lunedì 14 febbraio 2011

Il posticipo: Juventus-Inter (Ritratti di Matri Malamud)

Da quando in libreria ricopro il ruolo di cassiere, devo ammetterlo, nel tempo libero vago per le strade di Milano ed entro nei negozi, per osservare da vicino le cassiere mie sorelle. E va bene, se erano belle le guardavo anche prima. Però adesso spio con maggiore attenzione le loro dita sfiorare lo schermo, spesso con unghie egregiamente smaltate, poi accarezzare i soldi che mi danno di resto. Nel tintinnio delle monete tuffate nel cassetto invece, sento le campane della mia immaginaria epifania.

“Non preoccuparti se sei lenta o se s’inceppa lo scontrino, sono cassiera anch’io quindi ti capisco, direi quasi ti voglio bene lo stesso. Non farò come quel bestiame italiota sbuffante in coda, che adesso ti guarda con maleducato e ignorante disprezzo, come se la colpa dell’attesa fosse tua, e che poi forse si riverserà nelle piazze per manifestare, suonando il tamburello o facendo roteare in aria anche più di quattro palline. Sì, saranno di certo questi giocolieri che cambieranno il nostro Paese”.

Quindi mi metto a seguire Arthur Fidelman, pittore fallito per sua stessa ammissione, a sua volta pedinato nelle strade di Roma dall’ebreo Shimon Susskind. Un duplice inseguimento dal quale una sola persona trae un indubitabile vantaggio, io. Posso infatti studiare la bravura di Bernard Malamud nel libro numero 37 della fondamentale collana minimum classics: Ritratti di Fidelman (minimum fax). E sottolineando con stupore i periodi migliori, posso spingermi addirittura a pensare il difficile quasi impossibile: che Milano diventi Roma, che qualcuno mi offra una lavoro a Roma, in definitiva che io possa un giorno vivere a Roma.

Giunto in Italia per scrivere una monografia critica su Giotto, Arthur Fidelman s’imbatte per caso in Susskind, “ebreo profugo da Israele”, che inizia a chiedergli soldi, un vestito, qualcosa. Da questo momento, i tentativi di liquidarlo di Fidelman sbattono contro la molteplicità dell’ebreo venditore ambulante, che non vuole tornare in Israele perché a Roma almeno “non ha mai pensieri”.
Fidelman fugge in taxi, ma con la sensazione che Susskind, tutto rannicchiato, sia appeso alla ruota di scorta, dietro l’auto. Nei giorni successivi è il profugo a materializzarsi misteriosamente nei luoghi che Fidelman frequenta: camere d’albergo, trattorie. Come se conoscesse in anticipo i movimenti di Arthur, fino a quando la borsa di pelle di cinghiale che conteneva il manoscritto su Giotto scompare. Qualcuno l’ha rubata, e Fidelman si convince che il ladro sia Susskind. Ma perché? La borsa e quel tentativo di libro non hanno alcun valore…

Camminando lungo l’alzaia del Naviglio Grande, con lo sgomento di trovarlo senz’acqua (perché poche cose sono fastidiose come partire da casa per passeggiare parallelo ai navigli, e trovarli disperatamente vuoti) mi sono messo allora a seguirli con maggiore decisione Fidelman e Susskind, mantenendo però una distanza di sicurezza. Con il desiderio di attraversare uno dei ponti e ritrovarmi magari a Roma nel quartiere Prati, sono sbucato invece a Torino, in corso Sebastopoli. Dentro lo stadio Olimpico, in tribuna Est, Susskind guardava Fidelman mentre io osservavo loro, e un po’ la partita. Un biondo terzino diciannovenne e danese, con un ingaggio di euro ventimila, teneva testa al più forte giocatore africano, che guadagnava cinquecento volte di più. Da buon cassiere provavo a contare quante banconote da cinquecento servivano per fare ventimila. Facile. Poi quante ne occorrevano per raggiungere dieci milioni di euro. Dovevo pensarci, ma di certo nella mia cassa quella cifra non ci sarebbe mai stata, nemmeno pressando i soldi il più possibile nel cassetto cercando di chiudere il coperchio d’acciaio con la forza.

Intanto, con un preciso colpo di testa, il giovane Matri al ventinovesimo minuto metteva a segno il goal partita: Juventus 1, Inter 0. A Torino non faceva così freddo per essere inverno, ma Shimon Susskind lo stesso accendeva un fuoco sugli spalti con dei fogli di carta fiammeggianti. Ad Arthur Fidelman non pareva possibile riconoscere in quelle pagine dattiloscritte il primo capitolo della sua monografia critica su Giotto.