venerdì 15 ottobre 2010

Italia-Serbia (Matteo, Bianciardi, e un piccolo scrittore che non riesce a lavorare in libreria)

Non mi vengano a raccontare che tutti i pomeriggi della settimana sono uguali. Per quanto mi riguarda, il martedì significa andare a giocare a calcio con Matteo, dieci anni. L’appuntamento si ripete ormai da quattro anni, così ho avuto modo di osservare i miglioramenti del ragazzo, e pure la fermezza della sua fede milanista, che non sono riuscito a scalfire neppure facendogli prendere a calci talvolta un pallone della Juventus.
“Hai visto come rotola bene? Dipende dal bianco e dal nero che, mischiandosi nella rotazione sferica, disegnano sfumature di pentagoni che, oggettivamente, emozionano più dell’abbinamento cromatico rosso e nero. Non trovi? Perché non passi alla Juve?”
Niente da fare.

Il martedì andiamo al parco a giocare a calcio, e questo mi consente di aggiungere qualcosa al mio basso stipendio di libraio, anzi no, perché libraio non sono mai stato, e libraio non riesco a diventare, nonostante lavori in una libreria, dove però faccio il magazziniere, ma non di libri. Mi sono sempre infatti occupato di musica, in passato e con soddisfazione mettendo a disposizione le mie conoscenze musicali per ordinare i dischi migliori, da 17 mesi invece confinato inspiegabilmente in magazzino dove qualche volta, mi scopro a pensare: ma la logica non dovrebbe consigliare di darmi almeno una possibilità? Vuoi vedere che questo bravo ragazzo, che non ha mai dato problemi in dieci anni di carriera, essendo anche un piccolo scrittore, magari potrebbe essere pure un bravo libraio? Forse no, meglio non rischiare. Meglio farlo stare in magazzino, a mettere i cd e i dvd nelle custodie trasparenti, in piedi per sei ore consecutive nello stesso punto, dove quel Savio osserva sul muro di fronte una piccola fotografia di Luciano Bianciardi che ha attaccato come una figurina. Sostengono alcuni che ci parli pure con questa fotografia, ma non ci sono riscontri scientifici di botta e risposta tra l’autore de “La vita agra” e il magazziniere nato a Brescia.

Uno degli aspetti più sconfortanti di Milano è la difficoltà di trovare un pezzo di prato dover poter giocare a pallone gratuitamente. Da illusi poi la speranza di avere anche porte regolamentari, provviste addirittura di reti. Quindi con Matteo si va ai giardini di Porta Venezia (dominati però dalla presenza massiccia di cacche canine, non essendoci misteriosamente un’area recintata per quadrupedi) o ai giardini di Palestro, molto più belli e puliti (vietato l’accesso ai cani) ma sovente invasi da comitive di piccoli con madri e feste di compleanno che occupano i potenziali spazi di gioco.

Due zaini come porta e via, con Matteo giochiamo in anticipo le partite del fine settimana, sfidiamo altri bambini o mezzi adulti di passaggio, calciamo cinque rigori per uno e vediamo chi vince, rimpiccioliamo la porta e cerchiamo di centrarla da distanze siderali, scommettendo anche forte:
“Se faccio gol da qui in fondo, decentrato, il Milan vince la Champions, la Juve il campionato e l’Inter va in B per le telefonate di Facchetti…”
Gol.

Martedì sono tornato a casa stremato, pronto a sedermi sul divano per assistere a Italia-Serbia, partita che prometteva bellezza. Stankovic e Krasic contro Bukowski-Cassano e il bel Pazzini. Ma quando ho notato quello scimpanzé tatuato con passamontagna a cavalcioni sulla parete di plexiglas tagliare le reti di protezione con un tronchesino arancione per lanciare meglio i fumogeni in campo, ho capito che la cosa sarebbe andata per le lunghe. Ho sperato che insieme ai poveri poliziotti, chiamati ad arginare una situazione pericolosa che poteva precipitare in tragedia, arrivasse pure il jazzista Bobo Maroni, magari per spiegare i vantaggi della Tessera del Tifoso agli ultras serbi. Poi, durante gli inni nazionali, i fischi a quello serbo e l’emozionate canto di quello italiano (che mi ha fatto venire, come sempre, la pelle d’oca) mi hanno fatto temere una dichiarazione di guerra dell’Italia alla Serbia, firmata da Ignazio La Russa. Quindi hanno provato a giocare. Un difensore serbo ha cercato di troncare la carriera a Stefano Mauri con un’entrata da killer, per fortuna senza riuscirci. L’arbitro, comprensibilmente preoccupato e confuso, è riuscito a non vedere un rigore clamoroso su Pazzini, spinto con due braccia sulla schiena mentre era già in volo per colpire di testa. All’ennesimo lancio di fumogeni e bengala in campo, l’incontro è stato sospeso. Viviano ha detto che lui nella porta sotto quei matti non ci sarebbe più andato. Ma chi si ostina ad amare il calcio per quel meraviglioso spettacolo che è, come Rivera e Donadoni ad esempio, aveva già abbandonato lo stadio da un po’.