L’avvento delle telecamere negli spogliatoi ha svelato fondamentalmente una cosa: quelli dei padroni di casa sono sempre molto grandi e comodi, in alcuni casi (Milan e Inter) sembrano addirittura salotti, con poltrone disposte circolarmente che richiamano ipotetici luoghi letterari, dove gli allenatori al centro della stanza sono messi nella condizione ideale per raccontare ai loro ragazzi trame e personaggi del libro che hanno letto durante la settimana.
Quelli degli ospiti invece sono simili a sgabuzzini, talvolta senza finestre, spazi angusti che forse vogliono essere metafora, con la loro microscopicità, dell’antisportività ben radicata da diversi anni nel calcio italiano. Vieni a giocare a casa mia? Tanto per cominciare ti sbatto nello sgabuzzino, poi vediamo. O forse no, relegare gli avversari dentro spazi ridotti al minimo, è un escamotage per stimolarli a reagire sul campo alla claustrofobia subita sottoterra, con il solo intento di aumentare le probabilità di una partita spettacolare.
Quale che sia la verità, questa scelta contraddice anche un’altra credenza molto diffusa, ovvero che la Tv abbia allontanato gli appassionati dagli stadi e dall’amore per il calcio. Niente di più falso e anzi, nell’osservare i giocatori della Juventus pressati nella stanzetta del Dall’Ara, mi sono ricordato di certi spogliatoi gelidi frequentati da bambino e adolescente durante improbabili trasferte mattutine, anche se credo che quelli della Juve fossero almeno riscaldati. Il mezzo televisivo quindi mi ha trasmesso un’emozione che, se mi fossi recato alla stadio, si sarebbe certamente persa dentro noiosi ed invasivi controlli, tesi a sapere perché nascondessi un libro nello zaino:
Poliziotto numero 1: “E checce fai con sta famiglia Wapshot nello zaino??”
Poliziotto numero 2: “Anvedi oh, abbiamo trovato er poeta de Praga!”
Poliziotto numero 1: “Ah ah ah…ma chette porti i libri allo stadio??”
Io: “No , è che ero al parco a leggere e allora…”
Poliziotto numero 2: “E vabbè per stavolta passi, ma chimme dice che nun lanci er libro in testa a quarcuno??”
Io: “Certo, perché secondo lei io mi metto a lanciare nel vuoto il secondo romanzo di John Cheever, una delle poche cose che non ho ancora letto del grande scrittore americano, rischiando che Lo scandalo Wapshot non mi torni più indietro…”
La vostra folle stupidità, mi stupisce più del fatto che non abbiate fatto le stesse storie a quei bestioni con precedenti penali prima di me nella fila al tornello, che poi per incitare al tribale canto altri come loro, seguiranno la partita a torso nudo nonostante la pioggia dando le spalle al campo, cioè come si schierano gli steward in Inghilterra dove, stranamente, hanno risolto il problema della violenza senza alcuna Tessera del Tifoso.
Ma veniamo a Bologna-Juventus. Una squadra di vertice può permettersi un centravanti scarso, due però no. Questo mi è parso il principale problema della Juve di ieri, che se dotata di un numero 9 titolare scelto a caso tra le altre diciannove compagini della Serie A, probabilmente avrebbe portato a casa i te punti. Ma Del Neri al momento può scegliere tra un Amauri ormai fotocopia precisa a colori del primo Aristoteles della Longobarda banfiana, e un Iaquinta svogliato che, oltre ai soliti limiti tecnici sembra, dai suoi sguardi non particolarmente intelligenti, aver dimenticato il funzionamento di una regola tra le più importanti, quella del fuorigioco.
Quando Krasic si è buttato in area e l’arbitro ha fischiato il calcio di rigore, il buon Vincenzone ha tolto la palla a Felipe Melo pensando di sbloccarsi. “Tiro io” gli ha detto. Per sfortuna dei tifosi juventini l’ha fatto davvero, estraendo dal cilindro il suo classico piattone quasi centrale che l’ottimo Viviano ha parato senza difficoltà. Giusto così, perché il rigore non c’era, e una vittoria ottenuta in quel modo avrebbe generato polemiche infinite, con probabili dubbi da parte di Massimo Moratti riguardanti la presenza di Luciano Moggi dietro ogni decisione sbagliata di un arbitro, in Italia e nel mondo.
Per qualche minuto il Bologna ha comunque reagito rabbiosamente all’ingiustizia subita, senza tuttavia impensierire Storari. Nel secondo tempo la Juventus ha mantenuto una supremazia sterile, resa appena più fertile dall’ingresso di Del Piero al posto di un Krasic divorato dal senso di colpa manco fosse Kafka e dai buu del pubblico bolognese, e di un Martinez che ha fatto intravedere qualcosa delle sue potenzialità, valutate in estate dodici milioni di euro.
Il libro di John Cheever com’era prevedibile non l’ho utilizzato come corpo contundente, ho usato invece una matita per fare cerchi intorno ai nomi dei personaggi principali de Lo scandalo Wapshot, perché leggere e guardare una partita contemporaneamente porta a perdere il filo della storia. Il migliore in campo, a mio insindacabile giudizio, è stato Emiliano Viviano, bravissimo già ai tempi del Brescia, inseguito da un curioso destino sportivo che lo vuole da sempre acceso tifoso fiorentino, di proprietà dell’Inter, e salvatore del Bologna.
