sabato 6 marzo 2010

La tristezza di Ramon Diaz

(Savio per Quasi Rete Gazzetta dello Sport)
Da piccoli lo facevamo anche noi. Vero Matteo? Vero Vincenzo? La palla sfiorava il palo, un avversario entrava col piede a martello, un compagno decideva di concludere a rete invece di passartela quando eri al centro dell’area, solo, pronto per battere a rete. Ci scappava fuori un “Porco Diaz!”, capitava, eravamo all’oratorio. Non avevamo nulla contro il centravanti dell’Inter.
Qualche ribelle in realtà se ne fregava, e bestemmiava, il prete in fondo non è che stava sempre a bordo campo per ammonire i peccatori del rettangolo verde. Ma era più un’interpretazione individuale del proprio rapporto col cattolicesimo: se credevi in Gesù, lui e suo Padre ti avrebbero beccato comunque, con o senza prete a fare da sentinella, e sicuramente non avrebbero fatto distinzioni tra Diaz e Dio.
Mi chiedo sempre come certe teste di legno siano arrivate a dirigere aziende, come abbia fatto quel tale a diventare direttore di un giornale, e quell’altro addirittura a fare il Ministro della Repubblica? Poi rammento di abitare in Italia, il Paese dove nel bene e del male, tutto è possibile. Altro che il sogno americano.
Quando ho appreso che il presidente del Coni Gianni Petrucci aveva deciso di punire i bestemmiatori, ho pensato che si trattasse di uno scherzo. Da non bestemmiatore, mi chiedevo, ma è davvero una regola così fondamentale? Però da uno Stato che non vuole risolvere il problema della violenza negli stadi, da un Paese capace di costruire nel 1990 stadi che sarebbero stati ottimi negli anni ’70, cosa potevo aspettarmi se non la volontà di occuparsi della pagliuzza ignorando la trave? Approfondendo la regola, ho scoperto che in serie A e B non si potrà più bestemmiare, dalla Lega Pro in giù sarà via via più facile, non perché il rischio di squalifica sia limitato ai campionati maggiori, ma per la penuria di telecamere dispiegate. Ho immaginato la storia di un calciatore depositario di un solo grande talento, quello di bestemmiare, costretto a retrocedere pur di poter dare libero sfogo alla propria volgare creatività.
Durante la prima giornata in cui questa regola è stata applicata, il centrocampista del Chievo Marcolini è stato graziato per aver gridato Diaz al posto di Dio, l’allenatore Di Carlo pare che abbia invece urlato Dio, quindi è stato squalificato. Superato lo stupore iniziale che mi ha aggredito quando ho scoperto l’esistenza di persone stipendiate per distinguere alla moviola un Diaz da un Dio, altri interrogativi hanno bussato alla mia porta. Come ci si comporta con i calciatori stranieri? Quelli di lingua spagnola, inglese o francese potrebbero essere facilmente controllabili, ma gli atleti africani? Se Eto’o tira giù una Madonna in un dialetto africano io come faccio a saperlo? Ho pensato per un attimo che questa regola fosse stata inventata per favorire l’Internazionale di Moratti, quasi priva di giocatori italiani, ma mi sono detto no, non può essere. Certo il pensiero tornava ad un'altra regola cambiata a campionato in corso, quella che permise alla Roma di schierare il giapponese Nakata rivelatosi poi decisivo per far vincere lo scudetto alla Roma ai danni della Juventus, casualmente nell’anno del Giubileo. Ma allora il burattinaio del calcio italiano era Luciano Moggi, oggi il calcio è più pulito, non può essere, mi sono risposto colpendomi la fronte per due volte con la mano aperta.
Allora ho spostato questi cattivi pensieri, e mi sono chiesto quale sia la lingua di Dio, se Dio faccia distinzioni tra un porco Diaz e un porco altro. Di certo quando ha deciso per la regola anti-bestemmiatori, Petrucci ha assunto dipendenti in grado di comprendere tutte le lingue del mondo, deve essere certamente così. E ho pensato alla tristezza di Ramon Diaz, quando in Argentina è stato raggiunto dalla notizia che il suo nome era tornato alla ribalta in quanto utilizzato come sotterfugio per non essere puniti dal giudice sportivo se non addirittura da Dio. Ho pensato alla tristezza di Ramon Diaz, che ha visto il suo cognome usato per imprecare bestemmie finte, diverse dalle vere solamente per una vocale e una consonante in più.