venerdì 10 dicembre 2010

Roma-Fahrenheit e il Colosseo Quadrato



Come verso la fine della vita può capitare di rimpiangere per un secondo certe cose non fatte o certe donne non fermate per strada, pur accettando l’impossibilità di non poter fare ogni cosa e di non poter fermare ogni donna, così ogni volta che vado a Roma ho la sensazione che mi manchi sempre del tempo, quello necessario per osservare con attenzione le meraviglie che la capitale mostra o nasconde, a seconda delle situazioni e della prontezza di chi la sbircia.

Ad esempio mercoledì, mentre raggiungevo il Palazzo dei Congressi dell’EUR per partecipare alla puntata di Fahrenheit trasmessa in diretta dalla Fiera Più libri Più Liberi, speravo mi avanzasse del tempo (sempre quello, prima o dopo) per guardare da vicino il Palazzo della Civiltà Italiana, soprannominato anche il Colosseo Quadrato o Groviera, e controllare quindi se corrispondeva al vero quell’informazione letta su Wikipedia (ebbene sì, anche io consulto Wikipedia, come del resto fa Michel Houellebecq, ovvero l’autore di uno dei libri più belli che ho letto in questo 2010) e cioè che “in alcune ore del giorno e in particolare di notte, l’edificio del Piacentini esprimesse un evidente fascino di architettura metafisica”. Che poi uno può cliccare su Piacentini e Razionalismo italiano se vuole saperne di più, o quantomeno qualcosa.
Comunque, avevo calcolato il tempo necessario dalla fermata Ottaviano a quella EUR Fermi per non ritardare l’appuntamento radiofonico e potermi permettere qualche spiata metafisica, ma non avevo fatto i conti con i lavori nei sottopassi della Stazione Termini, capaci di rallentare anche due camminatori esperti come me e M.
Partiti col sole poi, sbucati da EUR Fermi pioveva, quindi abbiamo preso il Bus Navetta per la Fiera e così il Colosseo Quadrato l’ho visto solamente dal finestrino, senza potermi avvicinare al groviera come avevo sperato.
Come in ogni luogo chiuso affollato, dentro il Palazzo dei Congressi faceva molto caldo, e mentre pensavo a non dire scemenze durante la spiegazione del perché avevo scelto “Nel territorio del diavolo” di Flannery O’Connor come “mio libro” della Fiera, altri pensieri, votati a tranquillizzarmi, mi facevano tornare a poche ore prima quando, presso un famoso antico forno-focacceria sito in Campo de’ Fiori, avevo notato appena fuori dal bagno una maglia di Totti autografata dentro un quadro, e per un attimo avevo desiderato comportarmi da vero inesperto di calcio, avvicinando il gestore per chiedere: “Scusi, ma il Totti non giocava mica nella Lazio?”.
Ottima in ogni caso la focaccia, anche se il rischio paventato dalla guida di sporcarsi la faccia e la barba di bianco farina, non era in effetti da sottovalutare.
Alle 17.10 sono andato in onda, in compagnia di Christian Raimo di Minimum Fax, autore della prefazione dei saggi sul mestiere di scrivere della O’Connor. Ho detto la mia, svelando agli ascoltatori di Radio3 quello che i lettori di Quasi Rete sapevano già. Cose relative alla grazia, e al coraggio di guardare. Poi la conduttrice Loredana Lipperini mi ha chiesto a bruciapelo quale libro sarei stato, in una vita di carta e non di carne, e allora ho detto “La vita agra”, di Luciano Bianciardi. Un parte del pubblico seduto nel caffè letterario sotto il palco ha emesso un breve boato di approvazione, e sorpreso ho realizzato di aver fatto goal. O meglio, di averla passata bene a Bianciardi che, davanti a Julio Sergio, ha fatto quello che solo i campioni sanno fare: saltare in dribbling il portiere, e accompagnare la palla oltre la riga di porta.