giovedì 29 aprile 2010

Luminol

Mio padre era bellissimo, di Francesco Savio
Nicola ha solo nove anni quando suo padre Guer­rino, da tempo malato e costretto al letto, muore. Lui non è ancora che un bam­bino; passa le sue gior­nate a fan­tas­ti­care di vin­cere il Giro d’Italia e a ped­alare sulla sua bici­cletta per il quartiere, a gio­care a cal­cio con gli amici o den­tro casa sog­nando un giorno di diventare più forte di Michel Pla­tini, e di sfug­gire al monot­ono des­tino di fare il mat­eras­saio, erede di suo padre e aiuto per la madre Leonilde e Camilla, la sorella.
Nasce così Mio padre era bel­lis­simo, romanzo d’esordio di Francesco Savio, sto­ria di una edu­cazione domes­tica in piena regola che si fa ben presto un avvin­cente viag­gio nell’amore di un figlio fil­trato attra­verso i ricordi. L’assenza, l’abisso della morte, la «bilig­or­nia» per un rap­porto con­sumato in fretta e finito troppo presto, visti però con il can­dore e la lucid­ità spi­etata di un bam­bino che ancora non vuole rin­un­ciare ai pro­pri sogni.
I flash­back famil­iari, le fughe e i salis­cendi, le impres­sioni di vita in presa diretta, diven­tano dunque la voce di Nicola, le pias­trelle di una vita per la quale le parole sono diven­tate troppo strette, ed escono con fat­ica come quelle a tratti bal­buzi­enti del gio­vane pro­tag­o­nista: «Ma per­ché le per­sone morte resta­vano incas­trate den­tro le fotografie? Per­ché quando una per­sona non c’era più non se ne anda­vano via con lei? Sarebbe stato meglio. Ci vol­e­vano delle for­bici per ritagliare via la per­sone morte dalle fotografie. Sarebbe stato tutto meno doloroso».
Tema dunque dif­fi­cile quello con cui si con­fronta Savio, che però riesce nel pro­pon­i­mento di mostrarci l’irruzione della morte nella vita di chi ancora non ha avuto modo di chiedersi bene cosa sia. Lo fa ser­ven­dosi di uno stile che in più di un tratto può ricor­dare quello di Cris­tiano Cav­ina, ma con una lev­ità più let­ter­aria e al tempo stesso un senso dolente dell’esistenza, per­ché, in fondo «[…]senza sac­ri­fici non si real­iz­zano i pro­pri sogni».