martedì 14 dicembre 2010

Il posticipo: Juventus-Lazio (Tremando sull’orlo con Henry David Thoreau)


Ancora nel 1848, Henry David Thoreau era a malapena noto ai suoi concittadini di Concord, che al massimo lo apostrofavano come un tipo strambo che era andato a vivere in una casupola nei boschi di Walden, e che aveva passato una notte al fresco per essersi rifiutato di pagare la tassa elettorale pro capite. I più maligni addirittura, avevano sparso la voce che il presunto “trascendentalista”, giunto alla soglia dei trent’anni, si fosse rifugiato nei boschi solamente perché tra gli alberi il segnale televisivo giungeva con maggiore pulizia visiva rispetto al centro di Concord, dove sia Sky che Mediaset Premium faticavano a garantire una copertura soddisfacente.

Conscio di queste cattiverie, quando un mattino Thoreau aveva intravisto una lettera nella cassetta della posta, aveva pensato immediatamente al peggio: si trattava con quasi certezza del solito fastidioso cittadino che chiedeva il perché del trasferimento a Walden oppure, in seconda battuta, del solito fastidioso cittadino che voleva sapere per quale squadra della serie A simpatizzasse il cosiddetto “filosofo naturale”, amico di Emerson (non il Puma brasiliano ma Ralph Waldo). Davvero aveva traslocato nella casupola solo per dedicarsi “agli studi che hanno più direttamente a che fare con questo pianeta”? Davvero Thoreau non sentiva il desiderio della compagnia degli amici, bastante a se stesso, al suo “essere niente”?
Difficile da credere, com’era difficile ignorare certe esplosioni vocali di gioia che parevano provenire dal bosco al sabato sera o alla domenica, casualmente in concomitanza con lo svolgimento del campionato di calcio.

La lettera invece era di Harrison Blake di Worcester, Massachusetts, un ammiratore dell’ancora sconosciuto “mistico”, il quale incitava Thoreau a iniziare una corrispondenza per aiutarlo ad innalzarsi “a una vita più vera e più pura”.
La soddisfazione di Henry David era stata grande: pur non ritenendosi niente, qualcuno gli aveva fatto capire che forse poteva essere qualcosa. Una volta aperta la busta, le poche righe scritte da Blake avevano confermato la sensazione positiva di poco prima. Finalmente qualcuno comprendeva il significato della sua scelta, il suo desiderio di separarsi dalla società, dal sortilegio delle istituzioni, dalle usanze, dai conformismi…
E la disperata umiltà di quella richiesta di soccorso spirituale, che si concludeva con il rammarico di sentirsi “tremare sull’orlo” era stata la goccia determinante per accettare quell’idea di amicizia sulla carta, da mettere in pratica subito, o meglio dopo la partita della settimana.

Utilizzando il telecomando per abbassare come sempre a zero il volume della televisione, al fine di non perdere i suoni del bosco che provenivano dalla finestra socchiusa, Thoreau aveva deciso per Juventus-Lazio, affascinato dalle potenzialità dell’incontro di cartello della sedicesima giornata.
Il tempo di sedersi, e Giorgio Chiellini portava in vantaggio i bianconeri, esibendosi poi in un battito ripetuto di pugni sul proprio petto griffato Balocco, metodologia di esultanza che a Henry David era apparsa come una raffinata citazione di quando l’uomo stava ancora nelle foreste. Bello da parte del capitano della Juventus il non dimenticarsi della Natura di un tempo, adesso che pelo e coda erano scomparsi e l’uomo in posizione eretta poteva divertirsi colpendo il pallone di testa anticipando grintoso altri suoi simili.
Sull’esempio del centrale livornese, anche Storari aveva pensato di lanciarsi in un omaggio naturalistico, ipotizzando di aggrapparsi ad una liana immaginaria per colmare uno spazio bianco, nero e celeste, ma sfortunatamente nel suo volo verso l’alto aveva dimenticato di afferrare con precisione la palla, sotto gli occhi azzurri e affilati di Gianluigi Buffon che, in tribuna, almeno per un secondo aveva pensato: il primo errore in sedici giornate, male per la Juve ma almeno i tifosi si ricorderanno che esisto. Zarate ne aveva approfittato per pareggiare.

Nelle pause di gioco, Thoreau riprendeva in mano la lettera che gli aveva scritto l’ammiratore di Worcester, soffermandosi sul quel “Ma aihmè, tremo sull’orlo!” che da solo valeva tutto, l’insicurezza di essere umani, e una serie di cose ben più vaste della penuria indecente racchiusa anche nelle migliori parole. Cosa rispondere a Blake? Qualcosa capace di semplificare il problema della vita, lasciando in pace Dio e le cose, puntando alle vette.

E mentre divisa in ventisette punti, la risposta cominciava ad arrivare, a dieci secondi dal 94 Momo Sissoko azzeccava un passaggio rasoterra diagonale che mai in carriera. A cinque secondi il giovane Cavanda, non potendo prevedere l’imprevedibile, faceva appena in tempo a osservare quel taglio passargli alle spalle. A tre, Milos Krasic saettava come una freccia verso la porta di Muslera, per crossare, o tirare. Nel dubbio, sull’orlo della fine, il portiere laziale smanacciava tremante col guantone-racchetta come quando a ping pong vuoi dare l’effetto, ma nella sua porta.