lunedì 11 aprile 2011

Bologna-Napoli 0-2 (La Di Vaio Mimesis)


Ci sono tre Bologna fondamentali nella vita di ognuno di noi. Per quanto mi riguarda la prima, sul finire del secolo scorso, ventenne amante di visite decise più o meno dal caso, in treno verso destinazioni altre, e solitarie. I portici dalla stazione ferroviaria a Piazza Maggiore, l’acquisto di un disegno raffigurante un gigante sdraiato, addormentato e sognante, sotto le due torri.
La seconda, al tramonto del 2001, carico come un mulo, lungo i portici dalla stazione ferroviaria fino alla Ricordi di via Bassi, dove sarebbe proseguito il mio addestramento da discaio, variante post-vinilica e parallela del libraio. Carico come un aspirante scrittore-asino, perché nel mio pensiero di allora, nulla di indispensabile al processo creativo e meccanico doveva mancarmi. E quindi, oltre alle borse con vestiti, due sole braccia portavano libri, computer e stampante. La terza, domenica, per incontrare finalmente un poeta raro, e invincibile.


Appuntamento al Cinema Splendor (o Splendore? O Smeraldo?) in passato già Plinius, da dove partire per ritentare insieme una nuova mimesis, non necessariamente divina. Entrambi in un momento oscuro della nostra vita, ma di un’oscurità terribilmente luminosa. Oscurità uguale luce. La stessa di questa domenica con Pier Paolo a fare da guida e io, minuscolo, nelle retrovie. La sua nuca, la sua inequivocabile andatura, il suo guardare e commentare i ragazzini, il mio guardare e commentare le ragazze. Ma quella non pare la volteggiante parigina Ines de la Fressange? Boh, forse, magari.

“Paolo: ci siamo per caso persi?”

“No Francesco, siamo nel III canto. Tutta questa gente che corre dietro a una bandiera, la vedi? Impiegati, professionisti, operai, parassiti politici, piccoli intellettuali. Essi non si agitano trascinati dall’orgasmo del traffico o dei loro doveri: corrono dietro a quella bandiera. In realtà solo uno straccio, che sbatte e si arrotola ottuso al vento. Ma come tutte le bandiere, ha disegnato nel suo centro, scolorito, un simbolo. Osserva meglio, e non tarderai ad accorgerti che quel simbolo non consiste in nient’altro che in uno Stronzo.”


“Paolo: d’accordo non ci siamo persi, ma io ho fame.”

Da Piazza Maggiore prendiamo via Pescherie Vecchie e dentro la gastronomia La Baita, un salumiere gentilissimo ci prepara fuori orario due panini eccellenti con mortadella e formaggio di pecora, che mangiamo poi al sole.


Il BlackBerry sarà anche un bel telefono, ma le indicazioni stradali a me non funzionano tanto bene. Scelto come punto d’arrivo ”Paradiso”, ecco che ci ritroviamo allo stadio Dall’Ara.

“Scusa Paolo, ma potevi dirlo che volevi vedere il tuo Bologna.”


Anche a trenta gradi il Napoli gioca come una grande squadra. Lavezzi accelera palla al piede tagliando ogni zona del campo e fa le linguacce. Mascara che da bambino non ha messo l’apparecchio per i denti, sostituisce Cavani urlante in tribuna appoggiando in porta da pochi passi il pallone dello zero a uno. Hamsik spiazza su calcio di rigore l’amico Viviano, senza che la sua pettinatura punk ne risenta durante la rincorsa, immobile. Nel secondo tempo, l’imitazione di Marco di Di Vaio fallisce due buone occasioni. Per il Bologna di Pasolini non è giornata.


Pier Paolo di cattivo umore mi fa leggere una finta “Nota dell’editore” per la Divina Mimesis, scritta da lui, nella quale l’editore dichiara di aver pubblicato tutto quello che l’autore ha lasciato, in seguito cronologico. Ma moltissimi appunti, non avevano data. Erano stati reperiti fuori dal corpo dattiloscritto dell’opera, in cassetti diversi, tra le pagine di libri cominciati a leggere e non finiti. E infine, dettaglio macabro ma anche commovente, un biglietto a quadretti è stato trovato nella tasca del cadavere dell’autore, ucciso a bastonate, a Palermo, l’anno scorso.