domenica 30 settembre 2012

Finalmente domenica! (6)




















Non v’è dubbio che mia nonna paterna assomigliasse un po’ a Giuseppe Meazza osservata dalla strada alla finestra dove si sporgeva, in apparenza sempre presente, ogni volta che passavo anche non per lei da via Orefici, dove abitava. Guardavo in su e c’era Meazza, mia nonna pronta a salutarmi come anticipo al ringraziamento di essere andato a trovarla o come contenuto biasimo per l’aver programmato altro di così vicino alla sua finestra senza pensare di salire nemmeno per cinque minuti al suo quarto piano, o di più. C’era il fatto che avevo preso in prestito da suo nipote Rodolfo che però era figlio suo perché la mamma vera Margherita era morta a 37 anni, un piccolo libro che aveva come titolo “Ti insegno a giocare” Editrice Nuova Massimo (Monza) scritto da questo Giuseppe Meazza e siccome avevo intuito che Rodolfo aveva già letto e riletto il volumetto senza trarre particolare giovamento dai preziosi e perentori consigli del Pepin (del tipo: “Prima atleti poi calciatori!”, “Lo stop d'interno”, “Mai con la punta!”), corredato peraltro da molte fotografie il volumetto come a dire non avete voglia di leggere giovani di oggi che non avete fatto nemmeno la guerra? Almeno guardate le figure. Ecco che avevo pensato di trasformare il prestito secco del libro in prolungata comproprietà per non dire regalo visto che Rodolfo poi aveva superato l’età per diventare calciatore professionista mentre io a nove/dieci anni ero forse il più bravo dell’oratorio o al massimo il secondo dietro Fabio Ferrari e qualcosa da sognare ancora c'era.

Comunque, per motivi che immagino generazionali mia nonna adottava una pettinatura simile al Meazza che io adesso vedevo sulla carta ingiallita un po’ appesantito nel 1958 consigliare giovani aspiranti pedatori dell’Inter che poi chissà quanti di loro erano diventati calciatori veri e allora la salutavo in ogni caso sempre mia nonna anche quando non andavo a trovarla, minuscolo dalla strada, e anche dopo che era morta ogni volta che passavo da via Orefici guardavo su stupito che non ci fosse alla finestra e certe volte la salutavo lo stesso anche se non c’era nessuno o addirittura un altro ma si vede che ero rimasto un po’ ubriaco dal giorno del funerale che mi ero dispiaciuto per mia nonna Elena e poi per cambiare ero andato a vedere il Brescia al Rigamonti di sera per una per lo più inutile partita di Coppa Italia che aveva pure vinto con due gol di Neri e infine avevo appunto bevuto un po’ troppo Baileys sul balcone e anche fumato tante sigarette per farmi passare la tristezza che tutti prima o poi in generale morissero indipendentemente dalle vite in questione.

Così, per la millesima volta come minimo dall’infanzia questa settimana mi è capitato tra le mani questo libro scritto da Meazza a cura di Angelo Ponti e ho pensato a quanto sia fortunato a possederlo, al perché pur essendo sempre io non posso più essere purtroppo il bambino di allora, in definitiva al perché non sono diventato un calciatore nemmeno seguendo i consigli del Pepin che alla fine sono molto più contento così a pensarci bene ma la delusione come tutti sanno risiede nella scontentezza di non poter essere più cose contemporaneamente. Giuseppe Meazza, ben pettinato con la riga da un lato, due volte campione del mondo, 355 reti realizzate. E oggi mi tocca sentire che uno è un fenomeno perché ha fatto qualche golletto in Serie A, ciao nonna.