lunedì 9 gennaio 2012

Il posticipo_Cagliari-Genoa: (Dai Monti di Mola al Sant’Elia)



Nascosto tra le frasche, Fabrizio era stato categorico:
“Adesso ci credi a questa storia del giovane bruno e dell’asina che si amano?”
Non potevo contraddirlo.
Mentre sui monti di pietra di macina l’uomo aitante stava tagliando rami, e l’animale stava pascolando, i loro occhi si erano incontrati, cercando acqua. Poi lei era diventata cuscino di lana, bianca fortuna. Lui carnevale di baci, cucitore di cuore.
Nel cespuglio opposto al nostro, una brutta vecchia piangeva a spiava con la bava alla bocca:
”Beata l’asina, mamma mia che bell’uomo. Beata lei, giovane e moro. Beata lei, io muoio sola”.

In Gallura tutto era pronto per il matrimonio, ma l’innamorato non si trovava più, e il sacrestano si faceva scappare che lo sapevano tutti, era partito la sera precedente per Castéddu con il parroco, come era solito fare almeno una volta a settimana.
Delusi nell’ultimo, inginocchiatoio della chiesa, con Fabrizio abbiamo maledetto la cattiva sorte e per la rabbia in automobile siamo andati verso sud, seguendo un tragitto fatto a onda. Ho guidato io, perché lui non ha mai preso la patente. Il viaggio fino a Cagliari è durato circa tre ore e quaranta minuti, con un costo di carburante (grazie all’aumento del costo della benzina esercitato da un governo tecnico e vile) di 45 euro. Tra una cantata in coppia del suo disco “Le nuvole”, qualche bestemmia per la lunghezza dello spostamento, e almeno una decina di sigarette, De André ne ha approfittato per raccontarmi la sua passione per il Genoa, nata il pomeriggio del 5 gennaio del 1947, quando il padre Giuseppe l’aveva portato a Marassi per vedere il Grande Torino di cui era tifoso. Una partita a senso unico, con la squadra granata e meravigliosa sul 3-0 al settantesimo, e il padre di Fabrizio ad applaudire entusiasta. Ma poi il Genoa aveva reagito, costringendo Mazzola, Gabetto, Grezar, Loik a difendersi: uno a tre, due a tre, un palo. Dentro quella rimonta mancata, era nata la passione di De André figlio per il Genoa.

Consapevoli che non avremmo osservato niente di simile ad aspettarci in uno stesso gennaio ma di sessantacinque anni dopo, ci siamo introdotti comunque al Sant’Elia, accomodandoci  sulle tribune in tubi Innocenti, cacciando con lo sguardo i fuggitivi: giovane moro Ibarbo e prete. Eccoli là: il primo impegnato nel riscaldamento in allunghi che avrebbe riproposto con ferocia cristallina durante l’incontro, il secondo intento a benedire il terreno di gioco per consentire all’undici del sacchiano Ballardini di dare ragione al presidente Cellino per il terzo cambio di panchina in quattro mesi.
Le preghiere funzionavano, se è vero che i sardi usufruivano di un rigore già all’undicesimo del primo tempo. Larrivey trasformava. Fabrizio al mio fianco si lasciava andare a qualche Madonna, ma il Cagliari benedetto giustificava il vantaggio dominando. Se il Genoa non ne prendeva tre in quarantacinque minuti, era merito di una traversa, dell’imprecisione sottoporta dell’indemoniato Ibarbo, di un miracoloso Frey. Nella seconda frazione però era il giovane moro a raddoppiare con una cavalcata asprilliana terminante in pallonetto, mentre lo zenese e svedese Granqvist infilava nella sua porta il pallone che metteva fine alla partita: Cagliari 3, Genoa 0.

A questo punto, approfittando dell’eccitazione generale, De André mi costringeva a scavalcare la parete in plexiglass che ci separava dal campo:
“Riportiamo in Gallura il prete e il giovane moro, prima che sia troppo tardi!”
Il religioso, vicino alla panchina, stava abbracciando paonazzo l’uomo del match: il colombiano Segundo Victor Ibarbo Guerrero. Fabrizio era convincente nell’invitarli a ripartire immediatamente per i Monti di Mola, senza nemmeno la doccia. Poi in macchina costruiva la sua storia musicale in sardo, correggendo e cancellando con la matita più volte il finale, alla faccia di ogni invenzione burocratica capace di far saltare all’ultimo, la celebrazione:
“L’asina e questo ragazzo si sposeranno, vero parroco? Ci penserai tu, a far sparire i documenti da cui risultano cugini primi”.