La mia scrittrice preferita ama più di ogni altra cosa i pavoni. Perché fanno la ruota con la tranquillità con cui altri potrebbero accendere una sigaretta. Perché improvvisamente, senza preavviso, aprono la coda e la fanno vibrare. E a quel punto, anche se è la milionesima volta che lo si vede, questo spettacolo colpisce gli occhi di chiunque. Dove c’è un pavone c’è una mappa dell’universo.
Pensando alla O’Connor, e alla misteriosa bellezza dei pavoni, domenica pomeriggio mi è capitato di guardare Bari-Juventus, sperando che la Grazia, sempre protagonista dei racconti di Flannery, si manifestasse in una giocata di uno dei ventidue giocatori in campo. Forse attendevano la stessa cosa gli spettatori in festa sugli spalti, felici per l’inizio di un nuovo campionato, e pure qualche calciatore, inquadrato per la prima volta anche dentro gli spogliatoi prima di scendere sul terreno di gioco.
Marchisio diceva a un compagno di aver fatto un movimento che qualcuno (forse Del Neri) aveva insinuato lui non avesse compiuto o capito, in un allenamento oppure in una partita precedente, Lanzafame ascoltava nelle cuffie chissà quale musica pettinato come Bob De Niro in “Taxi Driver”, Almiron curava i suoi muscoli sdraiato sopra un tappetino con le gambe verso l’alto, mentre gli altri ragazzi di Ventura guardavano una lavagna dove c’era scritto: “Se vogliamo, possiamo”.
Il pavone più bello purtroppo per gli juventini è stato Massimo Donati, che ha messo in mostra le sue piume bianche e rosse con una giravolta che ha sorpreso proprio Marchisio, prima di infilare la palla nel sette con un gran tiro allo scadere del primo tempo. I bianconeri, già bruttini fino a quel momento, sono diventati mostruosi durante la ripresa, messi alla frusta da un Bari più organizzato e meno pauroso. Del Neri in panchina ha continuato a mangiarsi le unghie, poi si è alzato per dare indicazioni con gli indici delle mani, muovendoli prima avanti e indietro, poi in diagonale. Motta, De Ceglie e Pepe l’hanno guardato stupefatti.
Più che pavoni i giocatori della Juventus mi sono sembrati dei piccioni, tragicamente impegnati in un sforzo superiore alle loro possibilità. Nello sguardo di Marotta in tribuna invece, ho riconosciuto certe espressioni di Renato Pozzetto ne “Il ragazzo di campagna” con la Sampdoria a recitare il ruolo della campagna, e la Juventus quello della città.