domenica 3 ottobre 2010

Mia moglie e Roger Federer come esperienza religiosa


I vantaggi di avere una moglie che lavora in libreria sono molteplici. Se si ama leggere, ovviamente. Se si preferisce invece che so, collezionare statuine del presepio, consiglio vivamente di chiedere la mano della proprietaria di un negozio storico del centro di Milano, famoso per la varietà di presepi, e anche per il fatto di avere sul pavimento una botola dalla quale, nel dicembre scorso, è sbucata una signora anziana che mi ha fatto quasi spaventare, sorgendo ai miei piedi, e poi alle mie ginocchia, ma qui lo spavento è rientrato, perché ho capito di cosa si trattava.
Tornando a noi, mia moglie lavora in libreria, e ogni fine settimana mi consiglia libri che potrebbero fare al caso mio. Spesso allontano queste sue indicazioni con educato diniego: “Grazie, interessante, ma sai sono già pieno di libri da leggere...”
Capita poi che, anche mesi dopo, io le dica entusiasta il titolo del bel libro che sto leggendo e lei sbuffi: “Ma certo, te ne avevo parlato!”
Secondo me però non è sempre vero.
L’altro giorno mia moglie mi ha regalato “Roger Federer come esperienza religiosa” di David Foster Wallace. E’ furba mia moglie, sa quanto amo gli scrittori che parlano di sport. Mia moglie sa anche quanto mi piacerebbe scrivere di sport su un quotidiano, ma è pure a conoscenza del fatto che non conosciamo nessuno in grado di raccomandarmi e che, per sfortuna, nessuno di noi due è figlio di un giornalista. Questo faciliterebbe molto il mio esordio sulla carta stampata. Basta sfogliare i giornali per scovare cognomi che si ripetono, dinastie di penna che talvolta cambiano testata per dare meno nell’occhio. Come figlio di materassaio avrei potuto essere un bravo materassaio, anche se non è detto perché ci vuole talento, e ogni tanto rimpiango di non aver continuato il lavoro paterno, ma giornalista no. Adesso che ho iniziato a fare qualche presentazione per il mio libro, dalla prossima diciamo, penso che chiederò ogni volta se c’è qualcuno tra gli spettatori in grado di raccomandarmi. Funziona così, ma insomma anche se morirò senza scrivere su un quotidiano me ne farò una ragione.
Gli scrittori che parlano di sport, dicevo. Nel 2006, il New York Times invia in Inghilterra un corrispondente d'eccezione, David Foster Wallace. Ne viene fuori questo saggio narrativo pubblicato in Italia da Casagrande, raffinato editore di Bellinzona, quindi svizzero come Roger Federer.
E’ un libricino maestoso, che parla della bellezza religiosa di un campione straordinario e del tennis, ma è come se parlasse del rapporto casuale o studiato che intercorre tra gli uomini e qualcos’altro, magari una divinità.
Trascrivo un brano dai, così si capisce che non dico bugie.
“L’obiettivo dei giochi di competizione non è la produzione di bellezza, ma qualsiasi sport praticato ad alto livello diventa una sede privilegiata per l’espressione della bellezza umana. Il rapporto è più o meno lo stesso che intercorre tra coraggio e guerra.
La bellezza umana di cui stiamo parlando è un tipo particolare di bellezza; potremmo definirla bellezza cinetica. L’attrazione e il fascino che esercita sono universali. Non ha niente a che vedere con il sesso e con le norme culturali. Semmai, sembra essere strettamente legata alla possibilità per un essere umano di riconciliarsi con il fatto di avere un corpo.
Ovvio, negli sport maschili nessuno parla mai della bellezza, della grazia, o del corpo.
Gli uomini possono professare il loro amore per uno sport, ma questo amore deve essere espresso e rappresentato nella simbologia della guerra: eliminazione e avanzamento, gerarchie di rango e posizione, statistiche maniacali, analisi tecniche, fervore tribale e/o nazionalistico, uniformi, frastuono collettivo, bandiere, petti percossi, facce dipinte, ecc. Per ragioni che non sono totalmente chiare, molti di noi trovano i codici della guerra più sicuri di quelli dell’amore.”

(David Foster Wallace)
Per concludere, un “Momento Federer”.