di Cristiano Tognoli
Un passo dopo l'altro, pedalando con il protagonista, per entrare nella sua testa, vivere i suoi racconti (e per chi abita in città non è difficile identificarvisi), capire cosa può provare 25 anni dopo colui che da bambino, a soli 9, perse il padre.«Mio padre era bellissimo», premio Fahrenheit nel mese di gennaio, è il primo lavoro completo (dopo il racconto «Passi falsi» nell'antologia «Dylan revisited») del bresciano Francesco Savio, che nella vita di tutti i giorni lavora alla «Feltrinelli» di Milano. Il volume, che per leggerezza della scrittura e pagine limitate si legge tutto d'un fiato, è ambientato nel quartiere del Carmine primi anni '80. In realtà sarebbe quello di Crocifissa di Rosa (come si evince dalle citazioni della gelateria «Bedont»), ma qualcosa l'autore ha volutamente modificato. Come i nomi dei parenti. Del padre stesso, che diventa Guerrino.Tutto il resto però è assolutamente reale. A cominciare dalla malattia, che costringe Savio senior spesso a letto, mentre in sala Francesco gioca ad essere Michel Platini con una palla di spugna. C'è poi la passione per il ciclismo: il «Giro d'Italia» è uno dei pochi momenti che riesce a condividere con il padre; l'oratorio, le prime cotte che può solo accennare a Guerrino, le scalate in Castello con la mountain bike sognando la maglia rosa. Ma anche il funerale, la «paura» di diventare materassaio come il genitore, il sentirsi compatito e indicato sempre come «quello che ha perso il padre a 9 anni». Troppo presto. Ma non lo è ora per ricordarlo.