti, mentre le altri grandi come Inter e Milan no, quando riuscivano a vincere lo facevano con i propri mezzi.
In Italia il partito degli anti-juventini aveva ormai ingrossato le proprie fila, con punti di maggiori raccolta a Milano, Firenze, Roma. Erano strani individui. La domenica guardavano prima se la Juve aveva vinto o perso, poi il risultato della loro squadra.
Poi, nel nuovo millennio, dopo i due scudetti di Fabio Capello, finalmente arrivò la primavera-estate del 2006. Le intercettazioni coinvolgevano soprattutto Luciano Moggi, anzi solo lui. Lui era il Mostro del calcio italiano. Un trionfo per gli onesti Moratti, Tronchetti-Provera, e Guido Rossi. Ai tanti tifosi interisti non sembrò vero di poter estrarre dagli armadi bandiere rese praticamente inutilizzabili dopo 17 anni di immobilismo al vento. Erano campioni d’Italia, ma anche dell’onestà. Nessuno aveva mai potuto vantarsi di una cosa del genere. Cominciarono ad apparire scritte grottesche sui muri vicino allo stadio S. Siro, indicavano il numero dei tricolori vinti dalla squadra di proprietà di una famiglia di petrolieri e poi il commento: “Senza rubare”. E anche altre, più vigliacche, come: “Pessotto, vola ancora”.
“El Chino” Recoba fu tra i più felici, non era lui la causa di tanti anni senza scudetto. Marco Materazzi poté finalmente sfogare la sua boria antisportiva con nuovi tatuaggi e dichiarazioni da uomo vero. Furono prodotte migliaia di spillette con la scritta “Io sono interista”, slogan che sottintendeva “Io tifo l’unica squadra onesta che c’è al mondo, davvero”.
Intanto, la Nazionale vinceva a Berlino il suo quarto campionato del Mondo, con Marcello Lippi in panchina e tanti giocatori della Juventus sul campo. Anche da morto Gianni Agnelli sapeva come farsi intendere dalla classe arbitrale.
Nella stagione successiva l’Inter, grazie al fondamentale apporto di Zlatan Ibrahimovic strappato alla Juventus condannata alla B con 17 punti di penalizzazione, vinse un altro scudetto, sbaragliando la temibile concorrenza di squadre come Roma e Lazio, e partendo con 8 punti di vantaggio sul Milan, anch’esso coinvolto in calciopoli, ma certamente meno della Juve.
Passarono gli anni e la squadra di Moratti riuscì a vincere altri scudetti, grazie ai miliardi spesi dal presidente, talvolta anche per pagare due allenatori contemporaneamente (Mancini e Mourinho) per una cifra annuale intorno ai venti milioni di euro.
Purtroppo, un giorno di marzo del 2010, dal processo di Napoli iniziarono a saltare fuori intercettazioni riguardanti Massimo Moratti e i designatori, Giacinto Facchetti e gli arbitri. Tutti gli interisti si affrettarono a specificare che non era la stessa cosa, non si doveva scherzare. Beppe Severgnini con la consueta sportività consigliò ai tifosi bianconeri di non cadere nel tranello, e di liberarsi del “passato tossico”. Perfino il Club bianconero decise di diramare una nota ufficiale per chiedere pari trattamento per tutti, annunciando di voler tutelare in ogni sede i tifosi e la storia della Juventus.
Da piccolo chi non tifava Juve mi diceva che l’Avvocato pagava gli arbitri, poi la squadra di Torino perdeva le finali di Coppa dei Campioni, e io mi convincevo allora che Gianni avesse dei problemi con il cambio della Lira all’estero. Cioè Agnelli gli assegni li preparava come al solito, ma per qualche ragione non finivano mai sui conti correnti delle giacchette nere.
