lunedì 9 aprile 2012

Il posticipo_Palermo-Juventus (Todo modo Mutti)


Seguendo le orme di un pittore, avevo deciso di trascorrere qualche giorno di riposo all’Eremo di Zafer. Ma giunto sul posto, avevo scoperto con sgomento che l’Eremo era stato trasformato dall’ambiguo Don Mario nell'albergo Miramonti, e che il fine settimana prescelto per la mia vacanza corrispondeva ad uno dei week end spirituali che politici, ministri, gerarchie ecclesiastiche e banchieri si concedevano per resistere al logorio della loro vita moderna. Dopo un lungo colloquio tuttavia, Don Mario mi aveva concesso di assistere al ritiro spirituale in qualità di scrittore poveraccio, non prima di aver ulteriormente tassato la mia busta paga di libraio per ripianare il buco di bilancio del Paese provocato dalla sua generazione.

Il tempo di miscelare l’acqua per il pediluvio che già era avvenuto un omicidio. Durante la recita del rosario, un colpo d'arma da fuoco aveva freddato il leader storico del più importante partito del nord, e pareva che la pallottola fosse partita dalla pistola di qualche magistrato. Dal vetro della mia microscopica camera senza balcone, osservavo con stupore stanco orde di forcaioli festeggiare ubriachi la scomparsa del corrotto politico di turno con l’ineffabile logica faziosa del più mortifero tifo da stadio. Le forche più disgustose, quelle di certi giornalisti indignati dimentichi di aver iniziato la loro carriera perché figli o parenti di giornalisti, oppure grazie alla consueta raccomandazione.

Religiosamente perplesso e realisticamente disinteressato agli sviluppi pseudodemocratici italiani, avevo pensato bene di sprangare la porta, versare l'acqua bollente nella bacinella azzurra e accendere la Tv, nella speranza che Don Mario da buon tecnocrate di Stato non avesse disattivato per ripicca tutte le parabole Sky dei dipendenti privati a 1000 euro al mese, salvaguardando invece come da copione quelle dei dipendenti pubblici. Poi mi ero immerso, mentre per fortuna sullo schermo Palermo e Juventus scaldavano cosce e polpacci per dimostrare sul campo chi avesse davvero diritto alla maglia rosa.
Per vedere una bella partita sono necessari piedi caldi. Di questo mi ero convinto, pensando al pittore di Todo modo che a sua volta ricordava la battuta di Voltaire relativa ai buoni dipinti, strettamente correlati all’elevata temperatura di falangi, pianta e collo piede.

Dentro lo stadio circondato da montagne, il Palermo aveva vinto la maglia rosa, ma perso la partita. Uno 0-2 firmato dal migliore in campo Bonucci con una spizzata di testa su calcio d'angolo e da un rasoterra a girare angolato dello scugnizzo Quagliarella, ormai guarito anche psicologicamente dal brutto infortunio al ginocchio. Con questo risultato, la Juventus di Conte poteva così sorpassare in classifica il Milan, sconfitto in casa da una solida e coraggiosa Fiorentina nonostante l’ennesimo rigore a favore (il nono stagionale), questa volta assegnato ai rossoneri dall’arbitro Celi per misterioso svenimento di Maxi Lopez in area di rigore.

Dalla finestra, adesso scorgevo il cadavere di Don Mario nel bosco, con una pistola accanto al corpo. La verità era sotto gli occhi di tutti, eppure nessuno era capace di vederla.
Avevo bisogno di prendere un po’ d’aria. Per quel che mi riguardava, avrebbe riso bene che l’avesse fatto per ultimo.