Quelli degli ospiti invece sono simili a sgabuzzini, talvolta senza finestre, spazi angusti che forse vogliono essere metafora, con la loro microscopicità, dell’antisportività ben radicata da diversi anni nel calcio italiano. Vieni a giocare a casa mia? Tanto per cominciare ti sbatto nello sgabuzzino, poi vediamo. O forse no, relegare gli avversari dentro spazi ridotti al minimo, è un escamotage per stimolarli a reagire sul campo alla claustrofobia subita sottoterra, con il solo intento di aumentare le probabilità di una partita spettacolare.
Quale che sia la verità, questa scelta contraddice anche un’altra credenza molto diffusa, ovvero che la Tv abbia allontanato gli appassionati dagli stadi e dall’amore per il calcio. Niente di più falso e anzi, nell’osservare i giocatori della Juventus pressati nella stanzetta del Dall’Ara, mi sono ricordato di certi spogliatoi gelidi frequentati da bambino e adolescente durante improbabili trasferte mattutine, anche se credo che quelli della Juve fossero almeno riscaldati. Il mezzo televisivo quindi mi ha trasmesso un’emozione che, se mi fossi recato alla stadio, si sarebbe certamente persa dentro noiosi ed invasivi controlli, tesi a sapere perché nascondessi un libro nello zaino:
Poliziotto numero 1: “E checce fai con sta famiglia Wapshot nello zaino??”
Poliziotto numero 2: “Anvedi oh, abbiamo trovato er poeta de Praga!”
Poliziotto numero 1: “Ah ah ah…ma chette porti i libri allo stadio??”
Io: “No , è che ero al parco a leggere e allora…”
Poliziotto numero 2: “E vabbè per stavolta passi, ma chimme dice che nun lanci er libro in testa a quarcuno??”
Io: “Certo, perché secondo lei io mi metto a lanciare nel vuoto il secondo romanzo di John Cheever, una delle poche cose che non ho ancora letto del grande scrittore americano, rischiando che Lo scandalo Wapshot non mi torni più indietro…”
La vostra folle stupidità, mi stupisce più del fatto che non abbiate fatto le stesse storie a quei bestioni con precedenti penali prima di me nella fila al tornello, che poi per incitare al tribale canto altri come loro, seguiranno la partita a torso nudo nonostante la pioggia dando le spalle al campo, cioè come si schierano gli steward in Inghilterra dove, stranamente, hanno risolto il problema della violenza senza alcuna Tessera del Tifoso.
Ma veniamo a Bologna-Juventus. Una squadra di vertice può permettersi un centravanti scarso, due però no. Questo mi è parso il principale problema della Juve di ieri, che se dotata di un numero 9 titolare scelto a caso tra le altre diciannove compagini della Serie A, probabilmente avrebbe portato a casa i te punti. Ma Del Neri al momento può scegliere tra un Amauri ormai fotocopia precisa a colori del primo Aristoteles della Longobarda banfiana, e un Iaquinta svogliato che, oltre ai soliti limiti tecnici sembra, dai suoi sguardi non particolarmente intelligenti, aver dimenticato il funzionamento di una regola tra le più importanti, quella del fuorigioco.
Quando Krasic si è buttato in area e l’arbitro ha fischiato il calcio di rigore, il buon Vincenzone ha tolto la palla a Felipe Melo pensando di sbloccarsi. “Tiro io” gli ha detto. Per sfortuna dei tifosi juventini l’ha fatto davvero, estraendo dal cilindro il suo classico piattone quasi centrale che l’ottimo Viviano ha parato senza difficoltà. Giusto così, perché il rigore non c’era, e una vittoria ottenuta in quel modo avrebbe generato polemiche infinite, con probabili dubbi da parte di Massimo Moratti riguardanti la presenza di Luciano Moggi dietro ogni decisione sbagliata di un arbitro, in Italia e nel mondo.
Per qualche minuto il Bologna ha comunque reagito rabbiosamente all’ingiustizia subita, senza tuttavia impensierire Storari. Nel secondo tempo la Juventus ha mantenuto una supremazia sterile, resa appena più fertile dall’ingresso di Del Piero al posto di un Krasic divorato dal senso di colpa manco fosse Kafka e dai buu del pubblico bolognese, e di un Martinez che ha fatto intravedere qualcosa delle sue potenzialità, valutate in estate dodici milioni di euro.
Il libro di John Cheever com’era prevedibile non l’ho utilizzato come corpo contundente, ho usato invece una matita per fare cerchi intorno ai nomi dei personaggi principali de Lo scandalo Wapshot, perché leggere e guardare una partita contemporaneamente porta a perdere il filo della storia. Il migliore in campo, a mio insindacabile giudizio, è stato Emiliano Viviano, bravissimo già ai tempi del Brescia, inseguito da un curioso destino sportivo che lo vuole da sempre acceso tifoso fiorentino, di proprietà dell’Inter, e salvatore del Bologna.