Nell’estate del 1982 avevo 8 anni, e osservando Dino Zoff alzare la Coppa del Mondo restavo stupito dalla similitudine tra la formazione juventina e quella della Nazionale: Zoff, Gentile, Cabrini, Scirea, Tardelli, Rossi…Era chiaro, ciò che all’Avvocato non riusciva in Europa veniva facile invece nel mondo, certamente così si spiegava pure la vittoria della Coppa Intercontinentale del 1985.
Circa un decennio dopo sarebbero cominciate le vittorie della Juventus di Lippi, anch’esse viziate da furti di ogni tipo, oltre alla solita corruzione arbitrale non era da escludere il doping. Solo la squadra di Torino utilizzava probabilmente questi espedienti, mentre le altri grandi come Inter e Milan no, quando riuscivano a vincere lo facevano con i propri mezzi.
In Italia il partito degli anti-juventini aveva ormai ingrossato le proprie fila, con punti di maggiori raccolta a Milano, Firenze, Roma. Erano strani individui. La domenica guardavano prima se la Juve aveva vinto o perso, poi il risultato della loro squadra.
Poi, nel nuovo millennio, dopo i due scudetti di Fabio Capello, finalmente arrivò la primavera-estate del 2006. Le intercettazioni coinvolgevano soprattutto Luciano Moggi, anzi solo lui. Lui era il Mostro del calcio italiano. Un trionfo per gli onesti Moratti, Tronchetti-Provera, e Guido Rossi. Ai tanti tifosi interisti non sembrò vero di poter estrarre dagli armadi bandiere rese praticamente inutilizzabili dopo 17 anni di immobilismo al vento. Erano campioni d’Italia, ma anche dell’onestà. Nessuno aveva mai potuto vantarsi di una cosa del genere. Cominciarono ad apparire scritte grottesche sui muri vicino allo stadio S. Siro, indicavano il numero dei tricolori vinti dalla squadra di proprietà di una famiglia di petrolieri e poi il commento: “Senza rubare”. E anche altre, più vigliacche, come: “Pessotto, vola ancora”.
“El Chino” Recoba fu tra i più felici, non era lui la causa di tanti anni senza scudetto. Marco Materazzi poté finalmente sfogare la sua boria antisportiva con nuovi tatuaggi e dichiarazioni da uomo vero. Furono prodotte migliaia di spillette con la scritta “Io sono interista”, slogan che sottintendeva “Io tifo l’unica squadra onesta che c’è al mondo, davvero”.
Intanto, la Nazionale vinceva a Berlino il suo quarto campionato del Mondo, con Marcello Lippi in panchina e tanti giocatori della Juventus sul campo. Anche da morto Gianni Agnelli sapeva come farsi intendere dalla classe arbitrale.
Nella stagione successiva l’Inter, grazie al fondamentale apporto di Zlatan Ibrahimovic strappato alla Juventus condannata alla B con 17 punti di penalizzazione, vinse un altro scudetto, sbaragliando la temibile concorrenza di squadre come Roma e Lazio, e partendo con 8 punti di vantaggio sul Milan, anch’esso coinvolto in calciopoli, ma certamente meno della Juve.
Passarono gli anni e la squadra di Moratti riuscì a vincere altri scudetti, grazie ai miliardi spesi dal presidente, talvolta anche per pagare due allenatori contemporaneamente (Mancini e Mourinho) per una cifra annuale intorno ai venti milioni di euro.
Purtroppo, un giorno di marzo del 2010, dal processo di Napoli iniziarono a saltare fuori intercettazioni riguardanti Massimo Moratti e i designatori, Giacinto Facchetti e gli arbitri. Tutti gli interisti si affrettarono a specificare che non era la stessa cosa, non si doveva scherzare. Beppe Severgnini con la consueta sportività consigliò ai tifosi bianconeri di non cadere nel tranello, e di liberarsi del “passato tossico”. Perfino il Club bianconero decise di diramare una nota ufficiale per chiedere pari trattamento per tutti, annunciando di voler tutelare in ogni sede i tifosi e la storia della Juventus.