venerdì 20 giugno 2014

Maracanazo: Italia-Costa Rica. Il bambino Miao e Frankenstein Junior Chiellini


Milano – Ma quale Italia, oggi pomeriggio dalle 17.30 alle 19.15 sono andato al parco di Pagano con Pietro a fare le scivolate e un po’ di altalena, quindi abbiamo giocato a calcio con un bambino cinese che si chiamava Miao, e cioè visto che i rispettivi eredi avevano iniziato a calciare l’uno in direzione dell’altro e a ripetizione, mi era sembrato il caso di socializzare e avevo detto:
“Ecco lui si chiama Pietro e invece tu…”
“Miao”
aveva risposto la mamma venendo in soccorso allo sguardo interrogativo che mi lanciava il piccolo gatto, e io avevo risposto:
“Ah” e per il resto dei palleggi non avevo avuto il coraggio di chiamare il bambino “Miao”, perché temevo di non aver capito bene, forse aveva detto “Ao”, certo che anche “Ao”, e allora avevo continuato a chiamarlo “Bambino”, supplendo a questa decisione linguistica interpretabile come freddezza con una serie quasi eccessiva di complimenti riferiti a Miao (ma anche a Pietro) ogni volta che questi due si passavano il pallone:
“Hai visto che bravo il bambino che te l’ha passata?” “Bravo Pietro!”
Poi Miao era caduto e si era sporcato le mani di sabbia, la madre aveva detto Andiamo alla fontanella, Pietro aveva detto dispiaciuto Dove vanno? Io gli avevo risposto Vanno alla fontanella.
Non erano più tornati, così Pietro aveva inforcato la bicicletta Strider e avevamo percorso la pista ciclabile che dal parco portava più o meno a casa nostra, erano le 19 quindi ora di cena, varcata la soglia avevo messo su l’acqua a scaldare, gettato gli spätzle nel trasparente bollente, grattato il parmigiano sopra dopo aver scolato e acceso la radio, non prima di aver soffiato sul piatto del figlio prima che si scottasse la lingua. Prima intorno, poi in centro. A due anni e mezzo lo sapeva ormai anche Pietro come bisognava comportarsi con le pappe che scottavano quindi tutto era andato per il verso giusto, Miao, mentre il radiocronista diceva Buffon (e Pietro rideva) diceva Pirlo (e Pietro rideva) diceva Balotelli (e Pietro rideva). Non rideva invece quasi nessuno a Milano, perché la Nazionale perdeva uno a zero dal quarantaquattresimo del primo tempo a causa della rete di testa subita da Bryan Ruiz, e mostrava sul terreno di gioco la stessa reazione di una trota pescata e lasciata a finir di vivere sul prato vicino a un lago di montagna, senza nessun pescatore moderno ed ecologico che si decidesse a rigettarla in acqua per provare a pareggiare. In tutto il secondo tempo infatti l’Italia riusciva ad impensierire la Costa Rica solo con un tiro debole di Cassano, con una botta di Darmian che Navas deviava sopra la traversa e con una punizione di Pirlo respinta di pugni dall’estremo difensore costaricano. Fine della programmazione, non prima di aver rischiato il secondo goal con un contropiede del neo entrato Urena fermato casualmente da un non deambulante Chiellini, per tutta la partita preoccupante sosia dell’attore statunitense Peter Boyle, splendido interprete del Frankenstein Junior di Mel Brooks. Pietro beveva l’ultimo sorso dalla borraccia del papino e pensavamo di concludere il venerdì con una breve seduta defaticante in corridoio: qualche azione dalla porta d’ingresso a quella dello sgabuzzino, un paio di tuffi sul pavimento al grido di “Parata Buffon!” per abbrancare il pallone. Poi scendeva il buio e Pietro s’addormentava, io leggevo altre pagine del bello proprio perché inadeguato giro sentimentale in bicicletta di Antonio Pascale e immaginavo Zdenek Zeman affermare che la Costa Rica doveva uscire dalle farmacie, me stesso recriminare che giocando all’una a Recife si sarebbe dovuta pretendere almeno l’aria condizionata in campo, Cavani e Suarez sfregarsi le mani al pensiero di come avrebbero fatto a pezzi la difesa azzurra nella partita decisiva di martedì prossimo a Natal, quando a noi sarà sufficiente non perdere per passare il girone come seconda, mentre l’Uruguay invece sarà costretto a vincere senza troppi ragionamenti, quindi.