lunedì 20 dicembre 2010

Il posticipo: Napoli-Lecce (Taugenichts e il terremoto a Bet Lèhem)


Ricordo un tardo pomeriggio dicembrino degli anni ottanta. Con mia madre e un coltellino per uno, avevamo attraversato due strade dal portone di casa nostra per arrivare ai piedi del castello che dominava il quartiere, la città. Che intenzioni avevano mamma e figlio con coltello? Regolare all’aperto e in modo barbaro un litigio di famiglia? Attentare alla vita di qualche ignaro passante? Niente di tutto questo.

L’idea di Teresa, era quella di raschiare dal muro che precedeva l’inizio del colle Cidneo il muschio che vi era cresciuto, al fine di ottenere un degno prato per il presepio di casa. Era legale? M’interrogavo seguendo abbastanza fiducioso le orme materne. Probabilmente, e comunque in galera al massimo ci sarebbe andata lei, mica io, bambino. Gratta tu che gratto anch’io, alla fine eravamo tornati a casa col nostro prato, sul quale posizionare le statuine secondo criteri sedimentati dagli anni, e poi qualche pigna come alberi, sassi, e un rettangolo di stagnola a fare da laghetto.

Talvolta venivano a trovarmi le cugine, e giocando a calcio o a tennis con una pallina di spugna, capitava che la stessa terminasse sul presepio, travolgendo pastori e animali. Con l’innocenza cinica di certi giochi infantili, io Gisella ed Elena ci avvicinavamo al presepe, cercando di stabilire la causa di quella tragedia. Meteorite su Bet Lèhem? Terremoto nella Casa di Pane? E di che grado? In base alle statuine cadute, morte o ferite, veniva stabilito il grado della scossa, seguendo scale Mercalli o Richter.

Questi pensieri mi ritornano sempre quando all’inizio di dicembre vado con Marta in un negozio di Largo Schuster a Milano, specializzato in presepi. Ogni anno aggiungiamo uomini, donne e pecorelle alla nostra rappresentazione, costretti a privilegiare per fare economia alcuni personaggi rispetto ad altri. Ad esempio i Re Magi non li abbiamo ancora, ma se questo inizialmente mi dispiaceva ora no, perché ogni anno vedo le privilegiate comparse di Betlemme aumentare, e penso al giorno in cui la città sarà completa.

Prima di entrare da Tricella, mi chiedo se all’interno dietro il bancone troverò l’ex libero di Juventus e Verona a servirmi, ma poi mi accontento di una signora anziana che, a sorpresa, sbuca ai nostri piedi da una botola presente sul pavimento. Superato lo spaventato stupore di una persona che sale dal sottosuolo di legno per chiederti cosa desideri, giunge il momento di scegliere le statuine dell’anno. Marta le sue, io le mie, e quest’anno la mia è uno addormentato con il cappello rosso appoggiato sulla pancia, bello nel suo pennichellare, tanto da ricordarmi il protagonista di “Vita di un perdigiorno” di Joseph von Eichendorff, tra i libri che portavo sottobraccio quando intorno ai vent’anni oltre a lavorare andavo in giro per i parchi di Brescia a leggere da solo, pensando di essere qualcosa di simile a un poeta, che però vendeva anche lavatrici e frigoriferi.

Il perdigiorno addormentato adesso brilla nel nostro presepio, e siccome ho smesso di giocare con la pallina in casa perché sono una persona matura, mi sono permesso di chiedergli se, come statuina, si senta offeso quando i giornalisti più astuti definiscono “difese di belle statuine”, quelle immobili su cross avversari adatti a far svettare di testa punte col fiuto del gol, per intenderci il contrario di Amauri. Un po’ sì, mi ha detto il perdigiorno, ma alla fine che mi frega, lasciami dormire per favore.

Poi di sera tornavo a piedi da un teatro dove avevo visto Erri De Luca parlare in nome della madre. Calpestavo la neve, riflettendo sulla straordinarietà di Miriàm, moglie di Iosef, madre di Ieshu, capace di partorire da sola, con un coltello e un bacile d’acqua. Quale legame tra il suo coltello e quello mio e di mia madre? Perché la neve non si ferma sul sangue? Con tutta la neve che cadeva, avrebbero rinviato qualche partita? Quanto bianco nello stadio-grotta di Bet Lèhem?

Ho ascoltato qualche pastore maligno asserire che, per via del problema dei rifiuti, quest’anno potrebbero far vincere lo scudetto al Napoli. Non gli ho creduto. Di certo la squadra di Mazzarri è molto fortunata, e Cavani assomiglia pure ad un Ieshu adulto. Dopo ogni rete non si dimentica mai di ringraziare Dio, con le braccia indica il cielo, mormorando qualcosa con gli occhi spiritati. Del resto, la traiettoria del pallone scagliato dal “Teschio” uruguagio domenica pomeriggio come sempre oltre il novantesimo, qualcosa di religioso certamente aveva.