lunedì 2 aprile 2012

Il posticipo_Juventus-Napoli (La malora allegra)

"Tornammo su, con lui che si sforzava di salire adagio, per non perdermi d’un passo, e mi teneva sulla spalla la mano libera dal forcone ed ogni tanto mi grattava col pollice, ma leggero come una formica, tra i due nervi che abbiamo dietro il collo."  (Beppe Fenoglio)


Giunto al paese al primo scuro, Agostino aveva visto la sua casa giù verso Belbo che sembrava portare sul tetto tutto il peso del cielo. Suo padre era morto stupidamente mentre lavorava vicino al pozzo, scivolando sul pietrone e precipitando dentro con il peso della testa dopo aver esultato per la comunicazione radiofonica di una rete che poi non si era rivelata tale, quella del milanista Robinho contro il Catania.

Qualcuno l’aveva tirato su, in apparenza salvo, ma invece lo spavento gli aveva dato sul cuore. Agostino era rimasto solo con il padre, secondo la madre non abbastanza, visto che poi aveva dovuto fare il giro dei parenti di Murazzano e Buonvicino per avvisarli della sepoltura, provando pazienza al suo ritorno quando la bara era già stata chiusa. L’avrebbero messo sottoterra domenica, tra le due messe.

Il giorno del funerale, Agostino aveva pensato di buttarsi in un gorgo profondo a sufficienza, stremato dall’idea che nemmeno la morte del padre sarebbe valsa a cambiargli un destino di malasorte, speso a lavorare nei campi del Pavaglione come servitore del mezzadro Tobia. Ci aveva però ripensato, realizzando che decidendo per il gorgo a nove giornate dalla fine del campionato sarebbe stato per lui impossibile conoscere con esattezza il nome della squadra vincitrice. In fondo c’erano ancora 27 punti in palio e tutto poteva accadere.

Finite le condoglianze eravamo allora partiti con Agostino verso Torino, in tutto due ore di viaggio compresa la sosta presso l’azienda vinicola Marenco dove lavorava come corrispondente estero Giuseppe Fenoglio. Il solito bicchiere di vino prima della partita, questa volta un Barbaresco, la consueta speranza di riuscire a spiare il retro di quelle carte commerciali dove Beppe scriveva righe che avrebbero fatto parte dei suoi prossimi libri.

Allo stadio, la Juventus sbloccava il risultato al cinquantatreesimo grazie a un ginocchio di Bonucci che deviava sottoporta una girata di Mirko Vucinic. Quindi gli uomini di Conte dilagavano raddoppiando con un bel goal del migliore in campo Vidal, abile a disorientare con una serie di finte Campagnaro dai denti azzurri prima di calciare d’interno a effetto nell’angolo alto alla sinistra del portiere. Infine, toccava al napoletano Quagliarella a sette minuti dal termine fissare il risultato sul 3 a 0 con un tiro dal limite che passava attraverso De Sanctis sul primo palo.

Al mio fianco, Agostino senza voce era come un orfano felice mentre sfogliava le ultime pagine della sua disgrazia e cabalizzava riguardo al suo futuro: avrebbe detto addio all’insopportabile malora del Pavaglione. Sarebbe tornato a San Benedetto per lavorare la dura e avara terra di famiglia, a costo di mangiare solo pane e cipolla per tutta la vita. Ma non avrebbe avuto mai più un padrone. Avrebbe spiato sua madre inginocchiata al primo palo della vigna pregare un Dio disattento di proteggere suo figlio, che “è buono e presto sarà solo al mondo”. Bagnato di pioggia, avrebbe pensato a suo padre morto che si pigliava la sua prima acqua sottoterra.